Gli 007 di Roma temono la trappola

Passa per i vertici del ministero dell’Interno afghano la mediazione che i servizi d’intelligence stanno portando avanti per ottenere la liberazione dei tre operatori sanitari di Emergency.
Ma le notizie fatte filtrare ieri pomeriggio spengono la speranza che i tempi possano esser brevi. Perché riportano a un copione già visto quando ad essere arrestato perché accusato di complicità con
i talebani fu Rahmatullah Hanefi, l’operatore dell’associazione guidata da Gino Strada che aveva negoziato il rilascio del giornalista Daniele Mastrogiacomo, rapito il 5 marzo 2007.
L’intervento dei governo italiano fu vissuto all’epoca come una sorta dì intromissione e prima di essere completamente scagionato Hanefi rimase in cella per go giorni segnati da un complesso iter giudiziario.
Da allora l’ostilità delle autorità di Kabul nei confronti degli operatori dell’ospedale di Lashkar Gah non si è mai sopita.
Gli 007 escludono che i tre sanitari catturati tre giorni fa abbiano nascosto le armi all’interno della struttura o che abbiano partecipato a un complotto contro il governatore della provincia di Helmand. Ritengono che possano essere rimasti vittima di una trappola o addirittura di una ritorsione. Ma nei contatti con gli emissari del governo di Kabul continuano a muoversi con cautela, cercando di dimostrare la loro innocenza, senza però provare a forzare la mano chiedendone ufficialmente l’immediata scarcerazione. La strategia scelta è invece quella di offrire la massima collaborazione per svolgere le verifiche e così accertare chi abbia nascosto pistole, bombe e giubbotti nel magazzino. In questo quadro andrebbero lette anche le ultime dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini che invita a «scoprire la verità garantendo i diritti degli imputati».
La squadra dei servizi segreti italiani che opera in Afghanistan si muove tra la capitale ed Herat, mentre la zona nel sud del Paese è sotto il controllo britannico. Dopo il sequestro di Mastrogiacomo fu lo stesso Strada a chiedere che nessun funzionario governativo fosse inviato in quell’area, in modo da non ostacolare le trattative. Una condizione accettata dal governo italiano che provocò numerose polemiche politiche nel nostro Paese e soprattutto l’irritazione delle autorità locali. Ma a segnare in maniera irreversibile il rapporto tra il governo afghano e Emergency è stato certamente l’epilogo tragico di quella vicenda. Insieme al giornalista fu infatti liberato anche il suo interprete Adjmal Nashkbandi, ma l’uomo venne subito ripreso e giustiziato un mese dopo.
Adjmal, che aveva 23 anni e faceva il giornalista, era il nipote di un alto funzionario della polizia. La sua esecuzione fu rivendicata dal mullah Dadullah. E adesso non appare affatto casuale che venga rilanciata attraverso organi di stampa britannici e statunitensi la notizia che i tre operatori arrestati siano accusati anche di complicità per quella morte. In realtà non risulta che il sospetto sia stato formalizzato, né che sia giunta una comunicazione ufficiale attraverso i canali diplomatici italiani, ma la scelta di far filtrare questo tipo di informazioni serve a far salire la tensione, probabilmente con l’obiettivo di convincere Emergency ad abbandonare il Paese.
Un clima di pressione forte nel quale, secondo gli analisti, si inquadra anche la manifestazione organizzata ieri sotto l’ospedale di Lashkar Gah per chiederne la chiusura. L’intelligence esclude invece che la presenza di alcuni soldati britannici durante la perquisizione e la successiva cattura dei tre operatori umanitari - peraltro arrestati insieme ad altre sei persone - rappresenti la conferma che le forze Isaf condividono le accuse contro gli italiani. Sottolineano invece come la partecipazione dei militari britannici all’operazione di polizia debba rappresentare una garanzia del rispetto dei trattati, visto che il nostro Paese è inserito nel contingente internazionale. Dunque, anche la strada che passa per il comando Nato viene battuta per cercare di stringere i tempi.
