Catania: mentre continua a stuprare la città, la partitocrazia impone il crocifisso

 La decisione del Consiglio comunale di Catania di esporre il crocifisso nell’aula consiliare, e in tutti gli uffici delle Municipalità, è qualcosa che avvilisce, ma non sorprende. Da sempre le bande partitocratiche di destra, di centro e di sinistra, alleate o in lotta per la spartizione del potere, convergono e si ritrovano quando si tratta di affermare principi e operare scelte che nulla hanno a che fare con la libertà, il pluralismo e il rispetto della laicità delle istituzioni democratiche.

Lunedì scorso, in Consiglio comunale, erano tutti d’accordo: dal Pdl alla Destra, dal Mpa all’Udc al Pd, con la sola lodevole eccezione del consigliere Saro D’Agata, a cui va il nostro più sincero apprezzamento per non essersi conformato alla linea del pensiero unico clericale.

Davvero non c’era niente di più urgente del crocifisso? Era questa una delle emergenze della città? Come mai le forze politiche non adottano con analoga solerzia e compattezza quelle misure necessarie e in alcuni casi perfino doverose? Il regolamento sugli strumenti di democrazia diretta, per esempio, attende di essere emanato da quindici anni, ma ancora il Consiglio comunale non si è deciso a rientrare nella legalità statutaria. Lo sfascio e il degrado iniziano da qui: i cittadini non devono poter conoscere, controllare e partecipare.

Ormai a Catania la ferita al tessuto democratico è purulenta e dolorosa, e non sarà - di tutta evidenza - un simbolo religioso a curare il malato. Catania è una città in ginocchio. E la partitocrazia continua a violentarla.
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