Care compagne, cari compagni,
il nostro essere qui, a questo VIII Congresso di Radicali Italiani, dimostra ancor più, quanto ricco, forte e determinato sia questo Movimento e più in generale la realtà Radicale.
Questo è l’unico partito, nel panorama politico italiano, che vede regolarmente convocati gli organi deliberativi e che vede e coinvolge quanti, assumendosene tutti i costi, danno corpo all’azione e all’iniziativa politica.
Se noi quantificassimo, e ritengo dovremmo farlo, le spese e le ore di impegno che ciascuno di noi assicura all’iniziativa politica radicale, avremmo un bilancio che si avvicinerebbe di più al valore della realtà del nostro Movimento di quanto non si possa evincere invece dai dati strettamente “contabili” di Radicali Italiani.
E’ vero viviamo di autofinanziamento, ma non solo e non soltanto delle quote di iscrizione e di contribuzione che registriamo sui nostri conti; viviamo soprattutto dell’apporto di quanti, giorno per giorno, praticano il loro essere radicali stando per esempio nelle strade, tra la gente, ad informare, a raccogliere firme, a tentare di far partecipare in modo diretto i cittadini alla vita politica e istituzionale.
Conoscenza che cerchiamo storicamente di assicurare, nel modo più diretto possibile e che vorremmo fosse assicurata in modo costante e a tutti i livelli, per tutti.
I Radicali lo hanno fatto innanzi tutto con Radio Radicale per 33 anni e oggi ci troviamo a dover combattere perché quel servizio pubblico non sia cancellato. Lo abbiamo fatto destinando prima i soldi del finanziamento pubblico dei partiti, poi quelli dell’editoria e infine, dopo vent’anni in cui abbiamo assicurato la messa in onda delle sedute parlamentari assumendocene tutti gli oneri, facendo fronte a questa parte con gli introiti della convenzione oggi a rischio.
Ecco come abbiamo utilizzato noi radicali i fondi pubblici.
Come soggetto politico ci troviamo a vivere ed è stato così per tutto l’anno, una difficilissima situazione finanziaria e organizzativa, e dunque politica, che mette costantemente in discussione la stessa esistenza del Movimento.
Eppure, seppur con pochi strumenti, riusciamo a fare molto, ad affrontare grandi battaglie, spesso anche molto ambiziose, soprattutto se confrontate con le risorse a disposizione. La determinazione e l’impegno dei militanti è sempre stata la nostra forza e la nostra materia prima del nostro essere e anche del nostro essere diversi dagli altri.
Quale soggetto politico vive di così pochi mezzi, senza mai aver avuto un condannato o anche solo un indagato o un imputato per corruzione, concussione o per aver sperperato soldi pubblici.
In quale altro partito basta iscriversi, certo con una quota impegnativa, ma basta essere iscritto per partecipare direttamente a pieno titolo ai congressi, con elettorato attivo e passivo.
Forse, anche per questo dobbiamo non esistere, non dobbiamo essere conosciuti.
E’ questo costume politico che non deve essere conosciuto, perché fa paura.
Perché è l’opposto del costume di questo Regime partitocratico.
Il Congresso di un anno fa era all’insegna della resistenza radicale, R/esistenza radicale.
Eravamo in una situazione di quasi certa eliminazione e cancellazione dei radicali.
Avevamo ottenuto, dopo l’elezione e la mancata proclamazione dei senatori nella XIV legislatura, l’elezione o meglio la nomina di 9 parlamentari nelle liste del Partito Democratico, dopo averci negato la possibilità di presentare nostre liste, come invece è stato consentito all’Italia dei valori.
E guarda caso nel primo caso la mancata proclamazione vedeva Pannella fra gli esclusi dal Senato e nel secondo caso, abbiamo visto, vissuto e dovuto consapevolmente accettare, il veto a Pannella in Parlamento.
Dicevo, eravamo in una situazione in cui pur avendo degli eletti questi dovevano essere “nascosti” tra le file del PD e non certo per nostra volontà, eravamo alla vigilia dell’appuntamento elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo dove i rischi della nostra fuori uscita erano palpabili e dovevamo affrontare l’anno in cui anche il rischio di far fuori Radio Radicale era ampiamente previsto e preannunciatoci da Marco Pannella ed era praticamente di già stato chiuso il Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva.
Uscimmo da quel congresso difficile e per certi versi anche drammatico, con una mozione che risultava debole sull’analisi del sessantennio partitocratico e che, per questo, vide l’astensione di Pannella.
In questo anno di R/esistenza però, i nostri parlamentari sono stati riconosciuti come delegazione radicale nel gruppo del PD, abbiamo seminato e fatto germogliare il senso e la necessità della trasparenza e della conoscenza della vita istituzionale a tutti i livelli incardinando il processo per l’istituzione dell’Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, si è riusciti a tenere accesa l’antenna del Centro d’Ascolto e in vista dell’appuntamento elettorale per le elezioni europee abbiamo organizzato la nostra iniziativa politica ripercorrendo e documentando 60 anni di illegalità e di assalto allo Stato di diritto, realizzando quel prezioso documento che abbiamo intitolato La Peste italiana, per far vivere il dettato della nostra Carta Costituzionale.
Era proprio il momento elettorale, quello in cui il Regime partitocratrico poteva segnare definitivamente il momento della cancellazione dei Radicali. Invece, la Lista Emma Bonino-Marco Pannella presentandosi da sola si è distinta, ha affermato il suo esistere.
Ancora una volta la differenza l’ha fatta la Nonviolenza e, con la nonviolenza, la genialità di quel indomabile leone lottatore che è Marco Pannella che con la sua intelligenza e le sue “esagerazioni” mediatiche, e non solo, ci ha dato e fatto intravedere la linea e il percorso da seguire.
La differenza l’ha fatta, ancora una volta la resistenza radicale, la non rassegnazione a subire le decisioni dei due egemoni protagonisti della semplificazione autoritaria dello schieramento politico, il PdL e il PD, avversari su tutto a parole, ma uniti nel compromesso e nella convergenza quando si tratta di spartire il potere, di controllare la RAI o di cambiare, nell’immediata vigilia del voto, la legge elettorale fissando al 4% il quorum della rappresentanza al Parlamento Europeo.
Un bipartitismo, questo, che è sempre più monopartitismo imperfetto.