Ma le notizie fatte filtrare ieri pomeriggio spengono la speranza che i tempi possano esser brevi. Perché riportano a un copione già visto quando ad essere arrestato perché accusato di complicità con
i talebani fu Rahmatullah Hanefi, l’operatore dell’associazione guidata da Gino Strada che aveva negoziato il rilascio del giornalista Daniele Mastrogiacomo, rapito il 5 marzo 2007.
L’intervento dei governo italiano fu vissuto all’epoca come una sorta dì intromissione e prima di essere completamente scagionato Hanefi rimase in cella per go giorni segnati da un complesso iter giudiziario.
Da allora l’ostilità delle autorità di Kabul nei confronti degli operatori dell’ospedale di Lashkar Gah non si è mai sopita.
Gli 007 escludono che i tre sanitari catturati tre giorni fa abbiano nascosto le armi all’interno della struttura o che abbiano partecipato a un complotto contro il governatore della provincia di Helmand. Ritengono che possano essere rimasti vittima di una trappola o addirittura di una ritorsione. Ma nei contatti con gli emissari del governo di Kabul continuano a muoversi con cautela, cercando di dimostrare la loro innocenza, senza però provare a forzare la mano chiedendone ufficialmente l’immediata scarcerazione. La strategia scelta è invece quella di offrire la massima collaborazione per svolgere le verifiche e così accertare chi abbia nascosto pistole, bombe e giubbotti nel magazzino. In questo quadro andrebbero lette anche le ultime dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini che invita a «scoprire la verità garantendo i diritti degli imputati».
La squadra dei servizi segreti italiani che opera in Afghanistan si muove tra la capitale ed Herat, mentre la zona nel sud del Paese è sotto il controllo britannico. Dopo il sequestro di Mastrogiacomo fu lo stesso Strada a chiedere che nessun funzionario governativo fosse inviato in quell’area, in modo da non ostacolare le trattative. Una condizione accettata dal governo italiano che provocò numerose polemiche politiche nel nostro Paese e soprattutto l’irritazione delle autorità locali. Ma a segnare in maniera irreversibile il rapporto tra il governo afghano e Emergency è stato certamente l’epilogo tragico di quella vicenda. Insieme al giornalista fu infatti liberato anche il suo interprete Adjmal Nashkbandi, ma l’uomo venne subito ripreso e giustiziato un mese dopo.
Adjmal, che aveva 23 anni e faceva il giornalista, era il nipote di un alto funzionario della polizia. La sua esecuzione fu rivendicata dal mullah Dadullah. E adesso non appare affatto casuale che venga rilanciata attraverso organi di stampa britannici e statunitensi la notizia che i tre operatori arrestati siano accusati anche di complicità per quella morte. In realtà non risulta che il sospetto sia stato formalizzato, né che sia giunta una comunicazione ufficiale attraverso i canali diplomatici italiani, ma la scelta di far filtrare questo tipo di informazioni serve a far salire la tensione, probabilmente con l’obiettivo di convincere Emergency ad abbandonare il Paese.
Un clima di pressione forte nel quale, secondo gli analisti, si inquadra anche la manifestazione organizzata ieri sotto l’ospedale di Lashkar Gah per chiederne la chiusura. L’intelligence esclude invece che la presenza di alcuni soldati britannici durante la perquisizione e la successiva cattura dei tre operatori umanitari - peraltro arrestati insieme ad altre sei persone - rappresenti la conferma che le forze Isaf condividono le accuse contro gli italiani. Sottolineano invece come la partecipazione dei militari britannici all’operazione di polizia debba rappresentare una garanzia del rispetto dei trattati, visto che il nostro Paese è inserito nel contingente internazionale. Dunque, anche la strada che passa per il comando Nato viene battuta per cercare di stringere i tempi.
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