La vicenda di Vincenzo Messina, invalido e disoccupato lucano, va inquadrata nel contesto di una regione in cui la povertà è ormai assurta a livelli epidemici. Il caso Messina prende corpo in un paese, l’Italia, dove le risorse destinate al contrasto delle condizioni di povertà e di esclusione sociale sono di gran lunga inferiori alla media UE.
Vincenzo Messina, 37 anni, attualmente domiciliato a Pignola, proprio non ce la fa a sbarcare il lunario e prova a sopravvivere attraverso l’italica e proverbiale arte di arrangiarsi. In base al referto stilato dal dottor Vincenzo Sgarro, Messina potrebbe aver diritto ad una pensione di invalidità.
Potrebbe, ma la domanda presentata nel 2005 è stata respinta nel febbraio del 2007 dalla competente commissione sanitaria e il 18 giugno dello stesso anno il Comitato provinciale dell’Inps ha respinto anche il ricorso. Per Vincenzo Messina, cardiopatico e con seri problemi alla colonna vertebrale, nessuna pensione.
Eppure, uno specialista quale il dottor Sgarro, nel maggio del 2008, ha scritto che Vincenzo ha patologie che comportano “una riduzione permanente a meno di un terzo delle capacità di lavoro”. Una diagnosi che fa a cazzotti con la decisione dell’Inps di respingere la richiesta finalizzata ad ottenere un misero assegno ordinario di invalidità.
Armato dalla forza che a volta nasce dalla disperazione, Vincenzo non si è arreso, e convinto di aver subito un torto, e grazie all’assistenza legale fornitagli gratuitamente dall’avvocato Savino Di Paolo, si è rivolto al tribunale di Melfi.
E così dopo la via crucis sanitaria e le lentezze burocratiche dell’Inps, Vincenzo ha potuto sperimentare sulla sua pelle i biblici tempi della giustizia made in Italy. Da oltre tre anni Messina e il suo avvocato attendono un pronunciamento del tribunale, che se tutto va bene dovrebbe arrivare nel gennaio del 2012.
Nel frattempo, Vincenzo continua a chiedere aiuto, la possibilità di provvedere a se stesso. Come tanti altri lucani chiede di poter vivere dignitosamente, vorrebbe uscire dal tunnel di una precarietà che gli sta corrodendo l’anima.
Di Maurizio Bolognetti, Direzione nazionale Radicali Italiani
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