Dove si colloca l’azione nonviolenta
di Aldo Capitini (da “Notizie Radicali” del 13 settembre 2010)
Questo testo è costituito da appunti preparati da Capitini per la riunione della War Resister’s International dell’agosto 1968 e datati 29 luglio 1968.
Il problema della collocazione dell’azione nonviolenta è molto importante. Jean van Lierde ha messo bene in evidenza la necessità di stare all’opposizione. Ecco i punti in cui credo si possa articolare la nostra posizione:
1) Il nostro dissenso della varia violenza degli Stati dell’Occidente e dell’Oriente è un preciso punto di partenza.
2) Se ci troviamo accanto, per lo stesso fine, a forze che usano la violenza, la distinzione deve essere concreta e visibile a tutti, in modo che non sorgano confusioni. Lo sviluppo del metodo nonviolento deve essere così diverso nei sentimenti, nelle espressioni, nelle tecniche, che si deve arrivare all’atteggiamento di consapevole scelta di violenza o nonviolenza.
3) Deve essere chiaro che se il metodo nonviolento sembra talvolta ottenere più lentamente i risultati e talvolta chiedere maggiori sacrifici, esso ha in sé il consenso per tutto questo, perché è un metodo che sviluppa la gioia di avvicinare di più gli esseri umani, che è cosa senz’altro positiva.
4) I combattenti violenti, nella loro sconfitte per mancanza di armi o superiorità di armi negli avversari, nelle loro stanchezze per l’uso di mezzi ripugnanti come il terrorismo e la tortura, devono sapere che c’è al loro fianco una posizione di combattimento con un altro metodo. Brutto sarebbe non avere quest’ultima trincea.
Debbo ora dire ciò che penso dei temi messi all’ordine del giorno:
Si capisce sempre meglio che i nonviolenti non chiedono di essere integrati nelle società esistenti, ma di essere integrati nei pacifisti, nei poveri e negli sfruttati, negli oppressi di tutti i sistemi politici. E’ qui dove si svolge il loro compito di animatori di profeti, di testimoni, sviluppando la solidarietà e il controllo dal basso da parte di tutti, perché i nonviolenti guardano sempre all’orizzonte di tutti.
Sarebbe un errore credere che il movimento nonviolento possa mettersi al servizio del popoli che vogliono avere uno Stato indipendente, con un bell’esercito, ecc., secondo il vecchio modo di fare la politica. Il movimento nonviolento può dare il suo aiuto solo se il nuovo Stato vuole viviere su un piano di democrazia diretta, di pacifismo integrale, di proprietà pubblica aperta al bene di tutti, di piena libertà di informazione e di critica per tutti i cittadini. E’ assurdo pensare che il movimento nonviolento debba aiutare per arrivare a regimi politici come quelli dell’Algeria, dell’Egitto, e anche dell’India. L’era della nonviolenza comprende il rinnovamento di tutti i modi civili, da preparare nei decenni, e non deve dare il suo sale a svanire dentro le vecchie politiche.
Mi sia permesso di citare la mia esperienza personale. Durante il regime fascista ho sperato che gli italiani si liberassero dal fascismo con la non collaborazione, e ho dato il mio esempio. Purtroppo i religiosi tradizionali non hanno aiutato la nonviolenza. Così è andato avanti un altro tipo di liberazione, e non si è avuto un popolo nuovo, ma un popolo con tutti i vecchi atteggiamenti di prima del fascismo.
Il movimento nonviolento vede la liberazione “nazionale” in una liberazione-trasformazione del potere vecchio in un potere nuovo. Non può fornire uomini nuovi per acquistare ed esercitare il potere, e perché si trasformi il modo di esercitarlo, all’interno in modo aperto all’aiuto quotidiano da parte di tutti, all’estero, con un continuo pacifico dare e ricevere. Perciò bisogna sempre svolgere la critica alla vecchia politica per stimolare l’immaginazione e la creazione. Nei riguardi degli oppositori violenti, i nonviolenti assimilano e studiano le loro critiche che sono utili (per esempio, il Marx), ma hanno fiducia di sviluppare un sistema costruttivo diverso, scavando nelle risorse della nonviolenza. Perlomeno dove non sia possibile svegliare tutti e subito nonviolentemente, per esempio nelle varie campagne dell’America del Sud, la nonviolenza può togliere armati per la repressione, l’oppressione, lo sfruttamento, l’inganno proprietaristico, e porre le premesse di interventi puri, per esempio aggruppando giovani già nelle città come teste di ponte per domani verso le campagne.
Circa i temi dell’addestramento e dell’opera della W.R.I.:
Bisogna affermare il principio che la “difesa della patria” di cui si parla nelle Costituzioni, può avvenire mediante il metodo nonviolento, adeguatamente preparato. Sarebbe una conquista se questo principio fosse riconosciuto a livello statale. Potrebbe essere il punto di partenza per una struttura di difesa nonviolenta in caso di aggressione.
La mia vecchia proposta di chiedere alle Nazioni Unite la formazione di un Ente per l’addestramento alla nonviolenza ha la difficoltà del timore di creare una forza rivoluzionaria, ma bisogna tuttavia insistere. Intanto la W.R.I. fa un’ottima cosa con il suo bollettino. Bisogna aumentare i corsi estivi di addestramento e la formazione di competenti “istruttori” disponibili in ogni estate.
Bisogna arricchire le tecniche delle proteste nonviolente, perché facciano una migliore impressione sull’opinione pubblica, oltre scritte, disegni, volantini, sit-in, marce silenziose o cantanti. Si possono aggiungere “rappresentazioni” simboliste (play-ings) per esempio di morti e feriti per le guerre, di miseria, per lo sfruttamento e il razzismo, ecc. Bisogna aumentare la socievolezza delle proposte per associare amichevolmente e capire: fare proteste comprensibili dai ragazzi, che poi le riferiscono in famiglia, ecc.
Siccome la stampa e la radio espongono inesattamente le imprese per le ragioni dei nonviolenti, bisogna emettere propri comunicati esplicativi e, per le cose importanti, fare opuscoli e numeri unici. Dare molta importanza alla buona opinione delle donne, purché bene informate.
(da “Azione Nonviolenta”, settembre-ottobre 1978)
CondividiFonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=2343
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