Il nostro risultato, politicamente positivo, non è purtroppo bastato a superare lo sbarramento del 4%. Per la prima volta dopo trenta anni la forza federalista, liberale, e laica dei Radicali è assente da Bruxelles e Strasburgo in singolare e preoccupante coincidenza con l’ingresso nel Parlamento Europeo di forze nazionaliste, antieuropee e a volte anche dichiaratamente razziste e xenofobe.
La politica riformatrice e federalista, della democrazia e dei diritti umani dovremo di conseguenza porla in essere dall’esterno senza poter far perno sulla straordinaria iniziativa diretta dei parlamentari radicali, determinanti in molte occasioni nel corso delle legislature di questi trenta anni.
E’ stato il costo pagato partecipando ad elezioni non democratiche con la necessaria presentazione autonoma della lista, che non aveva del resto alternative.
Il discorso sarebbe stato diverso se alla forza politica dei radicali, ma soprattutto alle nostre proposte, ai nostri programmi, alle nostre iniziative sul fronte italiano, europeo e transnazionale fosse stato riconosciuto nell’anno intercorso fra le elezioni politiche e le elezioni europee un ruolo paragonabile a quello che è stato riconosciuto e tributato all’Italia dei Valori di Di Pietro, al cui successo sia il PdL che il PD hanno spianato una vera autostrada; a noi invece è stata riconosciuta una modesta presenza negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale che è stato possibile strappare solo grazie allo sciopero della sete di Pannella, alle delibere di condanna dell’AGCOM, all’intervento del Capo dello Stato, all’occupazione di uno studio Rai nell’ultima settimana da parte di Emma Bonino e al suo sciopero della sete a cui si sono aggiunti oltre 200 cittadini. Lo sfondamento del muro della disinformazione, di cui si sono per altro - come sempre - avvantaggiate anche le altre liste minori, ha riguardato prevalentemente i talk-show politici, seguiti da poco più di un terzo degli elettori, e solo in minima parte i telegiornali che sono invece visti dalla totalità della platea televisiva. L’Italia profonda non è stata di conseguenza raggiunta e non poteva esserlo. Le ultime manifestazioni nonviolente avevano infatti avuto come obiettivo proprio quello di rimuovere il silenzio e la disinformazione dei telegiornali.
Questo soprattutto alla luce del fatto che, tre settimane prima del voto un sondaggio aveva rilevato che solo tre elettori su cento erano a conoscenza della presentazione autonoma della Lista Bonino-Pannella. Fu proprio questo dato, questo sondaggio a dare il segno della non democraticità di quelle elezioni e a costringere il Presidente della Repubblica, nella sua funzione di garante della Costituzione, ad intervenire.
Un altro sondaggio degli stessi giorni attribuiva alla nostra lista l’1% dei voti, cifra tuttavia assai poco attendibile non solo alla luce dei risultati dell’altro sondaggio, ma anche per l’aleatorietà e il vasto margine di errore di cui occorre tener conto sulle piccole cifre percentuali. Si può quindi realisticamente valutare che poco più di due settimane prima del voto il nostro risultato si attestasse sullo zero virgola qualcosa, corrispondente a uno zoccolo duro di radicali e di elettori che avevano conoscenza della presenza delle liste radicali grazie all’ascolto di Radio Radicale. Non c’è dunque alcun dubbio che il risultato elettorale del 2,4% è stato conseguito nelle ultime due o tre settimane grazie alla dura lotta nonviolenta che ha consentito di aprire un varco nel muro della disinformazione e che quel risultato rappresenti per noi un vero e proprio successo, il segno di una vera e propria tenuta politica.
Il maggior consenso è stato ottenuto nelle aree metropolitane; in diverse grandi città si è superato il 4%, a Milano si è raggiunto il 5%.
Una ricerca sociologica di Ilvo Diamanti ha messo in rilievo che solo un terzo degli italiani forma il proprio voto in base alla lettura dei giornali o ai dibattiti nei talk-show, mentre i due terzi si affidano alla sommaria informazione dei telegiornali, se ne può facilmente dedurre che il voto radicale proviene in grande prevalenza dai ceti medi che più si interessano di politica. Essendo stati gli altri cittadini privati della possibilità di essere informati vista la nostra pressoché totale assenza dai telegiornali.
Il nostro voto d’opinione, come evidenziato anche da una ricerca dell’Istituto Cattaneo, ha raccolto una percentuale ragguardevole di elettori di centro-destra, critici nei confronti del Governo che, non volendo votare PD, ha considerato il voto radicale come un voto di garanzia ed elettori di sinistra che hanno voluto rimarcare, con il loro voto, la loro critica laica e riformatrice e la loro volontà di un radicale cambiamento.
Da non sottovalutare che la nostra iniziativa per il ripristino della legalità e la lotta nonviolenta intrapresa in quelle settimane, in cui tutto sommato poco si parlava di elezioni europee e poco si stimolava alla partecipazione, ha fatto sì che, oltre all’intervento diretto del Presidente della Repubblica, si determinasse anche una maggiore partecipazione al voto, tanto è vero che, l’affluenza alle urne è stata al di là di ogni previsione e l’Italia è risultato il primo Paese tra i 27 in termini di affluenza alle urne.
Per un brevissimo periodo, quindi, siamo usciti dall’anonimato in cui ci aveva cacciato la ferrea disinformazione. Siamo tornati ad esistere come soggetto politico perfino per alcuni dirigenti del PD che si sono serviti del nostro risultato per sommarlo a quello del loro partito e alleggerire così il peso della sconfitta.
E’ stato un attimo, una breve parentesi. Il silenzio è tornato a cadere su di noi.
Per il mondo dell’informazione siamo tornati ad essere semplicemente inesistenti.
E’ la solita lamentela dei radicali? E’ vittimismo, quello dei radicali?
Il Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva che ha analizzando i TG delle edizioni principali nazionali, tra il 1° settembre e il 20 ottobre, fornisce i seguenti dati:
Tg1 i radicali sono inesistenti in voce. Anche considerando il periodo precedente (dall'8 giugno, 5 mesi) le interviste sono 6 per 2'8'' pari allo 0,43% del totale degli esponenti politici.
Tg2 dedica ai radicali 44'' in voce in 2 interventi, pari allo 0,36% delle presenze politiche. Come per il Tg1, considerando il dopo elezioni, le presenze totali sono 6 in 5 mesi per complessivi 1'53'' pari allo 0,5% del totale.
