La finanziaria liberalizzi l'economia della conoscenza. A partire dal software.
Con una semplificazione grossolana, possiamo dire che ci sono due motivi principali per cui e' più difficile aprire un'industria automobilistica che un panificio. Il primo e' che l'industria automobilistica necessita di un'economia di scala maggiore di quella di un panificio per poter essere sostenibile. Più impiegati, più produzione, più infrastrutture, e quindi maggiori capitali da investire. Il secondo motivo è che l'industria automobilistica necessita di un know-how complesso e di difficile acquisizione. Se per produrre pane si puo' pensare ad un periodo di apprendimento, per una industria automobilistica e' praticamente impossibile cominciare da zero.
La Rete e l'avvento dell'era digitale hanno consentito all'economia della conoscenza di diventare uno dei fattori trainanti dei paesi sviluppati, innanzitutto grazie all'abbattimento di molti fattori di scala. Nel digitale, le spese di distribuzione e di immagazzinamento si riducono. L'automazione è alta. È possibile rivolgersi alla totalità degli utenti Internet senza dover fare enormi investimenti per la distribuzione, e senza la necessità di richiedere burocratiche licenze. Si mette in rete il proprio server ed è fatta. Un'idea innovativa ha la possibilità di tentare in poco tempo la via del mercato. La rete è quindi un bene comune, un commons per usare l'espressione del visionario Lawrence Lessig, che consente innovazione ed impresa con dei vincoli d'entrata minori e senza il bisogno di autorizzazioni.
E il know-how? Il ruolo di primo piano assunto dall'economia della conoscenza, ha consentito a paesi come gli Stati Uniti che avevano un grosso bagaglio di conoscenza tecnica e scientifica di conquistare un vantaggio competitivo enorme nello sviluppo economico di questi decenni. Allo stesso tempo, sono diversi gli economisti che sostengono che è stata proprio una tutela eccessiva di questo know-how una delle concause della crisi economica e finanziaria di questi anni, nel momento in cui l'indisponibilità della conoscenza e i grossi costi per la sua acquisizione per nuovi soggetti hanno reso sempre più difficile fare innovazione.
Dal costo di acquisizione delle licenze per intraprendere un business fondato sulla distribuzione di prodotti culturali, agli sbarramenti dei brevetti, alla difficoltà di rendere accessibili gli studi svolti dai centri di ricerca nel mondo, siamo quotidianamente immersi in un dibattito epocale alla ricerca di un bilanciamento tra libera condivisione e controllo.
Fortunatamente comincia a far parte del senso comune il fatto che la diffusione e un ampio accesso ai beni culturali come la musica o la letteratura dia notevoli benefici alla società e alla stessa economia. Allo stesso tempo le piattaforme per rendere liberamente fruibili i risultati della ricerca sono sempre di più e sempre più autorevoli. Ma raramente si considera che l'innovazione digitale si fonda su una infrastruttura imprescindibile, il software, la cui complessità tende a creare posizioni di monopolio se unita alla chiusura, cioè all'impossibilità di visionarne il codice, di apportare modifiche e poi di riutilizzare lo stesso software per altri scopi o iniziative.
Ma esistono codici, quelli appartenenti alla categoria del software libero, che consentono di effettuare tutte queste attività, diventando così allo stesso tempo una infrastruttura libera e un libero know-how.
Per capire quando sia fondamentale il software libero per l'ecosistema tecnologico, basti pensare che la stessa Internet ha preso forma ed è tenuta in piedi proprio dal software libero. Dai sistemi per far funzionare i siti web, a quelli per indirizzare la posta, dal linguaggio per elaborare il testo in modo efficiente all'infrastruttura che fa funzionare i server, il software libero è stato il seme ed ora è il cuore di Internet.
E non è un caso. Le più grandi innovazioni spesso provengono da nuove imprese meno afflitte dal "dilemma dell'innovatore" che quindi tendono ad sfruttare il software libero perchè si tratta know-how e infrastruttura disponibile a basso costo e liberamente adattabile.
