Adesso Rutelli si prepara ad andarsene davvero

Per tutta la notte si è tenuto lontano dalla sede del Pd, ma Francesco Rutelli ha via via cercato di avere notizie di prima mano: con la vittoria di Bersani alle Primarie, l’ex leader della Margherita ha deciso di mollare definitivamente gli ormeggi, di lasciare il Pd già nei prossimi giorni. Perché l’esito delle Primarie è destinato ad influire non soltanto - ed è ovvio - sulla linea politica del Pd, ma anche sulla geografia politica italiana. In altre parole la vittoria di Bersani (diversamente da quella di Franceschini) rende sempre più probabile che si consumi una prima scissione (quella guidata da Rutelli), prima falla di una emorragia futura che potrebbe diventare più copiosa. In cuor suo e nelle confidenze fatte ai suoi, nei giorni scorsi Rutelli aveva spiegato che in caso di vittoria di Bersani, non restava che consumare lo strappo. Il suo movimento avrebbe già una sede, nel centro di Roma ed è possibile che Rutelli tiri le sue conclusioni già domani a Milano, dove è prevista una nuova presentazione del suo libro «La svolta, lettera ad un partito mai nato». Accanto a lui ci saranno anche Massimo Cacciari, John Lloyd e il presidente della Provincia di Trento Lorenzo Dallai, un altro dei potenziali co-fondatori della nuova formazione. Il primo effetto della vittoria di Bersani sarebbe dunque una scissione, guidata da uno dei padri fondatori del Pd. Un’uscita preparata da tempo e che nei prossimi giorni dovrebbe essere seguita da altri distacchi con la fuoriuscita di alcuni parlamentari da diversi partiti.
Col suo libro Francesco Rutelli aveva lamentato più volte la deriva socialdemocratica del Pd, visto come ultima appendice di una lunga storia della sinistra italiana. Qualche giorno fa Rutelli aveva addirittura parlato di «operazione napalm» lanciata dentro il Pd, da «molte persone che vogliono una sorta di desertificazione» e che concepiscono «la battaglia politica come la liquidazione di chi la pensa come te. E questa è una cosa drammatica». Parole molto impegnative, con le quali Rutelli sembra aver definitivamente tagliato i ponti dal Pd. Ma ora per lui e per i suoi sodali si prepara il passaggio più difficile. Non soltanto perché non è semplice definire «partito mai nato», un Pd nel quale quasi tre milioni di cittadini vanno spontaneamente a votare per scegliere il proprio leader. Il piano dell’ex leader della Margherita è metter su un movimento capace di attrarre la maggior quantità di parlamentari possibile, darsi un’ossatura e un gruppo dirigente in modo da poter affrontare con una identità e con delle «truppe» il futuro appuntamento con Pierferdinando Casini. Col quale dar vita ad una più ariosa Costituente di Centro, confluenza dell’Udc e del nuovo soggetto liberaldemocratico di Rutelli. Nel «traghetto» rutelliano dovrebbero confluire parlamentari del Pd (Lusi, Vernetti, probabilmente l’ex ministro Lanzillotta), ma anche un fresco ex Pdl come Giorgio La Malfa e i più irrequieti tra i parlamentari dell’Italia dei Valori che già da tempo sono in cattivi rapporti con Antonio Di Pietro. E i popolari del Pd? Nelle settimane scorse l’ex ministro Peppe Fioroni aveva confidato le difficoltà di restare in un Pd nel quale avesse vinto «il partito di D’Alema». Poi aveva smentito intenzioni scissionistiche ma un personaggio come Giorgio Merlo, vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai, è esplicito: «Se qualcuno pensa che il futuro del Pd sia la semplice riedizione del Pds con qualche aggiunta cattolica o un soggetto politico il cui tratto comune è una forte accentuazione laicista, in entrambi i casi le fibrillazioni potrebbero avere conseguenze imprevedibili».
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