ROM E SINTI: IL DIRITTO D’ ESISTERE
L’ otto aprile del 1971, a Orpington – Chelsfield nei pressi di Londra, si tenne il primo congresso internazionale dei popoli Rom e Sinti.
Dal congresso londinese fu costituita l’International Romanì Union, si scelse che la bandiera, delle popolazioni di lingua Romanì, dovesse essere con due strisce orizzontali, una verde a ricordare la terra, l’ altra celeste a simboleggiare il cielo con al centro una ruota raggiata rossa per rammentare la loro natura nomade.Dopo Otto anni, l’ IRU fu riconosciuta dall’ ONU e ogni 8 d’ Aprile si commemora il “Bhatalo romano dives” la buona giornata del popolo rom.Una commemorazione decisamente meno nota, quasi ignorata, come si continua ad ignorare l’ esistenza di una popolazione intera, la loro storia, la loro lingua, la loro cultura.
Secondo le cronache,le prime popolazioni Rom e Sinte hanno messo piede in Europa occidentale nel XV secolo.Il primo decreto d’ espulsione si ebbe già nel 1471 in Svizzera e da lì, tutti gli stati europei perseguitarono e scacciarono, dai propri territori, le popolazioni di lingua Romanì, fino ad arrivare alle leggi di Norimberga , che a pari della shoah, tentarono di sterminare un intera popolazione , i Rom e Sinti la ricordano come “la Porrajmos”: Grande divoramento.
Oggi si stima che le popolazioni di lingua Romanì in Europa sono di circa 12 milioni, di cui 6 milioni presenti in stati dell’ U.E., sono quasi tutti stanziali, solo il 3% conduce una vita itinerante.
In Italia il numero di Rom e Sinti è veramente esiguo, solo 180.000, lo 0,25% dell’ intera popolazione italiana.
Sono quasi del tutto stanziali, la maggioranza vive in abitazioni stabili e detiene la cittadinanza italiana, mentre gli altri sono apolidi, ex jugoslavi, rumeni.
Soltanto 40.000 individui, invece, vivono ancora “ghettizzati” nei cosiddetti “Campi Rom”. Numeri esigui che di certo non dovrebbero costituire alcun problema.
Invece tra il 2008 e il 2011, il governo Berlusconi, decreta ” lo stato d’emergenza”per arginare l’ invasione dei Rom, paragonando degli uomini o le azioni di questi ad una sorta di calamità naturale o di epidemia da debellare.
Il decreto in questione, dichiarato poi illegittimo dal Consiglio di Stato, contribuì a creare un clima di totale illegalità, avvallando e rafforzando il sistema di ghettizzazione dei capi nomadi, creando un clima di totale de-socializzazione, costringendo i Rom ai margini delle città.
La verità è che il sistema illegale dei campi nomadi, come dichiara il Presidente di Radicali italiani e consigliere della giunta Capitolina Riccardo Magi, “serve solo a chi, come Salvini, macina voti, cavalcando l’ esasperazione sociale che il suo partito ha contribuito a creare; e a chi gestisce i capi con appalti milionari.”
Infatti il rapporto “segregare costa” dell’ associazione Berenice, stima che nelle città di Milano, Roma, Napoli, in sei anni dal 2005 al 2011,per il mantenimento dei capi sono stati spesi rispettivamente 2,7 milioni di euro, 86,2 milioni di euro e 24,4 milioni di euro, ottenendo emarginazione per le popolazioni dei capi e sistemi di totale illegalità e assenza di diritti nelle periferie dove sono confinati.
La soluzione è certamente quella di superare il sistema dei campi, e le “grida” Salviniane sul radere al suolo i campi ed espelle dall’ Italia la minoranza Rom e Sinta, che occupano quasi tutti i programmi televisivi di approfondimento,sono poco credibili e veramente al limite del grottesco. Perché proprio il suo partito, con l’ allora ministro degli interni Maroni, nel periodo “dell’ emergenza Rom” , ha ghettizzato e confinato, la minoranza di lingua Romanì, nei campi; poi è veramente singolare voler espellere un cittadino italiano dall’ Italia!
Quindi superare i capi, come stabilito dalla Commissione Europea nel 2012, creando modelli alternativi che garantiscono la socializzazione e l’ integrazione è la strada maestra, ma non basta.
Il primo passo è quello di riconoscere le minoranza Rom e Sinte come minoranza culturale e linguistica, e quindi riconoscere e difendere il loro diritto ad esistere come popolo, come soggetti passibili di diritti e di dovere, per evitare una nuova “Porrajmos” una nuovo “grande divoramento” di un popolo e di una tradizione che di certo ha arricchito e fa parte della cultura italiana.
Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=13367
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