2013, fuga dal Pd

Dalla Rassegna stampa

Sulle pagine del quotidiano "Europa" negli ultimi mesi abbiamo potuto leggere firme di persone che hanno fatto un pezzo di storia e di strada con il Pd e che pure se ne sono andate. La Lanzillotta, il pokerista Mario Adinolfi, il giuslavorista Piero Ichino, D'Ubaldo, Rutelli, i radicali. Tutti a scrivere su un giornale che si rifà esplicitamente ai democratici e che ne segnala, grazie anche allo spirito critico del suo direttore Stefano Menichini, difficoltà e contraddizioni, senza timori. Tutte le fuoriuscite, o quasi, sono state giustificate col progressivo spostamento del Pd a sinistra, come ha scritto anche Antonio Polito sul "Corriere della Sera", tanto che Menichini arriva a parlare di "un baricentro sempre più coincidente se non addirittura col vecchio Pci, quanto meno con l'ormai altrettanto vecchio Pds". Il fatto che la segreteria di fronte a questo stato di cose si sia preoccupata di far sì che almeno Matteo Renzi, il grande sfidante, non abbandonasse il partito, significa che sia consapevole della debolezza a cui rischiava di esporsi proprio in un momento di annunciato successo. La matematica non è un'opinione e c'è da chiedersi come sia possibile che il Pd aumenti i consensi proprio quando sono così tanti i fuggitivi dalle sue file. Menichini stesso è un resistente: "Per quanto a sinistra vogliano o possano portarlo Fassina e Orfini, non mi pare che l'odierno Pd italiano (nell'atto di chiamare fra i suoi Carlo Dell'Aringa e Pietro Grasso) somigli all'Old Labour di Michael Foot", ha scritto. Eppure vista la fuga di massa dal Pd, la sua deriva arrossata dalla Camusso e da Vendola, persino il labour di Michael Foot appare una sponda lontana. Considerando poi che per superare Foot ed arrivare a Blair occorsero altri 14 anni, basterebbe che il Pd dimezzasse i tempi.

 

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