Nonviolenza – Martin Luther King (2)
Quelli che seguono sono brani di interventi, scritti e discorsi che in varie occasioni Martin Luther King ha dedicato alla nonviolenza. Una prima parte è stata pubblicata il 3 dicembre. Oggi la seconda-
“CON LA PRESENTE MI IMPEGNO – NELLA PERSONA E NEL CORPO – NEL MOVIMENTO NONVIOLENTO, OSSERVERO’ QUINDI I SEGUENTI DIECI COMANDAMENTI*
1) MEDITARE quotidianamente sugli insegnamenti e sulla vita di Gesù
2) RICORDARE sempre che il movimento nonviolento a Birmingham cerca giustizia e riconciliazione, e non la vittoria.
3) MARCIARE e PARLARE con amore, perché Dio è amore.
4) PREGARE quotidianamente di essere usati da Dio affinché tutti gli uomini possano essere liberi.
5) SACRIFICARE ogni desiderio personale affinché tutti gli uomini possano essere liberi.
6) OSSERVARE, sia con gli amici sia con gli avversari, le comuni regole di cortesia.
7) CERCARE di assolvere regolarmente un servizio agli altri e al mondo.
ASTENERSI dalla violenza di mano, di lingua o di cuore.
9)SFORZARSI di essere sereni di spirito e sani nel fisico.
10) SEGUIRE le direttive del movimento e di chi ci guida durante una dimostrazione.
Firmo questo impegno, avendo seriamente considerato ciò che faccio e con la determinazione e la volontà di perseverare.
*Impegno firmato dai volontari per i sit-in di protesta contro la segregazione nelle mense di Birmingham, in Alabama, nel 1963.
“Fortunatamente la storia non ci pone problemi senza, da ultimo, proporre delle soluzioni. I disillusi, gli emarginati, i diseredati, nei momenti di crisi profonda sembrano fare appello a una sorta di genio che li rende capaci di percepire e impiegare le giuste armi per costruire il loro destino. Tale è stata la pacifica arma dell’azione diretta nonviolenta, che si è manifestata quasi d’improvviso a ispirare il negro che l’ha afferrata saldamente nella sua potente stretta.
Il negro si è accorto che l’azione nonviolenta era la via per integrare – e non per sostituire – il processo di cambiamento attraverso l’azione legale. Era la via per spogliarsi della passività, senza lasciarsi irretire dal desiderio di vendetta. Agendo assieme ai fratelli negri per affermare il proprio diritto di cittadinanza, avrebbe intrapreso un programma militante che chiede il riconoscimento di diritti che sono suoi: nelle strade, sugli autobus, nei supermercati, nei parchi e in ogni altro luogo pubblico.
La tradizione religiosa del negro gli ha mostrato che la resistenza nonviolenta dei primi cristiani ha costituito un’offensiva morale di una tale devastante forza da far vacillare l’impero romano. La storia americana gli ha insegnato che la nonviolenza, sotto forma di boicottaggi e proteste, ha disorientato la monarchia britannica e posto le basi per la liberazione delle colonie dall’ingiusta dominazione. E, nel corso di questo secolo, l’etica nonviolenta del mahatma Gandhi e dei suoi seguaci ha fatto tacere le armi dell’impero britannico in India e ha liberato oltre trecentocinquanta milioni di persone dal colonialismo”.
“La disobbedienza civile di massa quale nuova fase della lotta può trasformare la profonda rabbia del ghetto in una forza costruttiva e creativa. Ostacolare il funzionamento di una città senza distruggerla può essere più efficace di una rivolta, perché può essere di più lunga durata, costosa per l’intera società, senza essere gratuitamente distruttiva. Alla fine si tratta di una strategia di azione sociale che per il governo è più difficile reprimere con la superiorità della legge.