E costituisce una opportunità anche per i grandi. Ad esempio da Linux nasce Android, il sistema operativo per cellulari, tablet e altri sistemi embedded che ha permesso di sviluppare un proprio sistema anche ad aziende che certo non avevano il know-how di Apple o di Microsoft nel comparto sistemi operativi.
Tutto questo dimostra che l'esistenza di un vivo ecosistema di software libero, liberalizza il mercato dell'IT, rendendo difficili posizioni di monopolio. Questa da sola è una ragione più che sufficiente affinchè istituzioni e pubbliche amministrazioni ne incentivino l'utilizzo.
Ed è per questo motivo che i radicali con la collaborazione di Agorà Digitale e di alcuni soci dell'Associazione Software Libero, hanno presentato nei giorni scorsi un emendamento alla finanziaria affinchè la pubblica amministrazione investa preferenzialmente in software libero. Infatti, nonostante gli enormi tagli degli ultimi anni che hanno portato il nostro paese nelle ultime posizioni per investimenti in Information Technology (IT), la spesa pubblica in questo comparto è di quasi 3 miliardi di euro sui 18 miliardi del valore complessivo del mercato. Una fetta considerevole che proprio in questo momento di crisi, è necessario investire nello sviluppo di questo commons, il software libero, di cui tutta l'economia del paese potrebbe beneficiare.
Questo è il momento di investire in software libero, perchè la proliferazione di sistemi software chiusi, rischia continuamente di trasformare il panorama digitale che conosciamo in qualcosa di più simile ad una TV.
Questo è il momento di investire in software libero perchè man mano che la società e la macchina amministrativa si digitalizzano, poter accedere a come si comportano i sistemi informatici sarà fondamentale come storicamente lo è stato il diritto di poter assistere allo spoglio elettorale in un seggio, di partecipare alle sedute del consiglio comunale o di accedere agli atti interni delle istituzioni.
Questo è il momento di investire perchè si tratta dell'ecosistema ideale su cui far prosperare una economia degli Open Data, cioè delle informazioni della pubblica amministrazione (dall'attività e i redditi degli eletti fino alle informazioni sulla qualità delle scuole) finalmente rese disponibili creando trasparenza e opportunità di fare impresa su quei dati.
Ma siccome sappiamo quanto è difficile essere lungimiranti e quanto sia necessario poter avere da subito dei risultati, il software libero consente per alcuni software maturi enormi risparmi immediati. Purtroppo la possibilità di una visione d'insieme sui risparmi possibili è limitata dalla difficoltà di avere dati aggiornati, con una situazione che probabilmente si aggraverà per il ridimensionamento dell'Osservatorio Open Source del DigitPA (ex CNIPA) che ormai consta di un solo impiegato, e che quantomeno in questi anni si era preso l'onere di raccogliere le informazioni disponibili.
Esistono però casi in cui non sono necessarie considerazioni complesse, come l'aggiornamento del personale o la realizzazione di una strategia di medio o lungo termine. Un esempio? Le sole amministrazioni locali spendono ogni anno circa 30 milioni di euro per pagare le licenze di Microsoft Office. Se avete mai provato ad utilizzare Open Office, sapete che si tratta di un prodotto pressocchè identico nelle funzionalità e nell'utilizzo ma del tutto gratuito e libero. Perchè non effettuare la transizione immediatamente? Sciatteria? Con il nostro emendamento cerchiamo anche di evitare queste situazioni.
Ma le esperienze di questi ultimi anni ci consentono di essere ancora più ottimisti. Sono numerosi i casi in Italia e in Europa in cui il passaggio al software libero e all'open source ha consentito enormi risparmi. Dai 7 milioni di euro risparmiati dalla polizia francese, al milione di euro l'anno della provincia di Bolzano. Dai 200 mila euro in un triennio risparmiati a Firenze, all'abbattimento del 45% delle spese da parte dello stato di Rio Grande do Sul in Brasie, dai 26 milioni stimati dal Ministero delle Finanze finlandese, non si contano più le istituzioni, le provincie, i comuni e che mostrano bilanci in attivo grazie ad una adozione sistematica e preferenziale di software libero.
<!--break-->
- Login to post comments