Tg3 negli ultimi 2 mesi dedica 2 interventi in voce per 1'22'' pari allo 0,66%, mentre nel periodo post elettorale le presenze totali sono 12 per 4'47'' pari all'1,06% del totale.
Nessuna presenza al Tg4 negli ultimi 2 mesi; una presenza, per 14'' se si considerano gli ultimi 5 mesi.
Il Tg5 dedica ai radicali 33'' in due interventi, mentre sono 10 gli interventi se si parte dall'8 giugno al 20 ottobre per 3'34'' pari all'1,07% del totale.
Su Studio aperto l'unico intervento in 5 mesi è di 4''.
Radicali assenti anche dal Tg di La7 negli ultimi 2 mesi, mentre l'unica presenza in 5 mesi è stata di 34''.
In totale i Tg principali delle Reti Rai hanno dedicato complessivamente ai radicali 2'06'' in voce in 4 interventi dal 1 settembre al 20 ottobre. Nello stesso periodo i Tg Mediaset hanno dedicato 37'' in 3 interventi.
Mi pare alquanto difficile parlare di vittimismo radicale.
La verità è che siamo una forza politica estranea agli equilibri di potere, siamo una forza politica scomoda e il Regime partitocratrico ha paura della forza dirompente che scaturisce dall’essere noi una forza politica presente – con le proprie lotte, con le proprie denunce, con le proprie proposte di riforma, con le proprie iniziative portate avanti sempre con tentativi di dialogo a 360 gradi – nel Parlamento e nel Paese.
Ed è per questo che dobbiamo essere censurati. Lo siamo stati, presenti e attivi e allo stesso tempo censurati:
- Con l’azione rivolta ad ottenere che la crisi economica e occupazionale fosse affrontata ponendo mano alle riforme economiche, da subito e senza rinvii.
- Con le proposte di trasparenza e di riforma strutturale contenute nell’Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, unica proposta politica rivolta a porre un argine al dilagare della questione morale ad ogni livello della vita pubblica, nonostante le cronache hanno portato alla ribalta vicende come quelle dell’Abruzzo, della Campania, del Lazio, della Basilicata, della Calabria e di Catania.
- Lo siamo stati, con qualche eccezione nella censura, nei giorni di ferragosto, promuovendo la presenza di oltre 160 parlamentari nei duecento istituti penitenziari. Quando abbiamo posto, di nuovo con forza, al centro della questione Giustizia, la proposta di una amnistia che non deve essere – come fu l’indulto - un tampone momentaneo di una crisi di sovraffollamento giudiziario, ma la premessa necessaria di una azione di riforma ineluttabile di una Giustizia ormai ridotta allo stremo e capace solo di produrre ordinaria ingiustizia, su cui poi tornerò.
- In parlamento, proponendo che la legalizzazione del lavoro nero e clandestino non fosse limitata alle sole badanti, ma estesa a tutti i lavoratori e i datori di lavoro che fanno richiesta di regolarizzazione.
- E a Roma il giorno della marcia dei cinquanta mila immigrati, dando voce nei due giorni successivi, attraverso Radio Radicale, al presidio di oltre duemila lavoratori di colore del Casertano e della Campania..
- Ancora, a Piazza Navona, con Marco Pannella, accanto ai cinquanta mila poliziotti scesi in piazza per manifestare il proprio disagio sociale.
- Lo siamo stati in queste ore con lo sciopero della fame di Maria Antonietta e di quasi 300 cittadini che con lei hanno affiancato e sostenuto con lo sciopero della fame di Salvatore Usala e degli altri malati di SLA che chiedono al Governo l’assistenza necessaria, il rispetto del loro diritto a una vita dignitosa. E che ora continua anche al fianco delle vittime del dovere e dello Stato.
Solo per ricordare alcuni dei momenti di grande iniziativa radicale, di cui gli italiani non sanno.
Noi non possiamo accettare questa cancellazione silenziosa. Il problema investe naturalmente in primo luogo la RAI e quello che dovrebbe essere il servizio pubblico dell’informazione radiotelevisiva, ma investe anche Mediaset e Sky, investe la Commissione di vigilanza e controllo sulle trasmissioni radiotelevisive rimasta sostanzialmente inerte dopo la cacciata di Villari e l’elezione di Zavoli, investe l’Autorità Garante delle comunicazioni i cui richiami e le cui richieste sono stati sostanzialmente elusi, riguarda anche se in maniera meno evidente e meno totalitaria la carta stampata, riguarda la maggioranza di governo, ma riguarda anche la responsabilità dell’opposizione e in particolare quella del PD, ai cui gruppi parlamentari appartengono, sia pure con il riconoscimento di una loro autonomia, i nostri deputati e senatori.
Noi siamo ancora una volta chiamati a rompere questa cortina di esclusione, di censura e di silenzio,rispetto alle persone attive nel contesto sociale, alle formazioni politiche, ma soprattutto a tutta una serie di tematiche completamente ignorate nei palinsesti televisivi.
Abbiamo ritenuto nell’ultimo Comitato nazionale che la lotta per conseguire questo difficile risultato debba passare necessariamente, come è già avvenuto nelle elezioni europee, attraverso la autonoma presentazione elettorale alla prossima consultazione per il rinnovo dei consigli regionali, prevista per il prossimo mese di marzo e che interesserà quasi tutte le Regioni a statuto ordinario.
E’ un terreno per noi arduo. In primo luogo perché è un terreno – quello delle elezioni regionali come quello delle elezioni amministrative – sul quale fin dal 1980 abbiamo sempre escluso di potervi impegnare i simboli e i candidati radicali, se non in casi eccezionali in cui ci si poteva misurare con iniziative politiche e convergenze elettorali straordinarie. In secondo luogo perché rispetto alle europee non avremmo il diritto che era riconosciuto alla lista Bonino-Pannella in forza della rappresentanza che avevamo avuto a Bruxelles e per parteciparvi dovremo invece superare l’ostacolo, davvero impervio, della raccolta delle firme regione per regione e collegio provinciale per collegio provinciale. E’ un appuntamento elettorale, questo delle elezioni politiche regionali, che vede da un lato pregiudicata per molti dei nostri dirigenti, a partire da Marco Pannella, in conseguenza delle azioni di disobbedienza civile poste in essere negli anni precedenti, la possibilità di essere candidati; assurdità tutta italiana che consente alla medesima persona di poter essere parlamentare italiano o europeo, ma non amministratore locale e dall’altro una pressoché teorica possibilità di raccolta firme in sei mesi. Ed è per questo che il Comitato nazionale di Radicali Italiani insieme agli altri soggetti della galassia radicale ha deciso da subito il lancio di una campagna per la raccolta di pre-firme, cioè di disponibilità di persone che in ogni parte d’Italia – convinte della necessità di una autonoma presentazione radicale, si dichiarino pronte a firmare le liste nelle diverse province nei tempi ristretti e con le formalità rigide previste dalla legge. Una campagna di cui abbiamo avvertito la necessità, ma che comprensibilmente non siamo ancora riusciti a far decollare.