Il limite delle rivolte, questione morale a parte, consiste nel fatto che non possono avere successo e i loro partecipanti lo sanno. Quindi i tumulti non sono rivoluzionari ma reazionari perché conducono alla sconfitta. Essi implicano una catarsi emotiva, ma sono inevitabilmente seguiti da un senso di futilità”.
“L’argomento che la nonviolenza sia un rifugio per i vigliacchi ha perso ogni forza quando le eroiche e spesso rischiose azioni nonviolente hanno manifestato la loro silenziosa ma convinta opposizione a Montgomery, nei sit-in, nei viaggi per la libertà e infine a Birmingham.
Quando un popolo represso si arruola in un esercito che marcia sotto la bandiera della nonviolenza deve avere una forte motivazione. Un esercito nonviolento ha infatti una magnifica qualità universale. Può unirsi a un esercito che addestra i suoi uomini ai metodi violenti, bisogna avere una certa età. Ma, a Birmingham, alcuni dei migliori fanti erano giovani, che andavano dagli allievi delle elementari agli adolescenti delle superiori agli studenti delle università”.
“La compassione e la nonviolenza ci aiutano a considerare il punto di vista del nemico, ad ascoltare le sue domande, a conoscere il suo giudizio nei nostri confronti. Giacché dal suo punto di vista possiamo davvero scorgere la fondamentale debolezza della nostra propria condizione, e se siamo maturi possiamo imparare, crescere e trarre profitto della saggezza dei fratelli che sono definiti l’opposizione”.
“Sono consapevole del fatto che solo ieri a Birmingham, in Alabama, ai nostri figli, che chiedevano a gran voce fraternità, è stato risposto con gli idranti, con i cani ringhiosi, e persino con la morte. Sono consapevole del fatto che solo ieri a Philadelphia, in Mississippi, i giovani che cercavano di assicurarsi il diritto di voto sono stati brutalizzati e ammazzati. Perciò devo chiedermi perché questo premio è stato assegnato a un movimento assediato e impegnato in una lotta che non dà tregua; a un movimento che non ha ancora ottenuto la pace e la fraternità che sono l’essenza del premio Nobel. Dopo aver meditato ho concluso che questo premio, che io ricevo in nome del movimento, è il profondo riconoscimento che la nonviolenza è la risposta alle cruciali questioni politiche e razziali del nostro tempo: il bisogno degli uomini di sconfiggere l’oppressione senza ricorrere alla violenza”.
“Sicuramente la nonviolenza nel suo significato più autentico, non è una strategia che si usa come semplice espediente del momento; fondamentalmente la nonviolenza è uno stile di vita che gli uomini praticano per la trasparente moralità dei suoi obiettivi. Ma anche ammettendo che la volontà di usare la nonviolenza come tecnica rappresenta comunque un passo avanti. Poiché chi si spinge a farlo è più probabile che adotti la nonviolenza in seguito come stile di vita”.
“Il principio della resistenza nonviolenta cerca di riconciliazione la verità di due opposti – l’acquiescenza e la violenza – evitando al contempo l’estremismo e l’immoralità di entrambi. Il resistente nonviolento è d’accordo con l’acquiescente sul fatto che non si deve aggredire fisicamente il proprio oppositore; ma bilancia l’equazione quando si dichiara altresì d’accordo con il violento sul fatto che è necessario opporre resistenza al male. Evita la non resistenza del primo e la resistenza violenta del secolo. Con la resistenza nonviolenta nessun individuo o gruppo deve accondiscendere ad alcuna ingiustizia, e nessuno deve ricorrere alla violenza per correggere un’ingiustizia”.
“L’approccio nonviolento non cambia subito il cuore dell’oppressione. Agisce prima sui cuori e le anime di coloro che vi si impegnano. Dà loro una nuova dignità; risveglia risorse di forza e coraggio che non sapevano neppure di possedere. Infine raggiunge l’oppressore e scuote la sua coscienza al punto che la riconciliazione diventa una realtà.
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