A leggere le linee guida riguardanti l’accordo raggiunto tra Unicredit e sindacati a proposito di esuberi e nuove assunzioni, viene da chiedersi in che paese viviamo e se non si provi almeno un po’ di pudore quando si “ufficializzano” pratiche non meritocratiche e non trasparenti.
L’intesa tra Unicredit e tutti i sindacati (sottolineo “tutti”: DirCredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Silcea, Sinfub, Ugl Credito e Uilca), con un accordo firmato nella notte, prevede la stabilizzazione a tempo indeterminato di 1.700 apprendisti, l’uscita volontaria fino al 15 novembre di 3.000 dipendenti e quella forzosa, se l’obiettivo non fosse raggiunto, cominciando da lavoratori e lavoratrici con 40 anni di contributi. I sindacati hanno chiesto però una garanzia a Unicredit per l’assunzione di 1.121 giovani. Quale?
Il diavolo è nei dettagli: questi 1.121 giovani devono, secondo l’accordo raggiunto, avere una laurea, sapere l’inglese e ,“preferibilmente” essere figli di dipendenti,. Più che "preferibilmente", sarebbe meglio dire “prioritariamente”.
Insomma, sei assunto/a se sei laureato/a, se sai l’inglese e sei figlio/a di papà o mamma’: splendido paradigma meritocratico.
Perché non una selezione aperta a tutti in base ai curricula?
Unicredit è riuscita almeno scongiurare l’ipotesi sindacale di una assunzione automatica dei figli dei dipendenti bancari destinati al prepensionamento. E’ davvero incredibile però constatare come sul merito e sui criteri trasparenti siano disponibili ad abdicare sia i difensori dei lavoratori che coloro che dovrebbero avere interesse ad assumere i migliori, non tanto per vocazione aziendale, ma almeno per puro interesse e profitto.
Il prossimo esponente aziendale o sindacale che si dichiarerà pro merito e denuncerà le storture del sistema Italia, caratterizzato dall' assenza di mobilità sociale e nepotismo, con caste ed ordini professionali bloccati, si è appena assicurato una bella -e amara- risata in faccia. Dopo i figli dei notai che fanno i notai, i figli dei farmacisti che ereditano farmacie, ora anche i figli di dipendenti bancari si sono assicurati una sicura rendita di posizione.
Bell’esempio da dare al nostro paese in un momento in cui l’Italia dovrebbe sforzarsi a promuovere talenti e principi virtuosi per cercare di liberarsi dalle paludi melmose che ci avvolgono sempre più pericolosamente.
Ancora una volta siamo costretti ad assistere all’applicazione su ampia scala del familismo amorale, così brillantemente descritto da un libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino. L’esplicitazione, nero su bianco e con tanto di firma, di un criterio nepotista, di dubbia efficienza e che nulla ha a che fare con la giustizia sociale.
di Valeria Manieri, Direzione Radicali Italiani
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