Diritti, ideali e battaglie civili. L’arte politica dei Radicali

A Chianciano Terme, ieri si è aperto il tredicesimo congresso dei Radicali Italiani, che durerà fino a domenica. I Radicali sono un po’ come un dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, Lotta tra Carnevale e Quaresima. Ti immergi in quell’accostamento di figure umane, in quel variopinto disordine, e non sai dove guardare. Pur avendo la sensazione di aver di fronte qualcosa di immutabile.
I Radicali sono tendenzialmente l’unica opera d’arte della politica italiana. Proprio perché immutabili. Anni di piombo, craxismo, Tangentopoli, Seconda Repubblica o quella di adesso, la Repubblica «n», indefinita. Partiti distrutti, altri trasformati, altri ancora nati morti, valori ballerini. Loro invece no, radicali erano e radicali sono rimasti. Intreccio inscindibile di idealismo e fisicità, che ha permesso loro di presidiare la storia più di quanto abbiano fatto con le istituzioni. L’idealismo è nelle battaglie.
Ai radicali dobbiamo la trasmissione più efficace di un principio, che dietro le questioni di diritto, e quindi di giustizia, c’è sempre una questione di diritti, e quindi di persone. Perché riguarda il rapporto dell’animo umano rispetto al percorso giudiziario. Dal giusto processo, al ruolo del giudice, fino alla dignità nelle condizioni di detenzione. Valori nel nostro Paese spesso violati e su cui, purtroppo, la comune sensibilità ancora solleva poca indignazione. D’altronde, siamo nel Paese di borghesi piccoli piccoli, del «tutto bene finché non capita a me». E per cui il sacrificio di Enzo Tortora fu, negli anni ’80 frenetici di un’Italia edonista e farfallona, la più grande lezione morale impartita da chi moralista non era proprio. Il presentatore di Portobello finì in un monumentale processo che gli costò carriera, salute e vita. Da cui, poi, uscì completamente pulito ma altrettanto distrutto. I Radicali raccolsero la sua storia e le diedero corpo e anima politica. Non fu un testimonial, ma testimone. La democrazia scesa tra gli ultimi attraverso uno dei primi. Perché Tortora, primo lo era. Alfiere di una tv fatta in giacca e cravatta ed eloquio forbito, amico catodico delle famiglie. L’effetto collaterale più subdolo di un processo condotto in un modo così viscerale sarebbe stato far passare l’idea che uno a cui avresti lasciato le chiavi di casa era diventato nemico pubblico numero uno. E quell’idea non passò grazie anche alla sua esperienza politica. Ma il messaggio era stato chiaro, importante, perché fisicamente sbattuto in faccia a tutti gli italiani.
La fisicità, appunto. Colonna dell’esperienza radicale. I digiuni infiniti di Marco Pannella, le sue comparsate in televisione a volte smagrito a volte tonico. E poi ancora gli attivisti completamente nudi al teatro Eliseo (nel 1995), i corpi divorati dalla Sla di Coscioni e di Welby, la dirompenza erotica di Cicciolina, che fu deputata nel 1987. A modo diverso, dimostrazioni del vivere l’esperienza politica nella propria totalità umana. Che è il messaggio fatto passare, sempre, da Marco Pannella. Leader strabordante, dentro e fuori il partito. Un’epica ruvida, la sua, ma pur sempre epica. La reazione idiosincratica alle teste pensanti del suo partito, si ricordano le liti con Capezzone, oppure gli scontri con Massimo Bordin, voce e testa di Radio Radicale. Oppure i confronti con gli altri «uomini forti» della politica italiana. Da Bettino Craxi, con cui condivise un tratto di strada parallela in orientamento laico e anticomunista. A Silvio Berlusconi, di cui appoggiò la discesa in campo tanto che Emma Bonino, nel 1994, fu portata dal Polo alla Commissione Europea. Fino all’ultimo uomo forte del nostro tempo. Renzi? No, Papa Francesco. Che gli ha chiesto al telefono di interrompere uno sciopero della sete. E lui ha accettato. Perché sarà pure ateo e laicista, Pannella. Ma nemmeno lui può governare quella legge soprannaturale che spinge le grandi storie, prima o poi, ad incontrarsi.

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