Berta Cáceres è stata uccisa. Ma non uccideranno la speranza (e la lotta) per un mondo migliore

Berta Cáceres è stata uccisa. Ma non uccideranno la speranza (e la lotta) per un mondo migliore

Berta Cáceres, l’ecologista indigena honduregna che nel 2015 aveva ottenuto il massimo riconoscimento mondiale per le lotte ecologiste, il Premio Goldman, è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco nella notte del 3 marzo. A causa della sua militanza, Berta ha subìto continue minacce di morte, tanto da costringerla a portare i figli in Argentina per scongiurare pericoli di rapimenti.

Aveva anche ricevuto la promessa di una scorta della polizia, che però non le è mai stata assegnata dal quel governo che, in 22 anni di attivismo ecologista, l’ha accusata di terrorismo, arrestata e perseguitata. Ma quello di Berta Cáceres non è un caso isolato.

Secondo il rapporto redatto dalla ONG Global Witness gli eco-attivisti uccisi in Honduras dal 2002 al 2014 sono stati 111: 116 nel mondo nel solo 2014, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. Di questi il 40% è indigeno, mentre i 3/4 degli assassini è avvenuto in Sud America. Guida la classifica il Brasile che, proprio in questi giorni, è stato investito dallo scandalo della Petrobras che avrebbe distribuito oltre due miliardi di dollari di tangenti alle classi politiche locali e federali in cambio di concessioni di estrazione proprio in quelle aree amazzoniche abitate dalle popolazioni amerinde, in aperta violazione della Convenzione ILO 169 sui popoli indigeni e tribali e del loro diritto alla consultazione e al consenso libero, preventivo e informato.

Questo discorso vale per ogni area tribale del pianeta che abbia qualche risorsa naturale da sfruttare e che sempre porta con sé politiche di militarizzazione, repressione e saccheggio.

Nell’Honduras di Berta Cáceres, la biodiversità e i diritti dei popoli amerindi sono minacciati da politiche neocoloniali promosse dagli USA e attuate dalle corrotte classi dirigenti locali che stanno portando all’esproprio dei territori amerindi per metterli nelle mani delle multinazionali.

Nel 2013 il governo honduregno ha varato un nuovo piano di “sviluppo”, fondato sulle Zone di impiego e sviluppo economico, Zede, anche conosciute come “città modello”. Il programma – nell’ambito dell’Alleanza per la prosperità del Triangolo Nord e che coinvolge l’Honduras, il Guatemala ed El Salvador – è finanziato direttamente dal governo USA che, nel 2014, ha stanziato un miliardo di dollari.

Le Zede, controllate ed amministrate direttamente dalle multinazionali attraverso dei consigli di amministrazione, sono nuovi agglomerati che sorgeranno in aree tribali, attualmente occupate da foreste, ma ricche di risorse naturali, al posto delle quali sorgeranno miniere, centrali, stabilimenti, ma anche nuove basi militari, pronte a intervenire in caso di ribellioni delle popolazioni locali. Nelle Zede, l’ordine pubblico è garantito da polizie private, la giustizia amministrata da corti private per conto delle multinazionali. Lo Stato di Diritto è sospeso.

Un affare sul quale si stanno buttando anche le multinazionali sudcoreane che, al pari di quelle statunitensi, hanno ottenuto finanziamenti milionari dal proprio governo.

Con la globalizzazione, il colore politico dei governi è diventato il seguente: ultraliberista con i poveri e socialista con i ricchi e le multinazionali che vanno in giro per il mondo a sfruttare popoli inermi in nome del libero mercato, ma con i soldi dei contribuenti: una vecchia storia che abbiamo ben compreso. A partire dall’Italia.

Oltre agli americani e i sudcoreani, è soprattutto la Cina che sta facendo affari miliardari, come nel caso del colosso cinese Sinohydro, per la realizzazione del complesso idroelettrico Agua Zarca, previsto sul Rio Gualcarque, nell’Honduras Nord-occidentale. Un fiume sacro per le comunità Lenca, fonte d’acqua per circa 600 famiglie che vivono nella foresta pluviale d’alta quota. Senza il loro consenso, l’impianto era stato autorizzato contravvenendo alla Convenzione Ilo 169 del 1989 sul diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni.

Alla guida della comunità di Rio Blanco, Berta Cáceres era riuscita a bloccare il progetto della diga Agua Zarca; e questa mobilitazione le era valso il Premio Goldman.

«Viviamo in un paese nel quale il 30% del territorio è stato consegnato alle multinazionali dell’industria mineraria, dove sono stati lanciati progetti aberranti, in un’ottica neoliberale secondo la quale l’energia non è più un diritto fondamentale per l’umanità», aveva detto Berta Cáceres nel suo discorso di accettazione del Goldman Prize neanche un anno fa.

Dobbiamo unirci perché il sacrificio di Berta non sia stato vano. Occorre comprendere che nessun modello di sviluppo potrà mai essere “sostenibile” se non si fonda sul pieno rispetto dei diritti civili e umani: i diritti della Terra sono diritti umani e viceversa. E occorre anche comprendere che il tentativo di sospensione dello Stato di Diritto, della democrazia, la svendita di territori, comunità e beni comuni – fenomeni una volta confinati nella geografia del sottosviluppo – riguardano oggi tutti noi. Il TTIP, al pari delle Zede, intende smontare pezzi di Stato di Diritto e quindi di democrazia. Restringendo il campo al contesto italiano e solo per fare un paio di esempi, lo “Sblocca Italia” attraverso il quale si intendono imporre le “Grandi opere” calandole sulle teste dei cittadini, oppure militarizzando quei cantieri oggetto di contestazione democratica, fino alla riforma costituzionale funzionale alla ulteriore riduzione del controllo democratico e all’ulteriore accentramento di poteri.

L’Honduras non è così lontano come potremmo illuderci di pensare.

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Fonte: http://ecoradicali.it/2016/03/berta-caceres-e-stata-uccisa-ma-non-ne-uccideranno-la-lotta/

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