Abbandonare l’autoritarismo è l’unica via per la nonviolenza
L’autoritarismo nelle scuole – e velatamente anche nelle famiglie – non è “un” metodo tra i tanti possibili ma è IL metodo.
Il metodo autoritario viene utilizzato perché, in teoria, consente un più facile controllo degli studenti/figli e, sempre in teoria, permettendo di mantenere l’ordine, consente di creare un ambiente favorevole all’apprendimento dei contenuti.
I fatti però smentiscono la teoria: consideriamo l’Italia, o in generale – con piccole differenze – l’occidente. Le nuove generazioni non rispondono nel modo sperato all’input veicolato autoritariamente: se interroghiamo su qualsiasi argomento “scolastico” i ragazzi di oggi e i loro padri e nonni – a parità di livello d’istruzione – noteremo che nonni e padri risponderanno ma i ragazzi molto probabilmente no o non adeguatamente.
Premesso che – al di là dei risultati didattici “apprezzabili” che poteva avere in passato – ritengo l’autoritarismo moralmente inaccettabile e pedagogicamente indesiderabile; oggi dev’essersi verificato un mutamento – culturale o biologico, non ha qui importanza – che porta bambini e bambine a non rispondere positivamente all’autoritarismo: questo fallimento didattico e pedagogico mostra che l’autoritarismo è arrivato al capolinea. Oggi quindi il metodo autoritario è non solo inaccettabile moralmente ma anche inadeguato didatticamente.
Eppure non si mette in discussione la validità del metodo: si trova una scorciatoia: il metodo non funziona perché bambine e bambini sono malati, soffrono di disturbi dell’attenzione, sono iperattivi. Vengono inventate malattie e la medicalizzazione – psicoterapica o, nel peggiore dei casi, farmacologica – è l’unica risposta individuata: con la creazione di generazioni di farmacodipendenti.
L’insistere con l’autoritarismo nonostante il palese fallimento porta ad una sorta di schizofrenia nei bambini.
Mi spiego meglio: l’essere umano – come ogni unità biologica – immagazina incessantemente strategie d’azione e la strategia (il metodo) viene prima del contenuto veicolato, per questo a fronte di una risposta nulla verso il contenuto – sia che si tratti di una nozione scolastica, sia che si tratti di una sanzione comportamentale – il bambino si appropria del metodo, della strategia autoritaria che, in quanto tale, non può che contenere anche il seme della violenza nei rapporti interpersonali, della prevaricazione sull’altro da sè – in particolare quando l’altro è “il diverso”, è la minoranza (il bullismo, che oggi tanto spaventa, non è altro che l’arbitraria riproduzione dell’autoritarismo). Ma non è tutto: l’autoritarismo è il germe del non-rifiuto della guerra come strumento ordinario di “interlocuzione”; è il seme dell’assuefazione alle pratiche violente: basti pensare che mentre c’è chi – come Marco Pannella e tutti gli amici e compagni radicali – lotta in tutto il mondo contro la pena di morte, in rete e per le strade milioni di italiani chiedono la pena di morte per questo o quel reato.
La nonviolenza non è un “contenuto” (una teoria) ma una strategia: è disgraziatamente la strategia opposta a quella che gli individui hanno assorbito fin da quando sono venuti al mondo, tanto nelle famiglie quanto e maggiormente nelle scuole. Per questo quando qualcuno parla di nonviolenza le sue parole cadono tragicamente nel vuoto, inascoltate o, se ascoltate, non capite.
L’unica via perché la pratica della nonviolenza diventi l’ordinaria strategia d’azione per i cittadini di domani è l’abbandono – tanto tra le mura di casa quanto nelle scuole – di ogni forma di autoritarismo didattico e pedagogico nei confronti di bambini e bambine.
Mattia Da Re
Fonte: http://www.radicaliverona.it/?p=70
- Login to post comments