I parlamentari radicali nel gruppo del PD hanno presentato un’interrogazione, a prima firma Rita Bernardini, al Ministro della Giustizia Alfano sul suicidio del detenuto Antonio Tammaro nel supercarcere di Sulmona.
L’uomo - 28enne, di origini napoletane - era detenuto nella parte dell’istituto adibita a Casa Lavoro, quindi non stava scontando una pena per aver commesso reati, ma era sottoposto a misure di sicurezza perché socialmente pericoloso. Tammaro si è impiccato mercoledì sera, nella cella che occupava da solo, il giorno dopo il suo rientro da un permesso premio.
Non solo questo è il 4°suicidio nei primi otto giorni del nuovo anno (dopo un 2009 che, con 72 suicidi, ha stabilito il peggior record di tutti i tempi), ma è anche l’ottavo in cinque anni nel solo carcere di Sulmona, dove la Casa Lavoro – la più grande d’Italia, che attualmente ospita circa 160 internati a fronte di una capienza regolamentare di cento posti – non si distingue dal carcere se non per il nome. E proprio sulle condizioni della Casa Lavoro di Sulmona i parlamentari radicali avevano già presentato un’interrogazione, che giace ancora senza risposta.
Rita Bernardini e i colleghi della delegazione Radicale nel Pd si sono dunque rivolti al ministro Alfano per sapere, tra l’altro, se intenda avviare un’indagine amministrativa interna per verificare l’esistenza di eventuali profili di responsabilità del personale in merito al suicidio di Antonio Tammaro; se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare una detenzione più rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali, anche attuando misure per prevenire il rischio-suicidi; se non intenda provvedere all'immediata chiusura della casa di lavoro di Sulmona, o quanto meno, prendere iniziative per rivedere la sua organizzazione e funzionalità.
I radicali, infine, più in generale hanno chiesto al ministro se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per sostituire il requisito della pericolosità sociale (di dubbio fondamento empirico), quale presupposto per l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, con altro quale ad esempio quello del «bisogno di trattamento».
SEGUE TESTO INTEGRALE DELL’INTERROGAZIONE
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
Al Ministro della Giustizia
Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da una nota dell’agenzia Adnkronos, nella serata del sette gennaio, Antonio Tammaro, 28enne, si è tolto la vita nel carcere di Sulmona impiccandosi legando le lenzuola alle grate della sua cella;
l’uomo era detenuto nella parte dell’Istituto adibita a Casa Lavoro, quindi non stava scontando una pena per aver commesso reati, ma era sottoposto ad una misura di sicurezza in quanto socialmente pericoloso;
Tammaro occupava una cella singola ed era tornato mercoledì in istituto dopo aver usufruito di un permesso premio;
nel carcere di Sulmona insiste la Casa Lavoro più grande d'Italia, atteso che attualmente nella stessa sono presenti circa 160 internati a fronte di una capienza regolamentare di cento posti; la sottoposizione a casa lavoro si caratterizza per il carattere sostanzialmente afflittivo e non rieducativo in quanto la stessa non si distingue dal carcere se non nella denominazione e nel titolo della custodia, posto che: a) nella casa lavoro la maggioranza degli internati non lavora e molti di loro iniziano a svolgere un'attività lavorativa dopo 4-5 mesi di internamento e per periodi limitati; b) agli internati nella casa lavoro sono concesse solo 4 ore d'aria nell'arco della giornata e trascorrono le restanti 20 in cella; c) nelle ore d'aria gli internati vengono condotti in un cortile della struttura penale del tutto simile a quello dei detenuti; d) le visite con i familiari si svolgono nelle sale colloquio dei detenuti dove sono sistemati tavoli di cemento e vetri divisori; e) il rapporto tra operatori civili e internati è difficoltoso a causa dell'elevato numero di internati nella struttura;
sulle condizioni della Casa Lavoro del Sulmona gli interroganti hanno presentato nel corso della presente legislatura una interrogazione a risposta scritta (4/03276) alla quale non è stata data ancora risposta;
quello di Antonio Tammaro è l’ottavo suicidio che avviene negli ultimi cinque anni nel carcere di Sulmona ed è già il quarto suicidio consumatosi nelle carceri italiane nei primi otto giorni del nuovo anno;
sempre il 7 gennaio, oltre a Tammaro, si è tolto la vita un altro detenuto, Giacomo Attolini, 48enne, ristretto nel carcere Montorio di Verona;
nel 2009 i suicidi in carcere sono stati ben 72, segnando il massimo storico di tutti i tempi, ma la morte di due detenuti nello stesso giorno è avvenuta solo in quattro occasioni nel corso degli ultimi dodici mesi:-
quali siano le informazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare l’esistenza di eventuali profili di responsabilità del personale in merito al suicidio di Antonio Tammaro;
se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere registratisi negli ultimi cinque anni nel carcere di Sulmona;
se sia conforme alle disposizioni normative che nella pratica attuazione la sottoposizione a casa di lavoro, almeno nel caso della struttura di Sulmona, non si differenzi dalla detenzione ordinaria;
se non intenda provvedere all'immediata chiusura della casa di lavoro di Sulmona, o quanto meno, prendere le opportune iniziative per rivedere la sua organizzazione e funzionalità, considerata, allo stato, l'inefficacia risocializzante delle misure di sicurezza personali detentive a cui sono sottoposti gli internati;
se, più in generale, non ritenga opportuno assumere le opportune iniziative normative volte ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento».
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