Intervento di Maurizio Bolognetti all'inaugurazione dell'Anno Giudiziario

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Potenza, 25 gennaio 2014 

Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale,

il contesto nel quale viviamo è quello di un Paese dove da troppo tempo si consuma “una strage di leggi, di diritto, di principi costituzionali, di norme e di regole che avrebbero dovuto governare la convivenza civile della nostra democrazia…”

Non è pleonastico sottolineare che in Italia, la Costituzione scritta è stata sostituita dalla Costituzione materiale.

Il nostro è un Paese che ha smarrito, e da tempo, la strada maestra del rispetto dello stato di diritto. E se questo è il contesto – e lo è – non c’è da stupirsi se questa strage di legalità si traduce in strage di popoli, di vite.

La questione giustizia, Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale, o per meglio dire della bancarotta della giustizia, in questo contesto è e resta una delle più grandi e irrisolte questioni sociali di una democrazia fattasi “democrazia reale”.

Un tema, quello della bancarotta dell’amministrazione della giustizia, del quale è vietato discutere.

Signor Presidente, Signor Procuratore, per dirla con Rita Bernardini “la debacle del sistema giudiziario italiano ha raggiunto proporzioni tali da minare le fondamenta dell’irrinunciabile principio democratico dello stato di diritto”. E infatti, il 2 dicembre 2010, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha fatto del nostro Paese un “osservato speciale” per i tempi eccessivi dell’amministrazione della giustizia e cioè per la patente, reiterata, prolungata violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Tra il 1959 e il 2011, l’Italia è stata condannata 1115 volte dalla Corte EDU per la non ragionevole durata dei processi. La piazza d’onore – si fa per dire – è toccata alla Turchia che nello stesso periodo ha totalizzato 493 sentenze di condanna.

Questo stato di cose, questa bancarotta, accompagnata dal suo putrido percolato, rappresentato da carceri indegne di un paese civile, coinvolge la vita di milioni di persone, famiglie, riguarda un’intera comunità, ed è una zavorra che ha un pesantissimo riflesso sulla vita economica e sociale del nostro paese.

E’ stato calcolato, infatti, che l’inefficienza, la lentezza del sistema della giustizia civile costi all’Italia l’1% del proprio PIL.

La bancarotta in atto nell’Italia osservato speciale si traduce in giustizia di classe, in giustizia negata per vittime e imputati, in amnistia clandestina: la prescrizione.

Ecco, signor Presidente, Signor Procuratore, a tutto questo noi contrapponiamo la ragionevole proposta rappresentata da un provvedimento di amnistia legale, costituzionale, che non è solo atto di clemenza, ma è provvedimento di riforma strutturale, ormai irrinunciabile, in grado di rimettere sul binario della legalità il nostro Stato.

Signor Presidente, Signor Procuratore, stiamo lottando, per dirla con Marco Pannella, per far sì che il nostro Stato rispetti la sua propria legalità, per interrompere la flagranza di reato in atto contro i Diritti Umani e la Costituzione. Allo stato dell’arte, l’Italia è sul piano tecnico giuridico un delinquente abituale, che viola la sua propria legalità: dagli articoli 3 e 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, passando per la nostra Costituzione e segnatamente gli articoli 27 e 111.

L’8 ottobre 2013, quello stesso Presidente della Repubblica che aveva parlato di “prepotente urgenza”, riferendosi alla questione giustizia/carceri, ha indirizzato  alle Camere un messaggio, così come da tempo chiedevano Marco Pannella e i Radicali.

Uno straordinario messaggio, nel quale il Presidente Napolitano, rivolgendosi agli onorevoli parlamentari ha tra l’altro scritto: “Confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia”.

C’è un garante del diritto e della Costituzione ed è il nostro Presidente!

L’obbligo, gli “imperativi pronunciamenti”, come la cosiddetta “Sentenza Torreggiani”. Mancano, infatti solo 123 giorni all’ultimatum imposto all’Italia dalla Corte Edu proprio attraverso la sopra citata sentenza.

Ieri, oggi, subito siamo obbligati ad interrompere le cause che generano nelle nostre carceri trattamenti inumani e degradanti.

Il putrido percolato, appunto!

