Intervento di Matteo Mecacci su dibattito su riforma della legge sulla cittadinanza.

 

Presidente,
 
Il tema che è in discussione oggi non riguarda solo una proposta di riforma della legge sulla cittadinanza, ma riguarda il tipo di società, il tipo di paese e di nazione che il Parlamento vuol contribuire a formare e a costruire. Perché vedete colleghi le decisioni che si prendono qui, ma anche gli argomenti, la retorica, le accuse e le imputazioni che si fanno, non sono separate o scollegate dalla realtà del paese; sono parole e provvedimenti che hanno un effetto diretto nella vita concreta di milioni di persone dei cittadini che ci ascoltano. Siano essi labili o sani di mente,.
 
Questo vale ricordarlo perché nel corso di questa legislatura il tipo di dibattiti che abbiamo avuto in Parlamento, ad esempio sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, sono stati proprio caratterizzati da decisioni e provvedimenti che hanno portato, non dimentichiamolo, alla criminalizzazione del semplice status di immigrato clandestino; altro che nuova cittadinanza, in questo paese cioè si è incriminati, non solo perché si offenda, si ferisca, o si danneggi qualcuno o i suoi beni, ma anche solo perché si è un clandestino, cioè non si è in grado di ottenere un permesso di soggiorno.
 
Abbiamo avuto poi provvedimenti come quelli che hanno portato alla politica dei respingimenti dei barconi di immigrati verso la Libia che, a differenza di quanto ha affermato il collega Bocchino questa mattina, sono stati definiti illegali e illegittimi non dall’opposizione, tanto più  che il Partito democratico ha votato a favore del trattato con la Libia, ma dall’UNHCR che si occupa dei rifugiati e dell’Ufficio sui Diritti Umani dell’ONU. Insomma, provvedimenti che hanno portato sia alla criminalizzazione tecnica che all’emarginazione sociale di un’intera categoria di persone, quella degli immigrati clandestini, che spesso sono nel nostro paese solo per lavorare, e che devono farlo nell’illegalità non per loro scelta, ma perché così stabiliscono le nostre imprese anche a causa delle norme che regolano il mercato del lavoro. Da un lato, quindi si richiedono sempre più i servizi degli immigrati, e dall’altro si nega loro una condizione sociale legale e riconosciuta dallo stato.
 
Ma c’è un’altra vicenda di cui non si parla e che va inserita in questo dibattito sulla cittadinanza e che riguarda una premessa fondamentale per diventare cittadini in Italia, e cioè la questione del rinnovo dei permessi di soggiorno. Secondo il Sole 24 ore sono infatti, oltre 700 mila, gli immigrati in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno.
L’articolo 5 del Testo unico sull’immigrazione prevede che “il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla domanda". Oggi invece si deve aspettare dai sette ai quindici mesi anche solo per il rinnovo di un permesso della validità di un anno.
La conseguenza incredibile e misconosciuta è che centinaia di migliaia di persone che lavorano, studiano, crescono i propri figli in Italia, si ritrovano così ciclicamente nella totale incertezza, in preda alla paura di essere espulsi da questo paese, non perché siano dei criminali, ma perché lo Stato li tratta come un fastidio, come una cosa di cui liberarsi, e a cui va resa più difficile la vita, e non facilitata, come ha spiegato stamattina il Presidente dei Deputati della Lega Roberto.
 
Per chiedere il rispetto della legge in tema di rinnovo dei permessi di soggiorno un dirigente radicale Ouattara Goussou, originario della Costa d’Avorio e da 29 anni in Italia, ha iniziato dal 12 dicembre uno sciopero della fame e a lui si sono uniti oltre 30 esponenti delle comunità di immigrati di tutta Italia. Non per una varare una nuova legge, ma perché sia rispettata quella esistente.
 
Allora, quando si denuncia un clima politico caratterizzato dall’odio non si può non ricordare che questo tipo di politiche incitano alla paura nei confronti degli stranieri e sollecitano i peggiori istinti di difesa e di chiusura che risiedono in ciascuno di noi.
 
Discutere oggi di cittadinanza ad ormai quasi venti anni dall’ultima riforma nel 1992, impone di farlo analizzando e prendendo nota di quanto è avvenuto nel corso di questi anni, non solo in Italia ma in tutto il mondo, a partire dai paesi europei a noi più vicini che hanno vissuto il fenomeno dell’immigrazione e che si sono assunti la responsabilità di decidere come governarlo. E tutti questi paesi, in un modo o nell’altro, hanno adottato il principio dello ius soli per l’attribuzione della cittadinanza.
 
Ma se invece si guarda alla realtà italiana e l’analisi che se ne trae è quella del Presidente dei Deputati della Lega Roberto Cota c’è poco da fare, se non - come fa il testo presentato dalla relatrice – inasprire e rendere più difficile, il percorso di integrazione sociale degli stranieri. Se l’analisi è infatti che l’Italia non ha bisogno di immigrati, se si ignorano i dati sulla ricchezza prodotta dagli immigrati regolari portano al nostro paese, con quasi ormai il 10% del prodotto interno lordo, se si dice che occorre stringere le maglie e non dare messaggi sbagliati, se si rende più difficile rinnovare i permessi di soggiorno agli immigrati regolari, se si dice che i respingimenti illegali vanno bene, se si fanno comizi contro l’inserimento di un principio di civiltà come quello dello ius soli che attribuisce la cittadinanza, non solo in base al sangue o alla razza, ma anche in base al contributo concreto che una persona dà allo sviluppo di un paese, quali che siano le sue origini;  se queste sono le premesse, la mia convinzione è che occorre prepararsi a battere politicamente e apertamente queste tesi, sapendo che non sarà facile, sfidando la demagogia e la paura e gettando una luce sulla vita di milioni di persone, perché se non sarà così, di fronte alla negazione dei diritti  e della legalità ci sarà presto anche e non solo la strage del diritto ma anche la strage di vite umane.
 
 

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