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Marco PIERINI
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Vorrei sottoporre all’attenzione di tutti un’ipotesi di lavoro sulla riforma del fisco.

Da molti anni si ventila la questione del contrasto di interessi, cioè di fornire l’incentivo al cittadino di richiedere regolare ricevuta fiscale all’atto dell’acquisto al fine di potersi dedurre il costo in sede di dichiarazione dei redditi.

Questa ipotesi sostenuta da molti, forse dalla maggioranza dei cittadini, almeno è quello che mi pare di percepire, sarebbe in potenza l’uovo di colombo per far emergere il nero: confinando l’economia sommersa a un livello fisiologico e recuperando  gettito irpef, iva e irap.

Il sistema del contrasto di interessi colpisce i soggetti a valle del processo produttivo, l’ultimo soggetto, quello cioè che intrattiene rapporti economici con i privati, ed è qui che si annida la parte rilevante dell’economia sommersa. Per cui se da una parte il cittadino-consumatore si vede ridurre le imposte grazie alla deduzione delle spese sostenute, il cedente non può più nascondere al fisco i ricavi realizzati.

Stante la breve premessa mi pare che il problema principale di questo sistema sia l’enorme aggravio amministrativo per il contribuente, l’amministrazione finanziaria e i CAF.

 

Questo il problema operativo.

Il contribuente dovrebbe conservare tutte le ricevute delle proprie spese sia per l’anno di dichiarazione sia degli anni precedenti (sino al termine di decadenza dell’azione di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria) un garage dedicato alle ricevute, per l’amministrazione finanziaria il controllo formale dei documenti  diventerebbe un’attività ciclopica e per i CAF la predisposizione delle dichiarazioni quasi impossibile. Il tutto senza la possibilità di incrociare i dati derivanti dalle ricevute presentate con le dichiarazioni dei soggetti emittenti le ricevute in modo rapido ed economico.

 

Se il problema è l’inoperatività del meccanismo,  ma si concorda con il sistema del contrasto di interessi almeno in linea di principio, esiste una soluzione complessa ma non complicata per risolverlo.

L’ipotesi di lavoro che vado a proporre per la discussione ha numerosi pregi e un difetto che cerco di evidenziare in chiusura. Naturalmente ha anche dei buchi che tralascio per sinteticità, al fine di concentrami sulla parte rilevante.

 

Questa è l’architettura del sistema.

Il cittadino ha a disposizione due modalità di pagamento: cartaceo o plastica (carta di debito/credito, bonifico, ecc).

Se utilizza la plastica, è la banca che comunica all’amministrazione finanziaria con cadenze fisse (mensili ad esempio) un flusso dati contenente: il codice fiscale dell’ acquirente, il codice fiscale del cedente, la data, l’importo, e l’aliquota iva applicata (spiego poi il perchè dell’aliquota iva).

Certo questo comporta un onere per la banca, ma penso che possa essere compensato dai maggiori introiti derivanti dall’utilizzo dello strumento di pagamento, anche per una considerazione che espongo in chiusura. Inoltre le banche sono organizzazioni sufficientemente strutturate in grado di gestire sistemi informatici complessi e per i quali si potrebbe prevedere in fase di implementazione eventuali sconti fiscali.

Se l’acquirente decide di utilizzare il contate per potersi dedurre il costo è necessario che richieda lo scontrino parlante (quello della farmacia, utilizzando la tessara sanitaria).

Successivamente è il venditore che in sede di comunicazione al proprio commercialista dei dati iva per le liquidazioni periodiche (che attualmente è tenuto a effettuare con cadenza mensile o trimestrale a seconda del regime) presenta anche una memoria esterna del registratore di cassa che contiene il flusso dati prima indicato. A questo punto il commercialista si impegna a trasmetterlo attraverso il canale telematico già in uso obbligatoriamente tra intermediari e amministrazione (Entratel).

Si rende necessario naturalmente la realizzazione di misuratori fiscali di nuova generazione adatti allo scopo. La capacità tecnologica è ad oggi ampliamente disponibile.

Il cittadino ha solo l’onere di utilizzare la tessera sanitaria. La certificazione, valida ai fini fiscali per la deduzione delle spese, è già in mano all’amministrazione e il cittadino può interrogare la propria posizione  attraverso il canale telematico già esistente (fisco-online) da cui può visualizzare e stampare il calcolo delle deduzioni riconosciute.

 

Attraverso questo sistema si azzererebbero  tutte le detrazioni e deduzioni oggi spettanti o quasi, producendo un sistema simile a quello oggi applicabile al reddito d’impresa ( ricavi meno costi ).

