«Fuorni è un carcere disumano, illusoria la rieducazione»
«Fuorni è un carcere di tortura, rientra nella media italiana. La situazione che abbiamo trovato è drammatica. Molto peggio del 16 agosto scorso quando abbiamo svolto la nostra ultima visita». Rita Bernardini, deputata della lista radicale Pannella—Bonino ha guidato la delegazione salernitana (composta anche da Donato Salzano e Manuela Zambrano dell’associazione radicale Provenza) che ieri ha fatto visita all’istituto penitenziario. Quattro ore di «ispezione» durante le quali sono state verificate condizioni «disumane che non garantiscono la rieducazione dei detenuti», precisa la Bernardini, membro anche della commissione Giustizia della Camera. Al termine della visita la deputata ha anche incontrato Alfonsina Toriello, sorella di Marco, suicida a Fuorni il 18 dicembre scorso ma sul cui decesso è stata aperta un’inchiesta. La famiglia, che non ha mai creduto al suicidio, a distanza di quattro mesi ancora non ha avuto risposte. Soprattutto non ha avuto risposte in merito alla denuncia presentata in quanto Marco Toriello non sarebbe stato opportunamente seguito da un punto di vista medico e psicologico. «Di questo caso – precisa ancora Rita Bernardini – ci occuperemo non soltanto presentando un’interrogazione parlamentare ma anche seguendo la famiglia da un punto di vista legale».
Poche ma precise le denunce dei Radicali in merito alla situazione in cui versa il carcere di Fuorni. 501 i detenuti, di questi 470 sono uomini e 31 donne: il doppio della capienza prevista, fissata a 250 unità.
Tra gli uomini ci sono 91 tossici dichiarati ma soltanto tredici hanno fatto richiesta del trattamento metadonico. Il 15-18% dei detenuti è extracomunitario. 80, invece, gli agenti in servizio. «E ne mancano altri quaranta per diretta ammissione del direttore Stendardo», precisa Manuela Zambrano. Come gli educatori che sono solo cinque rispetto agli otto previsti. Le uniche scuole presenti sono le elementari e le medie («frequentate da pochissime persone, in quanto molti sono scoalrizzati», precisano ancora i Radicali) mentre solo l8% della popolazione carceraria è impegnata in attività lavorative. Anche i laboratori sono a numero limitato. Come quello di cucina, frequentato da persone sottoposte ad alta sorveglianza: solo dodici i posti disponibili. C’è poi il dramma celle. Secondo quanto raccontato dagli «ispettori radicali», in venti metri quadrati coabitano dai sei ai sette detenuti. Le donne sono ammassate su un unico piano perchè l’altro è fatiscente. Mentre proprio la mancanza di personale penitenziario da sì che i detenuti abbiano limitate possibilità di uscita. Nelle celle maschili, inoltre, mancano i bagni; in quelle femminili i water sono a vista (in violazione all’ultimo regolamento penitenziario). Ciascun detenuto, inoltre, per quanto riguarda i pasti, costa 3.75 euro al giorno (colazione, pranzo e cena compresi). «Ciò vuol dire – sottolinea ancora la deputata – che il cibo è limitato. Oggi, ad esempio (ieri, per chi legge) il pranzo consisteva in 80 grammi di pasta con una decina di ceci, un piccolo hamburger e una patata. Il direttore ha risposto che è nella norma, dal momento che vengono rispettate le tabelle caloriche previste dalla legge. Ma, se consideriamo che l’età media della popolazione carceraria è di 30 anni, mi dite voi come fa un uomo di quell’età ad alimentarsi con così poco?». Dal punto di vista medico le cose non sono migliori. «Abbiamo parlato con un ragazzo che aveva una scapola rotta e non ingessata, si sta calcificando senza essere messa a posto – denuncia invece Donato Salzano – aspirina e psicofarmaci sono le uniche medicine disponibili. L’assistenza è molto limitata e anche la presenza di psicologi e psichiatri». «Almeno sette-otto persone con le quali abbiamo parlato rischiano il suicidio per le loro precarie condizioni psicologiche», aggiunge la Bernardini, in sciopero della fame per protestare contro la mancata approvazione in sede legislativa di alcuni punti del decreto Alfano che tenderebbero a migliorare le condizioni di vita dei detenuti e consentire ad alcuni il ritorno agli arresti domiciliari.