Bolognetti: Nelle lettere e negli scritti di Ernesto Rossi c’è la mia patria.

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Di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani

Forse proprio in queste ore, a maggior ragione in queste ore, vale la pena ricordare, conservare memoria di quello che è stato e ha rappresentato e rappresenta un uomo come Ernesto Rossi. Leonardo Sciascia in uno dei suoi romanzi meglio riusciti, “Il Contesto”, scriveva: “il nome di uno scrittore, il titolo di un libro, possono a volte e per alcuni, suonare come quello di una patria”. Nelle lettere e negli scritti di Ernesto Rossi c’è la mia patria. E di certo fa bene allo spirito, al cuore, alla mente, sfogliare i suoi epistolari per ritrovare il senso di qualcosa di vero che nel Paese dei tartufi e del tartufismo si è completamente smarrito. Smarrito in una politica che fa il verso al peggiore Reality Show. Aprire un libro di Ernesto Rossi, leggere le sue lettere, è come aprire una finestra e respirare a pieni polmoni dopo aver trascorso ore immerso in una cappa di smog.

Lettera a Egidio Reale(23 febbraio 1947)

 “In questi ultimi giorni ho dovuto interessarmi di un nostro funzionario, presidente della commissione interna di Napoli, sul cui conto la polizia mi dava pessime informazioni. Assunto per vivissime raccomandazioni dell’ANPI, si era spacciato per ingegnere senza esserlo, e subito aveva attaccato il dirigente della sede di Napoli sui giornali e l’aveva denunciato per irregolarità a un ministro comunista, che aveva sostenuto la convenienza di affidargli la direzione di quella sede. Siamo riusciti a resistere alle pressioni, ma gli abbiamo dato un incarico di fiducia: vendere le gemme del più grande deposito di Napoli. Le cose sono andate malissimo. Camorre di tutti i generi. Cerco di farlo allontanare. Impossibile. Ha tutti i documenti che provano che è stato uno degli eroi delle ‘gloriose quattro giornate’ di Napoli nonostante mi assicurino che non era neppure presente a Napoli durante quelle giornate. Domando la fedina penale. Nel 1923 è stato condannato a quattro anni di prigione per peculato. Si difese sostenendo che aveva rubato e regalato biglietti ferroviari(era impiegato alle ferrovie) per favorire le squadre fasciste, ma neppure i magistrati fascisti accettarono una tale scusa. Nel 1925 l’intervento personale di Farinacci lo fece amnistiare considerando la ‘causa nazionale’ del suo reato, mettendo in rilievo che aveva diretto ‘le più sanguinose’ rappresaglie contro i sovversivi. Fra l’altro ha il merito di aver ucciso due comunisti. Faccio presente questo precedente ai comunisti. Si stringono nelle spalle. Non si può toccare. E’ un capo partigiano e fa parte della Commissione interna…”

Ernesto Rossi 

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