Per quanto riguarda la deduzione dei costi si potrebbe ipotizzare inversamente proporzionale alle aliquote iva e qui ritorno alla questione tralasciata prima. Ad esempio per i beni/servizi soggetti al 4% iva una deduzione pari al 60%, per quelli al 10% la deduzione al 50%, e quelli al 20% deduzione del 40%. Le percentuali non sono un problema sia in merito alle deduzioni sia in merito alle aliquote irpef. I due vincoli sono parità di gettito compessivo rispetto all’attuale e una deduzione minima superiore allo sconto effettuato dal cedente per non produrre la ricevuta ( come nel sistema attuale che ti offre uno sconto di imposta del 19% domani in sede di dichiarazione, contro uno sconto del cedente oggi del 20%, se il cedente ha voglia sennò incamera tutto lui). Si tratta di fare delle simulazioni.

Il perchè dell’utilizzo delle aliquote iva come discriminante per le percentuali di deduzioni è riconducibile al fatto che già la tabella iva ingloba  un regime di favore nei confronti di alcune tipologie di beni, attribuendo agli  alimenti, ad esempio, una aliquota ridotta al 4%. Mi pare dunque ragionevole utilizzare come approssimazione per la  rilevanza sociale della spesa che meritano un trattamento di favore (iva più bassa deduzione più alta) una tabella già disponibile e già utilizzata anzichè crearne una ex-novo.

Attraverso questo sistema si annullerebbero le cause di inoperatività evidenziate in premessa.

Il contribuente non deve fare altro che dichiarare i redditi prodotti, sottrarre le deduzioni e quello che rimane è il reddito imponibile soggetto a tassazione (con nuove aliquote da stabilire in sede di simulazione).

 

Di seguito elenco i pregi principali.

  • E’ un sistema complesso ma non complicato.
  • La tecnologia è disponibile.
  • Il minor gettito irpef derivante da reddito da lavoro è compensato dal gettito da lavoro automono, reddito d’impresa e maggior gettito iva. (sono necessarie simulazioni, ma mi pare realistico)
  • Si allegerisce la pressione fiscale sul lavoro dipendente (oggi unico contribuente forzosamente diligente)
  • Colpisce il risparmio (anche se un concetto di risparmio allargato, stanti le deduzioni parziali) il che produce minor pressione fiscale sui soggetti con redditi medio bassi.Quelli cioè che consumano interamente il proprio reddito (si possono poi prevedere come correttivi detrazioni per portare l’imposta a zero per i redditi molto bassi).
  • Colpisce il risparmio allargato proporzionalmente al potere d’acquisto (a parità di reddito nominale il reddito imponibile è più elevato nelle aree dove il costo della vita è più basso).
  • Il circolante cartaceo si riduce ( accelerando la riduzione dell’economia sommersa che si nutre di contante) e la maggiore provvista bancaria potrebbe compensare le banche dell’onere relativo al flusso dati.
  • La maggior provvista bancaria dovrebbe generare maggior impieghi e quindi maggiori investimenti.
  • L’amministrazione finanziaria ridurrebbe drasticamente i controlli sui piccoli soggetti commerciali, concentrando gli sforzi sui medi e  grandi contribuenti, elusione fiscale, frodi ed evasione attraverso operazioni su estero. Fenomeni odiosi e iniqui.

 

Il difetto macroscopico è il sistema orwelliano da grande fratello. Ripeto però che a l’amministrazione non interessa cosa si compra e quando: giorno e ora ma solo l’importo, l’aliquota Iva, e almeno il mese ed anno per incrociare i dati con quelli dei versamenti iva.

 

Ritengo personalmente il costo minore dei benefici prodotti.

D’altronde nella battaglia contro l’evasione dobbiamo convincerci che maggiori sono le informazioni in possesso dell’amministrazione più efficace è l’attività di contrasto. Se si  fornissero solo informazioni parziali, per tutelare la privacy, si produrrebbero risultati parziali. Questo punto è ineludibile ed è quello che avviene oggi, nonostante gli sforzi e i risultati del contrasto all’evasione il fenomeno rimane enorme e dilagante.

 

Questo il succo. Ci sono buchi come ad esempio l’acquisto di beni durevoli, o i prestatori di servizi per i quali si potrebbe prevedere l’obbligatorietà del nuovo misuratore fiscale, o delle ritenute comunque non mi sembrano insormotabili.

 

Spero che possa essere un’ipotesi di dibattito.