Dobbiamo ricostruire dunque, con la raccolta delle pre-firme e poi con la presentazione delle nostre liste, i rapporti di forza necessari per assicurare la autonomia del soggetto politico radicale, condizione necessaria di ogni rapporto di alleanza.
Non possiamo rimandare questa prova ad altri futuri impegni elettorali in primo luogo perché allora sarebbe con ogni probabilità troppo tardi e in secondo luogo perché ormai, da tempo, il dissesto politico amministrativo di quello che chiamiamo regime partitocratrico, anche in termini di spesa pubblica, passa già oggi attraverso le Regioni, le loro leggi, i loro bilanci, i loro indebitamenti ancor prima che giunga a compimento la discussa e scarsamente meditata riforma federalista.
Essa può infatti avere successo solo se riusciremo a dare vita – da qui alla consultazione regionale - in tutto il Paese ad una grande campagna politica e sociale, che riesca con i metodi della nonviolenza gandhiana e radicale a dare espressione politica a quel senso di diffusa rivolta civile e morale suscitata dalla diffusa illegalità e dal conseguente degrado ad ogni livello delle istituzioni e della vita politica e amministrativa.
Non esistono scorciatoie a questo difficile compito.
Anche l’ipotesi di presentazione di nostre liste in una alleanza di coalizione non ci sottrarrebbe dalla necessità di raccogliere le 160mila firme necessarie se si vuole essere presenti su tutto il territorio interessato alla consultazione elettorale regionale.
Ma noi non possiamo dare per scontata questa soluzione, stiamo verificando la possibilità di coalizione con i Verdi e con i Socialisti.
E non possiamo dare per scontata la decisione di presentazione autonoma di nostre liste in tutte le Regioni, almeno fino a quando i rapporti con il PD rimarranno quelli che sono stati fino ad oggi.
Noi non siamo un partito comunque a disposizione del PD, che è portato a includerci o ad escluderci a seconda dei propri mutevoli interessi. Un rapporto di alleanza può nascere soltanto da una chiara convergenza programmatica, in cui accanto a punti di comprensibile reciproca autonomia e anche di dissenso siano però chiari alcuni obiettivi comuni di riforma e un mutamento profondo del modo di atteggiarsi, per quanto riguarda le responsabilità di governo e di gestione della cosa pubblica, nei confronti della vita politica e amministrativa. Credo che sia questo il senso della proposta di una “alleanza democratica” fatta da Pannella e Bonino nel loro recente incontro con Pierluigi Bersani alla vigilia del suo insediamento alla assemblea nazionale del 7 novembre. E una alleanza democratica – basata su progetti politici e convergenze programmatiche e non su spartizioni di potere - presuppone per quanto ci riguarda se non la fuoruscita almeno la decisa rimessa in discussione della logica dell’occupazione partitocratrica delle istituzioni.
Così come nella primavera scorsa abbiamo avvertito l’urgenza e la responsabilità di dover rendere un’opera di verità documentando i misfatti che il sessantennale Regime partitocratrico ha posto in essere determinando la scomparsa della legalità costituzionale, della Democrazia e dello Stato di Diritto, per avviare il recupero della legalità democratica e rilanciare gli obiettivi e le speranze della rivoluzione liberale, così nelle scorse settimane abbiamo ricostruito con meticolosità quasi notarile, le vicende dei nostri rapporti con il centro sinistra, prima con DS e Margherita e poi con il PD. Dalla preclusione al nome di Luca Coscioni sulle nostre liste alle regionali del 2005, alla accettazione nella Giunta per le elezioni del Senato di una interpretazione che impediva la proclamazione di otto senatori legittimamente eletti a vantaggio di altri otto che non ne avevano diritto (con un ulteriore indebolimento della già esigua maggioranza del Governo Prodi), all’accordo obbligato che ci ha impedito una presentazione di liste autonome, alle politiche del 2008, a differenza di quanto era invece concesso all’Italia dei Valori e ci ha imposto il diktat dell’esclusione delle candidature di Marco Pannella, di Sergio D’Elia, di Silvio Viale, fino alle più recenti vicende che hanno preceduto le elezioni europee: il concorso del PD all’elevazione dello sbarramento del 4% alla immediata vigilia del voto, il venire meno della parola data di una elezione di Marco Pannella nelle liste del PD alle europee, l’annuncio provocatorio dato da Franceschini di un divorzio consensuale a cui non avevamo dato mai alcun consenso. Ricostruire la verità dei fatti, anche su tutto questo, per gettare le basi per un rapporto migliore, o meglio per un rapporto e un confronto leale e fruttuoso che fino ad oggi non c’è mai stato.
Sono rimasta particolarmente colpita dal fatto che il tema della riforma della giustizia non sia stato praticamente mai affrontato da alcuno dei candidati alla segreteria del PD. Eppure, un grande partito che si definisce democratico non può ignorare quel grande principio di ogni moderna democrazia che vuole, ad esempio, l'assoluta autonomia (e conseguente separazione) fra giudice e pubblico ministero. Purtroppo in questo primo scorcio di legislatura, tanto la maggioranza quanto l’opposizione, quando hanno affrontato il tema della giustizia, lo hanno fatto solamente in termini di “sicurezza”.
Non vi è tra i dirigenti dei due schieramenti (fatte le debite eccezioni) la cultura del giusto processo, la cultura del rispetto concreto dei diritti fondamentali, la cultura del processo, la cultura del processo accusatorio.
Eccetto che sui processi che toccano da vicino il Presidente del Consiglio, sulla giustizia non vi è distinzione, la pensano tutti allo stesso modo e non trasmettono alcuna idea di novità culturale. E non è certo un caso se oggi Luciano Violante non trovi più i consensi di una volta all'interno di un mondo che non è in grado di apprezzare determinati mutamenti culturali.
