14 anni, il mondo rubato Ma alla fine qualcuno pagherà?

Dalla Rassegna stampa

Ore 12.55. Una città lombarda. F, quattordici anni, torna a casa dal liceo. La porta di servizio è semiaperta. Pensa al babbo, il solito distratto. Entra e fa per chiamarlo, ma due mani l’afferrano. La voce si spegne e sale la paura. Poi i suoi occhi grandi si spalancano davanti alla lama di un coltellaccio da cucina che si avvicina alla gola. Sono in due, uno alto, l’altro robusto e con la faccia grande come un cocomero. Hanno la pelle olivastra. «Zitta o taglio gola». Il cuore le batte così forte da far male alle orecchie. La spintonano in cucina. Le strappano il telefonino. «Dove cassaforte?». F non capisce. Alzano la voce: «Diccelo o ti ammazziamo». Non l’abbiamo, sussurra F, e pensa sia un’altra a rispondere per lei. Le facce si fanno enormi, il cocomero ora è una zucca ghignante. Il coltello è sempre lì, puntato contro di lei. Trenta centimetri di lama per una ragazzina di un metro e cinquanta. La portano in sala, in camera dei genitori, in quella della nonna, nelle camere dei fratelli, nella sua. Si fanno dare i soldi, il dono di un compleanno che è stato ieri e ora sembra lontanissimo. Trovano altri soldi, gioielli... Poi la incappucciano. «Se muovi, tagliamo gola». Sente amaro in bocca, gli occhi si riempiono di lacrime. La fanno sdraiare sul pavimento della sua camera. Non vede nulla e il tempo si dilata in un tunnel senza fine. Il cuore batte fortissimo. Continuano a rovistare, a cercare, a rubare. 13.06, squilla un cellulare. F ascolta i passi veloci che si allontanano. Piange, si tira su, va verso la porta. Celestino, il medico del quarto piano, sale le scale. Incrocia faccia di cocomero e lo spilungone che gli danno il buongiorno... Poi vede F tremante, con le lacrime che le rigano il volto e capisce e l’abbraccia e l’accompagna da una vicina e poi corre fuori a cercare gli infami... F piange. Per tre ore, lei che non piange mai. E singhiozza e trema. Lei che pensava di essere padrona di se stessa. Lei che le sue amiche dicono essere una tosta. Lei, la prima della classe. Lei che studia pianoforte, russo, cinese e fa teatro e volontariato... Lei ha visto il volto del male. Il male che divora prima il carnefice e poi la vittima. E tutto diventa deserto. Le certezze sono infrante, la vita ha odore di morte. C’era il sole prima di attraversare la porta di casa. In corridoio, il sole è tramontato dietro due mani sporche e la lama di un coltello. E il mondo di F è stato depredato. Ma il mondo non conta. Conta lei, F mia figlia. Solo lei, che piange tra gli uomini della volante, quelli della scientifica e poi gli investigatori. E la nostra casa in un attimo si trasforma nel set di un film poliziesco. Andiamo a testimoniare in questura. Lo fa sicura, guardando negli occhi l’ispettore. Sembra tornata la ragazzina forte di sempre. Sfoglia il casellario giudiziario degli extracomunitari. Osserva i volti del male, della disperazione, del bisogno, della follia... E indica una faccia di cocomero, ma senza averne la certezza. Accanto a lei ringrazio e prego. Ringrazio per il coltello che si è fermato solo alla minaccia. Ringrazio perché non l’hanno toccata e non hanno aggiunto altro male alla ferita che si porterà dentro. Prego perché prendano gli infami e non gli permettano di fare ad altri quel che hanno fatto a lei. E poi prego che non li prendano, perché in questo Paese sempre più alla deriva uscirebbero dopo una settimana, forse meno. Penso ai sei poliziotti, tutti giovanissimi, che ogni giorno combattono la buona battaglia. E li associo alle parole di Hillel, sapiente ebreo dei tempi di Gesù. «Dove non c’è un uomo, sforzati tu di essere uomo». Penso a coloro che rendono spesso inutile e grottesca la loro buona battaglia: ai politici e al loro groviglio di leggi, a quei magistrati che il groviglio usano con insipienza kafkiana e malafede. La giustizia, senza pene certe e giuste, è parola vuota che fa il gioco dei carnefici e lascia indifese le vittime. Gesù supera la legge, eppure non toglie una virgola al Decalogo, il codice per ogni giusto. Ma Gesù capovolge l’orizzonte: senza carità la giustizia non può fiorire. È scritto: «Nessuno tocchi Caino». Ma oggi chi ha cura di Abele?

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