Il Cavaliere sente Fini e riprende il dialogo: decidiamo le cose da fare
Nella vittoria sa di aver perso tre milioni di voti dalle Europee. E come un generale che conta le perdite dopo una battaglia, Berlusconi è consapevole dell’altissimo costo sopportato alle Regionali.
Ha capito il messaggio che gli ha inviato il suo elettorato, l’astensionismo che ha debilitato il Pdl nel giorno del successo. Perciò non è un caso se ieri ha annunciato di voler avviare la stagione delle riforme
«per l’ammodernamento e lo sviluppo del Paese».
Il verdetto delle urne consegna al premier l’occasione di poter muovere da una posizione di forza, ma dovrà riempire di contenuti l’agenda di governo: dalla modifica del sistema istituzionale, alla giustizia, al fisco. Per ora i dossier sono scatole vuote. Eppoi resta da capire se il Cavaliere vorrà ballare da solo o accompagnarsi nella danza con l’opposizione.
Sulla scia di Napolitano, Fini e Bossi spingono per il «dialogo». Berlusconi invece appare restio a quello che considera un gioco di società del Palazzo, siccome dietro il concetto delle «riforme condivise» vede celarsi la voglia dell’intrigo, l’eterno desiderio di ribaltarlo. L’ha spiegato ieri ad alcuni rappresentanti del governo: «L’opposizione si mostra con due facce diverse al centrodestra. Per loro, voi siete degli avversari. Io invece vengo visto sempre come un nemico». In ogni dichiarazione legge questa ostilità nei suoi riguardi, nonostante il suo portavoce Bonaiuti abbia provato a convincerlo che le parole di Bersani dopo il voto erano un segnale di apertura «nelle condizioni in cui il Pd si trova». Il Cavaliere, che non accetta di farsi dettare la linea, men che meno dagli «sconfitti», non ha fatto pollice verso, e questa è già una notizia. Anche perché - come riconosce Matteoli la prima mossa dev’essere di scuola, scontata quasi come un’apertura nel gioco degli scacchi: « È giusto che la maggioranza cerchi inizialmente il dialogo con l’opposizione. Se poi non ci riesce, solo allora, dovrebbe andare avanti da sola. Ma di sicuro le riforme andranno fatte, altrimenti il centrodestra fra tre anni sarebbe condannato al fallimento».
C’è un solo modo per Berlusconi di recuperare quei tre milioni di elettori persi sul fronte dell’astensionismo: mettere alla frusta il governo e tornare a indossare i panni che vestiva il 25 aprile di un anno fa, ai tempi del discorso di Onna sulla pacificazione dell’”Italia liberata”. Perciò non potrà evitare
il rendez vous con il Pd, magari con un dibattito parlamentare che dia rilievo istituzionale all’intenzione di intraprendere la strada dell’«ammodernamento dello Stato». A quel punto il Cavaliere capirà se è rimasto un «nemico» o è diventato un «avversario». D’altronde non ci saranno più elezioni fino al 2013, e dalla prossima settimana non ci sarà più tempo per rammentare l’impresa delle Regionali: «Cinque mesi fa noi eravamo davanti quasi dappertutto. Due settimane fa eravamo indietro quasi dappertutto. Poi sono sceso in campo io...».
Quando ieri Fini lo ha chiamato per complimentarsi del successo elettorale, insieme hanno stabilito di incontrarsi. «Vediamoci», gli ha detto il presidente della Camera: «Dobbiamo stabilire la priorità delle riforme». «Si parte con la giustizia», ha risposto il premier, deciso a far approvare «subito» la legge sulle intercettazioni ferma al Senato, e sul cui testo l’ex leader di An si è già espresso positivamente: «E’ un buon compromesso». Non sarà questa la riforma che l’opinione pubblica ritiene prioritaria ai tempi della crisi, ma Berlusconi non accetta di andare per le lunghe. Eppoi per redigere il nuovo sistema fiscale servirà tempo, «e servirà pazienza con Tremonti».
Con Fini invece, oltre alla questione delle riforme, dovrà affrontare il tema del partito e del rapporto con la Lega, «forza strategica» nell’alleanza di centrodestra - a detta del presidente della Camera - ma che «non può dettare l’agenda». A parte il fatto che Berlusconi considera l’agenda di Bossi molto simile alla sua, «perciò Umberto andrà accontentato al più presto sul federalismo fiscale», sul Pdl è disposto a venire incontro alle richieste dell’altro «cofondatore». Entro l’estate verranno convocati tutti gli organismi, compreso il Consiglio nazionale - un migliaio di componenti - che non è mai stato riunito. È l’idea finiana del «partito che discute».
L’ecumenismo del Cavaliere è figlio del risultato elettorale, «e chi pensava che il governo sarebbe andato incontro a uno smottamento sul modello di Sarkozy - dice Ronchi - ha letto la realtà attraverso la lente deformata dell’anti-berlusconismo».
Così ha buon gioco ora Cicchitto a rispondere a Bersani: «Berlusconi non tramonta». Se facesse davvero le riforme non tramonterebbe nemmeno nel 2013.
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