Se questo è il contesto, è necessario sollecitare innanzitutto il più grande partito di opposizione, la cui nuova dirigenza si è da poco insediata, ad assumere sul tema della riforma della giustizia (in un momento assai delicato e forse decisivo) una posizione chiara che non si fermi al no aprioristico ad ogni prospettiva di cambiamento o a modesti slogan tipo "giustizia come servizio ai cittadini" o "certezza della pena".
E' ora che si prenda atto che i cambiamenti sono ormai necessari - come più volte ha ribadito il Capo dello Stato anche sulle problematiche relative alla giustizia - e che si esca dalla palude del rifiuto, sempre e comunque, di ogni prospettiva riformatrice.
Da questo punto di vista il pungolo "provocatorio" dei parlamentari radicali può essere quanto mai utile ed opportuno.
Noi proponiamo – dal vivo della lotta politica – la riforma americana della giustizia.
Vi invito, anche su questo, a leggere il progetto elaborato da Mario Patrono per “una Riforma Radicale delle istituzioni”, dove trovate l’ultima parte proprio dedicata alla riforma della disastrata giustizia italiana.
Quando diciamo che dobbiamo avere l’ambizione – io direi il senso di responsabilità – di candidarci al Governo del Paese, dobbiamo semplicemente osservare le macerie che il sistema partitocratico è stato capace di accumulare in questi decenni e contemporaneamente ricordare, nei decenni, cosa abbiamo proposto e attivato come alternativa.
Non ci siamo mai limitati a denunciare, ma abbiamo sempre avuto cura di offrire soluzioni.
Posso fare solo un elenco? Un elenco può essere noioso, però io vi chiedo di immaginare l’Italia con queste riforme se solo il gioco fosse stato semplicemente democratico e non truccato dal fascio degli interessi partitocratici che solo raramente, e momentaneamente, siamo riusciti a slegare prima che si ricomponesse.
1978
Legge Reale
Reati opinione e associazione
Abolizione Tribunali Militari
1981
Fermo di polizia
Ergastolo
Porto d’armi
Reati opinione e associazione
Smilitarizzazione Guardia Finanza
1987
Responsabilità civile magistrati
Commissione inquirente
Sistema Elettorale CSM
1995
Soggiorno cautelare
1997
Carriere Magistrati
Incarichi extra-giudiziari magistrati
Sistema elettorale CSM
Smilitarizzazione Guardia Finanza
Responsabilità civile Magistrati
1997 (quando depositammo i referendum in tutte le segreterie comunali, facendo un appello agli imprenditori per sostenerli e farli propri)
Smilitarizzazione Guardia di Finanza
Separazione carriere magistrati
Responsabilità civile dei magistrati
Carcerazione preventiva
Termini ordinatori
1999
Consiglio Superiore della Magistratura
Separazione delle carriere
Incarichi extragiudiziari
Smilitarizzazione della guardia di Finanza
Responsabilità civile dei magistrati
Carcerazione preventiva
Termini ordinatori e perentori
In questi giorni siamo stati tutti colpiti dalla vicenda di Stefano Cucchi che è venuta alla luce grazie alla sua straordinaria famiglia e a Luigi Manconi. Sta emergendo quello che prima veniva nascosto. Io credo che ha questo abbia contribuito anche la straordinaria iniziativa, da noi promossa, del Ferragosto in carcere quando, per la prima volta, 168 parlamentari di tutti gli schieramenti hanno visitato pressoché tutte le carceri italiane.
Si è trattato della più massiccia azione di sindacato ispettivo mai effettuata in Italia. Iniziativa che ha consentito non solo e non tanto l’acquisizione dei dati di tutti gli istituti penitenziari, ma che ha dato la possibilità di conoscenza diretta e quindi di consapevolezza di quella che è la realtà carceraria, dell’intera “comunità penitenziaria”, fatta non solo di persone private della loro libertà, ma anche di tanti operatori, dai direttori agli agenti, agli educatori, psicologi e assistenti sociali che la realtà del carcere la vivono quotidianamente. Questo, credo, sia stato uno degli aspetti di maggior rilievo che questa iniziativa ha garantito: la conoscenza diretta. Buona parte di coloro che vi hanno partecipato hanno avuto modo per la prima volta di vedere questa realtà e lo abbiamo sentito dalle testimonianze rilasciate a Radio Radicale – che ancora una volta ha garantito un apporto fondamentale – come in molti abbiano avvertito la responsabilità di doversene occupare e di meglio comprendere come in effetti tante siano le azioni possibili sia nel breve che ne lungo periodo.
Ora si tratta di farsi forti di quell’iniziativa e di quel coinvolgimento trasversale che si è creato per portare avanti a livello parlamentare e non solo iniziative volte a realizzare quelle soluzioni necessarie, anche perché davvero si è raggiunto un livello inumano, intollerabile, senza precedenti, e lo si riscontra anche solo tenendo conto di quanto stiano crescendo i suicidi in carcere. Su questo fronte abbiamo avviato le procedure affinché i detenuti possano depositare i ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per le violazioni che quotidianamente sono costretti a subire e analoga iniziativa a quella di ferragosto verrà organizzata per la prima decade di dicembre per quanto riguarda i centri di prima accoglienza e di identificazione ed espulsione.
Occorre essere chiari: ciò che accade nei nostri istituti di pena, è soltanto l’epifenomeno della ben più ampia (e grave) situazione di crisi e sfascio della giustizia. Come giustamente dice Marco Pannella, il sistema e il problema carcerario è solo un’appendice del sistema e del problema giustizia. E’ sotto gli occhi di tutti che l’Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato all’ordine a più riprese dal Consiglio d’Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato dal Commissario Gil-Robles già nel 2005, il quale sottolineava proprio la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano.
