Giustizia, blitz di Gratteri «Ho fatto io la riforma»

Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e presidente della Commissione nazionale per la revisione della normativa antimafia, dà scacco matto al ministro della Giustizia, Andrea Orlando.
«Ci stiamo lavorando». La frase di Nicola Gratteri viaggia in modulazione di frequenza, sulle onde di Radio Capital, dunque non può essere accompagnata da un ghigno di sadica soddisfazione. Ma ce lo si può immaginare. Non ci vuole molto. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, nonché presidente della Commissione nazionale per la revisione della normativa antimafia, dà scacco matto al governo. Al ministro della Giustizia Andrea Orlando, in particolare. Il quale ci starà pure «lavorando». Ma intanto lui, Gratteri, annuncia che il suo, di “lavoro”, è già fatto. Avverte via radio che la “sua” riforma «è pronta». Fanno, per l’esattezza, «130 articoli, l’80 per cento dei quali può essere approvato subito con un decreto legge, 246 pagine». Un bulldozer.
Nel mentre il Guardasigilli spacchetta gli interventi sull’immensa materia penale, e li incardina un po’ al Senato (come emendamenti alla proposta Grasso nel caso dell’anticorruzione) e un po’ alla Camera (nell’ampio ddl depositato in commissione Giustizia), Gratteri procede senza chiedere permesso. E non si limita a prescrivere «l’innalzamento delle misure per 416 bis dai 5 anni attuali a una pena tra i 20 e i 30 anni di carcere». No. Straborda anche nel campo delle misure contro i corrotti. Propone per esempio «di utilizzare gli agenti sotto copertura, come per il traffico di droga e di armi, per smascherare i reati contro la pubblica amministrazione». Ma non doveva occuparsi solo di antimafia? E non c’è già Orlando con le sue proposte, a “lavorare” sulla corruzione?
Proprio questa “estensione di competenze” è duramente contestata dall’Unione camere penali, il solo soggetto politico ad accorgersi dell’enormità dell’iniziativa di Gratteri: «Preoccupa e stupisce l’inserimento di logiche repressive, autoritarie e illiberali all’interno dell’intero sistema processuale, e la loro applicazione erosiva ed indistinta a tutti i diversi aspetti dell’illecito». C’è un problema di merito, dicono dunque i penalisti. Che si aggiunge alla discutibilità del metodo: «Ci sembra francamente difficile condividere l’idea con la quale Gratteri lancia il suo progetto, affermando che l’80% delle nuove norme antimafia può essere varato con un decreto», si legge nella nota dell’Ucpi, «nonsolo perché, come affermiamo da tempo, e come ha più volte ricordato lo stesso ministro Orlando, la materia penale non si presta affatto alla decretazione d’urgenza, ma perché la delicatezza dello specifico settore sul quale si intende intervenire deve essere oggetto di una riforma meditata e condivisa».
Riguardo all’innalzamento delle pene edittali, esso risponde a «una logica repressiva antiquata, fondata su strategie meramente simboliche, che mai hanno sortito effetti nella lotta al crimine e tanto meno nel contrasto alla criminalità organizzata». Si dirà: le proposte della commissione Gratteri sono proposte. Punto. Sono lontane dal tradursi in decreti legge, come vorrebbe il presidente della Commissione consultiva. Ma intanto c’è l’imbarazzo per la vivacità, diciamo così, di un organismo voluto da Renzi a Palazzo Chigi per occuparsi di questioni già in capo a un ministro, nello specifico quello della Giustizia. E poi c’è la seria possibilità che le tesi hard del gruppo di lavoro presieduto dal pm antimafia si insinuino come un cuneo tra le due diverse anime del Pd. Quella che non sa affrancarsi dalle battaglie ultragiustizialiste di questi ultimi vent’anni e quella più moderata. E questo, in Parlamento, dove c’è la fazione super- forcaiola rappresentata dai grillini, potrà creare problemi seri.

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