In ricordo di un giornalista coraggioso. Antonio Russo aveva denunciato le violenze contro i ceceni
di Marco Perduca pubblicato su L’Huffington Post il 17/10/2014
Il 16 ottobre 2000, Antonio Russo veniva trovato morto a una ventina di chilometri da Tiblisi. Russo, che rivendicava il suo non esser iscritto all’ordine dei giornalisti, stava seguendo la seconda guerra di Cecenia per Radio Radiacale. Antonio Russo non era nuovo a presenze in zone di conflitto, in passato era stato corrispondente dall’Algeria, negli anni della repressione, dal Burundi e dal Ruanda, durante in conflitto nella regione dei grandi laghi, e poi in Ucraina, Colombia e Saraievo. Russo era divenuto noto all’Italia nella primavera del 1999 quanto, unico giornalista occidentale a Pristina, scomparve per 36 ore durante i rastrellamenti serbi in Kosovo. Riapparve alla frontiera con la Macedonia mischiatosi tra i rifugiati dopo un viaggio infernale su un treno con decine di migliaia di persone che venivano espulse dalla loro terra. Una pulizia etnica senza massacri.
Da ascoltatore di Radio Radicale prima, e da militante radicale poi, conoscevo Antonio per i suoi racconti, era un piacere ascoltare le sue sgangherate corrispondenze, i suoi racconti non erano da professionista (e non perché non lo fosse) ma perché erano sempre cronache concitate e appassionate raccontate di chi si trova in un luogo di conflitto e si sente coinvolto ben oltre il dover raccontare ciò che vede. Nell’inverno del 1998, assieme ad altre cinque persone, passai un paio di mesi in giro per la ex-Yugoslavia grazie all’associazione radicale Non c’è Pace senza Giustizia alla ricerca di prove che potessero dimostrare che gli attacchi contro la popolazione civile in kosovo fossero da considerare veri e propri crimini contro l’umanità commessi da Belgrado contro Pristina e che le responsabilità politiche fossero di Slobodan Milosevic. Una sera di quel tiepido autunno, incontrammo Antonio Russo in un bar di Pristina, per scambiarci informazioni, contatti e le benedette mappe dettagliate – e annotate – del Kosovo, utilissime per raggiungere certe zone evitando i posti blocco della polizia serba.
Antonio Russo faceva (anche) questo, si metteva dalla parte dell’aggredito, ne raccontava le sofferenze con la speranza che il mondo democratico le ascoltasse e reagisse, ma, quando questo non accadeva, si attivava indipendentemente e raccoglieva lui testimonianze e materiale per aiutare chiunque portasse avanti indagini indipendenti. Quei mesi passati in Kosovo sotto mentite spoglie (a seconda delle circostanze ci presentavamo come studenti, monitor indipendenti, contractor della Commissione europea, carabinieri in congendo) produssero un documento che, una volta condiviso con la Procuratrice del Tribunale ad hoc per la ex-Yugoslavia Louise Arbour, divenne parte integrante dell’atto di incriminazione di Milosevic.
Dopo la fuga rocambolesca dal Kosovo e l’intervento militare della NATO, che Antonio continuò a documentare da vicino, Radio Radicale accettò la proposta di Antonio Russo di seguire, naturalmente da vicino, la seconda guerra in Cecenia, un conflitto che nella primavera del 2000 stava raggiungendo vette di inaudita violenza nei confronti dei civili. In quegli stessi mesi il Partito Radicale, le cui attività in seno all’Onu coordinavo, faceva intervenire davanti alla Commissione sui diritti umani dell’Onu l’onorevole Akhyad Idigov, presidente della Commissione esteri dell’ultimo parlamento ceceno legalmente eletto nel 1997. Mentre Antonio Russo dal Caucaso raccontava i massacri sulle montagne circostanti Grozny, Idigov a Ginevra ricordava in plenaria una serie di documenti ufficiali della Federazione russa che dimostravano come esistesse un piano strutturato per una vera e propria pulizia etnica della Cecenia. Mosca non gradì e immediatamente dopo sguinzagliò qualche avanzo di galera alle calcagna di Antonio tra la Georgia e la Cecenia e chiese formalmente al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni unite che al Partito Radicale venisse tolto lo status consultivo che dal 1995 gli consentiva di partecipare ai lavoro dell’Onu.
Mentre il Partito Radicale organizzava una campagna mondiale e dentro il Palazzo di Vetro per rispedire al mittente le accuse della Federazione Russa, la vicenda l’ho raccontata in Operazione Idigov: come il Partito Radicale ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni unite, tra una corrispondenza e l’altra, Antonio Russo aveva iniziato a raccogliere elementi di prova relativi all’uso di armi proibite da parte dell’armata russa in Cecenia. Nel mese di aprile del 2000, quando Idigov denunciava davanti alla 56esima sessione della Commissione diritti umani dell’Onu le sistematiche violazioni dei diritti umani dei suoi compaesani, la delegazione parlamentare della Federazione russa presso il Consiglio d’Europa veniva sospesa proprio per le violenze in Cecenia. Raramente si era vista tanta risolutezza della comunità internazionale contro la Russia. In quei tragici giorni, pochi erano i giornalisti presenti sul campo nel Caucaso settentrionale. Tra quei pochi c’era, nel suo solito modo anti-convenzionale, Antonio Russo.
Antonio era in costante contatto con la Ong Memorial, quella stessa Memorial che in queste ore rischia di esser chiusa dalla prepotenza putiniana, nonché altre associazioni per la protezione dei diritti umani e l’ambiente che da tempo stavano raccogliendo prove di vario genere e specie circa l’uso di armi chimiche da parte dei russi in Cecenia. Verso la fine dell’estate 2000 con Antonio Russo avevamo deciso che una volta terminata l’azione contro la Russia alle Nazioni unite ne avremmo dovuta organizzare un’altra per interessare le giurisdizioni internazionali delle violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate da Mosca in Cecenia. Due giorni prima il voto fissato dal Consiglio economico e sociale per decidere la sorte del Partito Radicale all’Onu, Antonio Russo fu trovato morto in Georgia.
Le circostanze del decesso non son mai state chiarite. Dopo un paio d’anni di indagini da parte della Procura di Roma assieme alle autorità locali il tutto si è arenato. La dinamica della morte d Antonio somigliava molto a un incidente stradale e ricordava certi incidenti che di tanto in tanto avvenivano nell’URSS. Ammesso, e non concesso, che comunque si fosse trattato di un ‘incidente’, quel che non è stato sicuramente frutto del caso è stata la scomparsa di tutti gli strumenti di lavoro di Antonio: registratori, computer e macchine fotografiche scomparvero mentre un camion lo schiacciava. La memoria acustica di Antonio Russo vive negli archivi di Radio Radicale, sono poche le testimonianze fotografiche, l’immagine più nota lo ritrae assieme a dei bambini kosovari
Nel 2004 il regista Leonardo Giuliano ha diretto un film scritto da Aurelio Grimaldi dal titolo Cecenia, dove Gianmarco Tognazzi interpreta, in modo straordinario, Antonio Russo. Il film ha subito ogni tipo di censura, boicottaggio e ostracismo. La Russia è un avversario potente. Il film, che ho avuto l’onore di presentare anni fa, merita assolutamente una visione qui si può apprezzare in streaming gratuito.
Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=13119
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