Nella relazione presentata alla Camera dei Deputati il 27 gennaio scorso il Ministro della Giustizia ha (tra l’altro) detto: “Quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all’attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell’arretrato o meglio ancora del debito giudiziario che lo Stato ha nei confronti dei cittadini: 5 milioni 425mila i procedimenti civili, 3 milioni 262mila quelli penali (che arrivano a 5 milioni e mezzo con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti ndr). Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema”. Dunque secondo i dati ufficiali, sommando civile e penale, in Italia l’arretrato dei processi sfiora la cifra iperbolica di 11 milioni di procedimenti pendenti, che sarebbero molti di più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben 2 milioni di prescrizioni (nel nostro Paese secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero della Giustizia si contano circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno). Nel dubbio se chiamare tutto ciò “fallimento” o “bancarotta fraudolenta”, occorre essere consapevoli che in un contesto del genere i concetti di “pena certa” e di esecuzione “reale” della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti. In questo quadro e per queste ragioni, contro l’amnistia anonima, strisciante, di classe ed illegale chiamata prescrizione, solo un ampio e definitivo provvedimento di amnistia e di indulto potrebbe consentire, da un lato, una sensibile riduzione della popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettiva e regolamentare e, dall’altro, l’eliminazione di più della metà degli attuali procedimenti penali pendenti, ciò che potrebbe essere serio e non velleitario presupposto per quelle riforme strutturali del sistema giudiziario e penitenziario senza le quali appaiono gravemente a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione.
I rapporti con il PD andranno meglio con il nuovo segretario di quanto non lo siano stati con Veltroni e Franceschini? Durante le primarie Bersani ha parlato di non biodegradabilità radicale. Non abbiamo compreso se fosse un giudizio negativo o la premessa del necessario riconoscimento della nostra autonomia politica, organizzativa ed anche elettorale dal momento che ci sono state sbarrate le porte del PD e la possibilità di partecipare alla sua costituzione con il rifiuto della candidatura di Pannella alle primarie per la prima segreteria.
Più recentemente Pierluigi Bersani ha parlato di ”specificità radicale”, si è incontrato con Pannella e Bonino, ci ha indicato nella sua relazione alla Assemblea Nazionale tra le forze politiche presenti in Parlamento con cui bisogna confrontarsi per costruire un progetto di alternativa. Sono i primi prudenti segni di una volontà di dialogo?
Se è così ci auguriamo che abbiano presto un seguito.
Noi, siamo comunque disposti a parteciparvi con le nostre analisi (le stesse che abbiamo raccolto nel documento “La peste italiana”) e con le nostre proposte di riforma, davvero radicale, per la ricostruzione della democrazia, la riconquista della legalità, la moralizzazione della vita pubblica.
Occorre un confronto sulle riforme istituzionali, da questo punto di vista due sono gli elementi di novità che si muovono nella direzione da noi sempre indicata (e sempre rifiutata a sinistra): l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione sui partiti politici e la riduzione del costo complessivo della politica per allinearlo ai parametri europei. Sulla riforma elettorale ci accomuna il fatto che la scelta dei parlamentari debba essere affidata al voto degli elettori, noi siamo convinti che l’unico sistema che può garantire davvero questo, sia il sistema uninominale (scelta peraltro indicata dallo stesso PD nel programma per le elezioni politiche scorse), completando il processo di informazione e conoscenza della vita istituzionale e dei suoi rappresentanti con l’istituzione dell’APE, che consente di selezionare la classe politica e lega gli eletti agli elettori nel e al territorio.
Quanto alla riduzione dei cosiddetti costi della politica, di fronte alla proposta di riduzione dei parlamentari noi diciamo attenzione, guardate all’esempio inglese: vi sono piccoli collegi ove i candidati e soprattutto gli eletti sono conosciuti e quindi esprimono effettiva rappresentatività del territorio. In questo esempio la Camera dei Comuni funziona benissimo e c’è un numero di deputati superiore a quello della Camera italiana.
Occorre il confronto sulle altre riforme di cui il Paese ha bisogno dal welfare all’ambiente, dall’energia al territorio.
Ed è proprio il territorio un altro dei fronti, su cui voglio soffermarmi, di assoluta centralità anche rispetto al risvolto attuale sia in relazione al cosiddetto Piano Casa, sia in relazione alle recenti catastrofi dell’Abruzzo e di Messina, che sono solo le ultime di una lunga serie e che offrono l’opportunità di riproporre la questione centrale: proseguire con una politica partitocratica che privilegia interessi personali e procede sull’emergenzialità o una politica di governo del territorio per il bene della collettività tutta?
Tutte quelle case che abbiamo visto polverizzate sono il segnale di un Paese che è stato incapace a governare la particolarità del suo territorio, che ricordo è sismico al 75%.
Oltre la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane e smottamenti, terremoti e fenomeni vulcanici.
Il rischio idrogeologico a livelli molto elevati interessa il 60% dei comuni italiani.
Come ha avuto modo di dire chiaramente in Senato anche Guido Bertolaso, l’Italia vanta il record dei rischi naturali, ma tutto questo è stato troppo spesso sottovalutato e ignorato per dare ampio spazio al cosiddetto sviluppo delle città, delle aree industriali e commerciali, delle infrastrutture e, soprattutto, dell’attività di costruzione di nuovi insediamenti abitativi utilizzando il territorio come se tali rischi non esistessero e non costituissero una reale minaccia per la vita dei cittadini.
Si è consentito che si costruisse fuori da ogni regola e fuori da ogni criterio di buonsenso, considerando possibile costruire sul greto dei fiumi, sui versanti delle colline disboscate e quindi instabili.
La vulnerabilità degli edifici riguarda milioni di vani dell’edilizia residenziale post-bellica, priva di qualità e non antisismica, costruiti in Italia nel corso degli ultimi 60 anni con una irresponsabile espansione urbanistica.
Per molti anni abbiamo scontato la mancanza di normative adeguate e poi di leggi incomplete perché mancanti dei regolamenti attuativi o semplicemente disattese.
Dopo i terremoti del Friuli e dell’Irpinia i Radicali hanno posto il tema politico di una normativa capace di affrontare i temi della prevenzione; così come con l’elezione di Marco Pannella nel consiglio comunale di Napoli, all’inizio degli anni ’80, sottolineando il rischio Vesuvio, i Radicali hanno posto e proposto la necessità di un riequilibrio economico-territoriale da realizzare con la decongestione dei pesi urbanistici, con l’estensione dell’area metropolitana oltre la provincia e la rottamazione dell’edilizia di bassa qualità. Napoli è un esempio emblematico, è la provincia più densamente popolata d’Italia, con 3 milioni e mezzo di abitanti, con ben due aree vulcaniche: la vesuviana e la flegrea.
Tale proposta dal livello locale di Napoli è stata poi estesa anche a livello nazionale, con il “Manifesto per la rottamazione edilizia post-bellica priva di qualità e non antisismica” di Aldo Loris Rossi; e sul piano internazionale, con il “Manifesto di Torino” dello stesso Rossi approvato nel 2008 dal XXIII congresso mondiale dell’Unione internazionale degli architetti.
