Mina Welby ed Englaro «Il Parlamento faccia la legge per il fine vita»

L’appello da Cormòns e da Roma (in un video con Saviano)
«La gente è cambiata: il 60% del Nord-Est è per l’eutanasia»
CORMONS Sarà presentato questa mattina a Roma, nella sede del Partito radicale, il video “Il Parlamento si svegli!”, in cui oltre 60 testimonial, tra cui Roberto Saviano e Mina Welby, accanto a Marco Pannella e a Emma Bonino, sollecitano il Parlamento affinché si arrivi al piú presto a una legislazione sul fine vita che tuteli il malato che chiede di poter morire quando le cure non gli sono più utili e al tempo stesso garantisca giudiziariamente i medici che assistono i pazienti terminali che fanno richiesta di essere lasciati andare.
«Chiedono, che il Parlamento prenda in esame la proposta di legge che l’Associazione Luca Coscioni ha depositato piú di un anno fa e per la quale non esiste ancora una calendarizzazione», spiega Mina Welby che ieri ha raccolto anche l’adesione di Beppino Englaro. «Ma la mia - ha tenuto a precisare il papà di Eluana – non fu una battaglia per l’eutanasia, che sino a quando non cambia la legge è reato, quanto per affermare la legalità dell’autodeterminazione terapeutica, che, per legge, non può incontrare un limite anche se ne consegue la morte. La mia battaglia – ricorda – è durata 17 anni: sin da subito, dal 1992 anno in cui Eluana fu ricoverata in come irreversibile a Lecco, volevamo che tale determianzione fosse eseguita per lei che in vita aveva espresso il suo no all’accanimento taerapeutico; volontà riconosciuta legale con decreto dalla Cassazione il 16 ottobre del 2007, impegnata dal Governatore della Lombardia che impose alle strutture sanitarie di bloccare quel decreto, esteso poi dal ministro Sacconi a tutto il territorio nazionale e che poté concludersi a Udine in una struttura privata nel 2009: una battaglia lunghissima perché quello che ci premeva era agire sempre nel rispetto della legalità».
Quella legalità che ora viene chiesta dall’Associazione Coscioni, di cui anche Englaro fa parte, per l’eutanasia, perché, sottolinea Mina Welby, «se lo Stato si deve prendere cura della vita dei cittadini, affinché questa sia vissuta nel migliore dei modi, allo stesso riguardo non può non farsi carico anche del fine vita, quando questo significhi liberazione da una situazione senza sbocco che costringe l’essere umano, come nel caso di malati di Sla, a condizioni che nulla hanno piú di umano».
Mina Welby sarà questo pomeriggio alle 17.30 a Cormònslibri per confrontarsi con don Pierluigi Di Piazza su un tema che lei ha vissuto in prima persona. Quello del fine vita o scelta fondamentale, come l’hanno chiamata gli organizzatori della kermesse.
Mina Welby, come noto è la moglie di Piergiorgio Welby, il giornalista scrittore che fu al centro negli anni ‘90 e primi 2000 di una battaglia per riconoscimento all’autodeterminazione, del rifiuto dell’accanimento terapeutico arrivando a chiedere ufficialmente che gli venisse “staccata la spina” del respiratore artificiale cui era legato da diversi anni in seguito all’aggravarsi della distrofia muscolare che l’aveva colpito poco più che adolescente.
Questa richiesta, racconta la moglie, che, dopo la morte del marito il 20 dicembre del 2006, ne ha raccolto il testimone, scatenò un dibattito accesissismo tra l’opinione pubblica, in parlamento e nella Chiesa che arrivò a negare i funerali religiosi, perchè nella decisione di Welby, che morí assistito dal medico Mario Ricccio (incriminato “per omicidio del consenziente”, ma poi definitivamente prosciolto), ravvisò una dichiarata e perseguita volontà suicida il che avrebbe significato anche ammettere l’eutanasia. Da allora, abbiamo chiesto a Mina Welby come è cambiata la mentalità degli italiani?
«In questi anni c’è stata una presa di coscienza collettiva molto forte. In particolare nel Nord-Est dove oltre il 60% delle persone è favorevole a una legge sull’eutanasia, sul testamento biologico e sulla fine dell’accanimento terapeutico».
I rapporti con la chiesa, invece?
«Io sono cattolica e credente, ma restano ancora molte resistenze, nonostante con l’articolo 2278 del catechismo la Chiesa ammetta che si possano "interrompere procedure mediche sproporzionate rispetto ai risultati attesi". E nonostante, e questa trovo sia un’apertura importante, papa Francesco non parli piú di diritti non negoziabili».
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