Annunci e ottimismo di maniera non servono
Solo la verità vince l’indifferenza dei cittadini
«Basta piagnistei, rimbocchiamoci le maniche, l’Italia è ripartita » . Così, riferendosi ai sudditi lontani, il presidente del Consiglio alla comunità italiana a Tokio. E ancora: «Basta piangersi addosso, voler bene all’Italia significa smettere di spararle contro».
Viene in mente la canzoncina di Dario Fo, «Ho visto un re»: «E sempre allegri bisogna stare / che il nostro piangere fa male al re,/ fa male al ricco e al cardinale, / diventan tristi se noi piangiam».
C’è poco da stare allegri, in verità. Il rapporto del Fondo monetario internazionale sull’economia italiana — «ci vorranno quasi vent’anni per ridurre il tasso di disoccupazione ai livelli pre crisi» — è preoccupante. E l’ultimo rapporto Svimez sembra fare da controcanto a quella pessimistica previsione scrivendo di un Paese, il nostro, che sta andando letteralmente «alla deriva»: il Mezzogiorno produce la metà della Grecia, il divario del Pil pro capite tra il Centro-Nord e il Sud è ora del 57,3 per cento, la percentuale più alta degli ultimi quindici anni.
Non è un complotto contro il governo. Anche la Corte dei conti nella sua relazione sulla finanza dei Comuni, lancia un grido d’allarme: gli enti locali, dal 2011 al 2014, hanno accresciuto del 22 per cento il carico fiscale dei cittadini. (Non occorreva aver studiato al Mit per capire che sarebbe stata questa la conseguenza dei tagli fatti dallo Stato alla finanza locale).
Le riforme, si dice, sono la soluzione di ogni male. È vero. Persino ovvio. Ma così come vengono propagandate sembrano il calendario di un torneo di ping pong. Martedì la Pubblica amministrazione, giovedì il non brillante mercato del lavoro, venerdì un tavolo sul Mezzogiorno riscoperto dopo il rapporto Svimez e una lettera di Roberto Saviano. Sul conflitto d’interessi e sull’evasione fiscale, invece, il silenzio. La cancellazione del Senato è considerata la madre di tutte le battaglie (come la fanteria). Chissà quali vantaggi porterà alla comunità la nomina a senatori di consiglieri regionali che non pare abbiano dato prova di onestà e di competenza nel loro ruolo, non tutti naturalmente. La distruzione della Camera alta avrebbe suscitato scandalo in tutti i Paesi più colti del nostro e orgogliosi della propria tradizione. Qui da noi anche i pareri di costituzionalisti illustri sono stati considerati un inciampo.
Quel che conta è nominare, non eleggere. Aumentare il potere personale del presidente e del suo cerchio magico. «I miei senatori» è solito dire il presidente del Consiglio che non ha alcuna esperienza parlamentare e di direzione politica. Lo si è visto anche a proposito del voto che ha salvato dalla richiesta di arresto della magistratura il senatore Antonio Azzollini. «L’Aula ha letto le carte», è stata la giustificazione della scelta discordante da quella della giunta. Come se non fosse proprio l’analisi approfondita di quelle stesse carte la funzione di una commissione parlamentare.
I consensi al Pd sono calati, dalle elezioni europee a oggi, dal 40 al 32 per cento e la Rai è diventata ancora più importante per diffondere il verbo del governo. Neppure la Dc più retriva avrebbe osato proporre una riforma con un presidente nominato dall’esecutivo e di un Ad tuttofare. Il senatore Gasparri è davvero gongolante per il ruolo essenziale della sua servizievole legge berlusconiana ad personam che ha ritrovato l’onore perduto. Altro che rottamazione.
In altri tempi si sarebbe parlato di «emergenza democratica». Adesso, nella gran confusione tra poteri dello Stato e funzioni del governo, grava invece il silenzio impotente.
La carenza è politica e culturale. Il presidente Mattarella ha rilevato la presenza dell’ «uomo solo al comando». Renzi, infatti, oltre che capo del governo è segretario del suo partito e non è stato eletto dai cittadini. È una specie di premier-presidente anomalo che rifiuta gli strumenti della mediazione e non vuole avere gli indispensabili rapporti con sindacati e gruppi sociali. Il suo modo di far politica è la pura comunicazione.
Le riforme hanno bisogno di regole, giuridiche, politiche, semplicemente umane che vanno discusse, non imposte con autoritarismi e ultimatum. Il modo di vivere di questi anni di crisi non è stato e non è pacifico. È scomparso persino l’antico e un tempo deprecato conflitto tra società politica e società civile, pur sempre vitale. C’è soltanto l’assenza, ognuno pensa a se stesso, ai propri problemi: reazione alle promesse non mantenute, agli annunci senza esiti, all’ottimismo di maniera.
Un modo di vivere pericoloso per una società organizzata. Mai come oggi, infatti, c’è bisogno di partecipazione e di passione per cercare di portare a compimento riforme ragionevoli. Chissà se chi ha da dar conto dicesse la verità e si appellasse ai cittadini umilmente, non cinicamente, come accade: forse sarebbe un giusto e proficuo segno utile a vincere indifferenza e rifiuto.
C’è poco da stare allegri. Il rapporto del Fondo monetario internazionale sull’economia italiana preoccupa. E l’ultimo rapporto Svimez sul Sud sembra fare da controcanto a quella pessimistica previsione, scrivendo di un Paese «alla deriva» La crisi Nella crisi ognuno pensa a se stesso: una reazione alle promesse non mantenute Le riforme hanno bisogno di regole, giuridiche, politiche, che vanno discusse, non imposte con gli ultimatum. Mai come oggi c’è bisogno di partecipazione e passione per cercare di portare a termine riforme ragionevoli

Fonte: http://www.radicalifriulani.it/content/annunci-e-ottimismo-di-maniera-non-servono
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