Ma la classe politica dirigente di questo Paese ha continuato e continua a privilegiare altri interessi, anche i recenti provvedimenti sul cosiddetto “Piano casa” non fanno che peggiorare quel malcostume ormai così tanto diffuso.
Nato per dare impulso all’economia a partire dall’edilizia dovrebbe almeno avere come obiettivo parallelo quello del raggiungimento di quella qualità o miglioramento dell’architettura, dell’urbanistica, del paesaggio nel suo complesso e dell’adeguamento degli impianti volto ad un risparmio energetico, invece si sta rivelando una più ampia e incontrollata cementificazione senza regole omogenee sul territorio nazionale, con agevolazioni fiscali e in termini di oneri concessori assolutamente ingiustificabili e peraltro inique perché di classe e per non per tutti.
Manca ancora il decreto legge di semplificazione di alcune procedure di competenza dello Stato, c’è solo un’intesa fra Stato e Regioni che grazie ad un federalismo tutto all’italiana lascia a ciascuna Regione la possibilità di normare il piano casa con ampi margini di discrezionalità e infatti i disegni di legge regionali già approvati mostrano un ampio spettro di declinazioni a livello territoriale con diseguaglienze e obrobri.
Ancora una volta si affronta la questione con lo spirito dell’emergenzialità senza pensare a riforme di lungo respiro. La parte relativa, ad esempio, alla “rottamazione” degli edifici andrebbe resa permanente essenzialmente per due motivi:
1) La riqualificazione. Considerarla una misura di sostituzione urbana, tenendo conto che il territorio è una risorsa limitata e che questo Paese risulta già abbastanza urbanizzato;
2) L’aspetto economico. Consentire una prospettiva economica di lungo periodo, le imprese sarebbero portate a pianificare investimenti, anche in termini di manodopera, se la prospettiva non fosse quella di pochi mesi, della contingenza, ma di più lunga durata. Se gli obiettivi fossero quelli di un’ampia azione di riqualificazione del patrimonio edilizio urbano, sia in termini di sostituzione, sia in termini di adeguamento alle norme antisismiche e a quelle volte al raggiungimento dell’efficienza energetica.
Non va sottovalutato che le norme europee sul rendimento energetico nel campo edilizio prevedono che le costruzioni realizzate dopo il 2018 dovranno produrre da fonti rinnovabili la stessa quantità di energia che consumano. Allora, perché dovendoci mettere mano oggi, non si tiene già conto di tutto questo?
Non si può continuare come in questi 60 anni, dove l’attenzione al territorio non è stata una priorità per nessuno, per nessun Governo.
La logica che si è sempre seguita, è stata quella di una cultura della crescita, dell’urbanizzazione e dello sviluppo, che non ha considerato, né in modo prioritario, come sarebbe stato necessario, né in modo marginale le reazioni della natura e gli effetti che ne sarebbero derivati.
Occorre prendere coscienza di questo, degli usi e degli abusi che sono stati fatti e porsi come obiettivo quello innanzi tutto di mettere in sicurezza l’intero territorio italiano. Non bastano le denunce, o il rammarico dopo le disgrazie, occorre mettere mano ad un piano complessivo di riassetto e di rinnovamento per riportare le soglie di rischio a livelli accettabili, quindi prendere coscienza degli errori commessi e mettere in atto misure di salvaguardia e di miglioramento.
Ecco perché riteniamo che sia prioritario concentrare le poche risorse disponibili per affrontare un piano complessivo di proposta di riassetto e rinnovamento.
Questa può essere la grande opera.
Questi sono i punti programmatici su cui vogliamo confrontarci con i compagni del PD.
Resta tuttavia preoccupante che su due grandi questioni – politica europea ed oggi euromediterranea e promozione della democrazia e dei diritti umani, da una parte, e dall’altra la questione morale – sia stato impossibile, fino ad oggi, trovare tra PD e Radicali un terreno di azione comune. Quanta forza e determinazione abbiamo dovuto esercitare per letteralmente trascinare D’Alema e l’intero governo Prodi sulla moratoria delle esecuzioni capitali e tuttora vi è un mancato coinvolgimento, a parte l’impegno di singoli esponenti, sul fronte dell’istituzione dell’Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, che ormai è indispensabile per riavvicinare gli elettori e per ridare credibilità alla classe politica nazionale e locale.
Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si vanta di aver sconfitto o eliminato, uno ad uno, tutti i suoi avversari politici: da Achille Occhetto a Valter Veltroni passando per Prodi, D’Alema e Rutelli. Si contano, addirittura, ben sette leader del centrosinistra caduti nella lunga sfida con il più abile torero che sia mai sceso nella nostra arena politica. Anzi, otto. Perché Berlusconi inserisce nell’elenco anche Renato Soru, leader in pectore, battuto nelle ultime elezioni regionali sarde.
Ma la netta sensazione è che il Cavaliere sia stato spesso salvato o favorito dai suoi stessi avversari che, evidentemente, lo considerano più affidabile di altri nel gestire e mantenere il malcostume spartitorio di questo monopartitismo imperfetto, oligarchico e antiliberale. Berlusconi infatti non è il Male di oggi, è soltanto il frutto del sistema che vige da sennt’anni. Lui ha trovato un’autostrada e il pericolo è la rincorsa e l’accelerata che sta dando al degrado istituzionale, fino ad impedire di fatto l’attività parlamentare.
In Italia ci sono due schieramenti politici, ma non sono le due coalizioni elettorali che conosciamo. C’è un polo partitocratico, reazionario e conservatore, che taglia trasversalmente sia il centrodestra che il centrosinistra, ed è di gran lunga dominante nel Palazzo, ben organizzato e ancora saldo al Potere, ma per fortuna, ci sono anche delle pattuglie nonviolente di corsari e di resistenti. Sono per lo più cittadini ignoti, sconosciuti, spesso nascosti. Rappresentano, rappresentiamo, l’alternativa al blocco partitocratico.
Insomma, al di là della non-democrazia italiana, vi è un polo democratico e liberale, che travalica i due schieramenti, passa attraverso le coalizioni in campo e va oltre gli steccati di parte o di partito. Si tratta, cioè, di una componente riformatrice, attualmente minoritaria nel Parlamento italiano, eppure maggioritaria nel Paese, che andrebbe ricomposta.