Carceri, le nostre, nelle quali in base ai dati reali abbiamo 178 detenuti ogni 100 posti disponibili. E sempre Rita Bernardini ci ricorda che tra i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa solo 5 hanno superato la soglia dei 130 detenuti ogni 100 posti disponibili. Dal 1992 al gennaio 2014, nelle nostre patrie galere, che darebbero i brividi al buon Mario Pagano, si sono suicidati 1181 detenuti e decine di agenti della Polizia Penitenziaria.

Luoghi di tortura le nostre carceri, ma senza torturatori, perché ad essere torturata è l’intera comunità penitenziaria. 

E’ necessario, credo, ricordare una volta di più quanto ebbero ad affermare circa due anni i direttori penitenziari del Si.Di.Pe e il dottor Enrico Sbriglia: “Siamo stati, in verità, ricacciati negli angoli più bui di uno Stato che non sembra in grado di mantenere fede agli impegni e alle promesse solenni celebrate nelle sue leggi”.

E a proposito della “Sentenza Torreggiani” è opportuno accennare all’“Atto di significazione e diffida” che Marco Pannella e l’avvocato Giuseppe Rossodivita hanno indirizzato tra l’altro a tutti i Presidenti di Tribunale, ai Procuratori Capo, ai Direttori delle Case di reclusione e delle Case circondariali a nome del Partito Radicale e del Comitato Calamandrei.

In esso, i due esponenti radicali scrivono: “Nelle more dell’adozione, da parte delle competenti Autorità legislative ed esecutive, dei provvedimenti adeguati per far fronte a quanto intimato dalla Corte Edu, è compito dei giudici – sottoposti soltanto alla legge e non certo chiamati a supplire, con scelte dettate dall’opportunità politica, alle inadempienze degli altri poteri dello Stato – evitare che si perpetri e/o si perpetui, in relazione alla situazione del singolo imputato/condannato, la gravissima violazione del diritto umano fondamentale a non subire, in stato di restrizione della propria libertà personale, trattamenti e pene inumane e degradanti…”

Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale, mi piacerebbe potermi intrattenere su leggi criminogene quali la “Fini-Giovanardi” e la “Bossi-Fini”, sulla questione della responsabilità civile e dell’obbligatorietà dell’azione penale, o ricordare i puntuali interventi della Ministra Cancellieri, ma – ahimè – il tempo è tiranno.

Mi piacerebbe, altresì, ricordare in questa sede che con puntualità abbiamo denunciato presso le Procure lucane, in occasione delle ultime elezioni regionali - come avevamo già fatto nelle precedenti tornate elettorali - la violazione delle più elementari regole che presiedono la fase di formazione e presentazione delle liste.

Normale, in un Paese dove nessuno ricorda che in base agli accordi internazionali che abbiamo sottoscritto è necessario che passi almeno un anno dall’approvazione di una riforma elettorale alla sua applicazione.

Vorrei davvero che, contagioso, esplodesse il dibattito sulla denegata giustizia, sulle morti che non fanno notizia.

Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale, oggi di giustizia e di carcere si muore.

C’è ed è innegabile una strage di legalità in questo Paese, a cui noi rispondiamo difendendo il messaggio del Presidente della Repubblica e una consapevolezza che nonostante tutto sta montando.

Rispondiamo innalzando le nostre bandiere: Diritto, Giustizia, Amnistia, Libertà.

Occorre discutere, occorre che il Paese sappia, occorre agire con coraggio e senza temere l’impopolarità. Timore che rischia di tradursi in decisioni antipopolari o in assenza di decisioni.

Abbiamo un obbligo verso la legge, il diritto, verso noi stessi ed è obbligo del Parlamento onorare il messaggio del Presidente Napolitano.

Un provvedimento di amnistia è oggi la strada unica da percorre per un nuovo inizio.

Amnistia che per quanto detto è innanzitutto “Amnistia per la Repubblica”.

MAURIZIO BOLOGNETTI

Direzione Radicali Italiani

Segretario di Radicali Lucani

 

Approfondimenti

Anno Giudiziario Potenza

Controsenso, 25 gennaio 2014

Gazzetta Del Mezzogiorno, 25 gennaio 2014

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