Come Radicali, perciò, ci candidiamo a costruire e ad essere l’alternativa democratica e di Governo rispetto a questo Regime. Da tempo, ormai, siamo pronti a rappresentare l’alternativa possibile all’attuale classe dirigente italiana.
Ma per fare ciò, occorre conquistare e salvare le speranze concrete di un cambiamento possibile, che ciclicamente si ripresenta. Come è oggi.
E noi continueremo a lottare per il possibile contro il probabile. Ci rivolgiamo, perciò, a tutti quei laici, a quei credenti laici, liberali, socialisti, verdi, ambientalisti e radicali che hanno deciso di “non mollare”.
Marco Pannella ci dice spesso che sente avvicinarsi l’occasione per attuare in Italia un cambiamento “radicale”. Come? Attraverso l’energia sprigionata da una RIVOLTA, da una rivoluzione liberale, democratica e nonviolenta.
Si deve costruire, al più presto, un’unità composta da coloro che, nel panorama politico e sociale nazionale, rappresentano “il nuovo possibile”.
I discorsi di Gianfranco Fini sulla cittadinanza e sulle riforme rivendicano lo spazio di un dibattito approfondito e sincero.
Ormai le vecchie categorie novecentesche di destra, centro e sinistra non hanno più senso. Sono certo utili per leggere il passato e la storia, ma non servono a capire il presente e non aiutano ad immaginare il futuro.
Il dibattito sulla libertà di voto, di stampa e di parola nel nostro Paese è aperto. Ma gli spazi per la libertà di conoscenza sono chiusi.
Fino a quando i Radicali riusciranno ad essere speranza per le coscienze laiche, liberali e libertarie del nostro Paese? La r/esistenza non basta più. Occorre la Liberazione. Occorre la RIVOLTA liberale.
Dobbiamo saper coinvolgere e convogliare tutte quelle categorie sociali che vivono il disagio di una politica corrotta e corruttrice, incapace di governare le esigenze del Paese, quei piccoli imprenditori costretti a chiudere le loro imprese, quei lavoratori non garantiti da ammortizzatori inesistenti, quei poliziotti riunitisi in Piazza Navona, quei cittadini non italiani ghettizzati e discriminati, quei malati privi di assistenza, tutti i deboli ignorati e dimenticati.
E’ da loro e con loro che deve partire la RIVOLTA nonviolenta per l’affermazione e il riscatto di un futuro migliore e possibile.
E proprio perché è importante rievocare la memoria, per il nostro presente e per dare un futuro alla memoria, voglio ricordare Leonardo Sciascia. Tra qualche giorno ricorre il ventesimo anniversario dalla scomparsa di Leonardo Sciascia, del nostro compagno e capolista radicale: Leonardo Sciascia.
In questo 2009, ricorre anche il trentennale dalla elezione dello scrittore siciliano al Parlamento italiano. Risale, infatti, alla primavera del 1979 la sua candidatura nelle liste del Partito Radicale.
Ricordare Leonardo Sciascia ci permette di rinnovare con la memoria questo nostro presente. E guardare avanti.
Gli scritti, gli interventi parlamentari, gli articoli del maestro di Racalmuto sembrano davvero darci la cifra del presente politico in cui viviamo. Sono la chiave di lettura più lucida per interpretare e comprendere l’attualità, la cronaca, le vicende di questi ultimi mesi.
Sciascia aveva una peculiarità: era molto attento al senso, all’uso e al significato di ogni singola parola, studiava le sfumature che si nascondono dentro ogni vocabolo.
Lo faceva quando parlava di mafia, lo fece quando approfondì lo studio delle lettere di Aldo Moro scritte dalla “prigione del popolo” durante i giorni del sequestro.
Sciascia si soffermò sulle singole parole, su ogni termine, su ciascun vocabolo per offrire una lettura più profonda e umana dell’allora presidente della Dc e di quelle lettere. Fino a dimostrare quanto, quelle missive, fossero autentiche e non il frutto di un uomo privo di senno o costretto a scrivere sotto dettatura o a seguito di un “impazzimento”. Ci vorrebbe un Leonardo Sciascia ad analizzare il linguaggio di questo Regime partitocratrico.
Leonardo Sciascia diceva già allora: “Bisogna ormai salvarsi dai partiti… La partitocrazia ha terribilmente deteriorato l’istituzione democratica, non c’è dubbio”.
Sono passati trent’anni, ma non è cambiato molto, anzi: le cose sono peggiorate e vanno precipitando.
Concludendo, voglio ricordare che questo nostro Congresso è il primo di una serie di appuntamenti che ci vedranno impegnati per i prossimi dieci giorni. Dopo Chianciano, a Roma sono previsti diversi eventi del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e transpartito che avrà nella riunione del suo Consiglio Generale il momento più importante di sintesi dell’attività complessiva di questo anno del soggetto e della galassia radicale.
Noi tutti abbiamo bisogno di un grande Partito Radicale, di cui come Radicali italiani siamo uno dei soggetti costituenti. Certo è una forma organizzativa, la nostra, complessa, a volte persino complicata e talvolta finanche foriera di incomprensioni fra i soggetti che articolano la galassia, ma siamo una realtà che vive con passione l’impegno civile e politico.
Voglio ringraziare quanti hanno riposto in me la fiducia per guidare il Movimento in questo anno e mezzo, è stata per me un’esperienza inattesa e gratificante, anche se non nascondo il fatto che è stata allo stesso tempo molto faticosa e mi ha piuttosto provata fino a indebolire la mia presenza e attività nel corso dell’ultimo mese. Spero di non aver deluso le vostre aspettative, tuttavia sono da questo punto di vista serena, come lo sono stata in tutti questi miei 30 anni di militanza radicale.
Ho la soddisfazione di essermi potuta avvalere di una Giunta esecutiva forte e prestigiosa e ho avuto la fortuna e l’onore di avere al mio fianco e come riferimento due GRANDI Radicali, citerò solo loro per ringraziare quanti hanno collaborato con me: Gianfranco Spadaccia e Angiolo Bandinelli, a quest’ultimo in particolare voglio che da questo Congresso arrivi il più caloroso saluto e sostegno in questo momento di difficoltà personali che gli impediscono di essere qui con noi a Chianciano, ma che sono certa ci sta seguendo attraverso Radio Radicale.
Grazie a tutti voi e buon Congresso
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