Caccia il cacciatore
Dopo 24 anni i Radicali tornano a occuparsi di caccia, in una campagna nazionale volta a riformare integralmente la legislazione nazionale sull’attività venatoria, retaggio di una cultura violenta ed arcaica.
Ogni anno, da settembre a gennaio, orde di uomini armati invadono le nostre campagne e perpetrano una vera e propria strage legalizzata di animali selvatici. Ma vediamo più in dettaglio alcuni aspetti di un’attività che ancora molti si ostinano a considerare non solo nobile retaggio di una tradizione antica, ma addirittura utile se non indispensabile all’ambiente!
1) Caccia, animali, ambiente
Ecco cosa scrive in proposito lo zoologo Carlo Consiglio:
“La caccia è dannosa e dovrebbe essere abolita per un buon numero di motivi. Anzitutto per motivi etici: come risulta dalle più recenti ricerche di etologia, gli animali non umani (almeno i Mammiferi) hanno una vita emotiva del tutto simile alla nostra, e sono quindi capaci di soffrire; quindi, come proteggiamo gli umani dalla sofferenza, dovremmo proteggere anche i non umani. Inoltre per motivi antropici: la caccia è un’attività pericolosa, che causa ogni anno decine di morti e di feriti. Ma vi sono anche danni ecologici:
- Riduzione della grandezza delle popolazioni cacciate, dovuta alla sottrazione di esemplari.
- Disturbo venatorio: gli animali sono costretti ad abbandonare aree ricche di cibo e rifugiarsi nelle poche aree protette; gli uccelli migratori nelle aree di sosta o di svernamento sono costretti ad alzarsi in volo ad ogni sparo, perdendo tempo ed energia in un periodo in cui dovrebbero accumulare riserve energetiche per la migrazione; i Cervidi sono costretti a cambiare habitat e passare ad alimenti meno nutrienti; aumenta la distanza di fuga, e così è più difficile l’osservazione da parte del naturalista o del birdwatcher.
- Saturnismo: il piombo dei pallini viene attaccato dai succhi gastrici, specialmente delle anatre che li scambiano per sassolini che aiutino la macinazione del cibo, causandone la morte.
- Ripopolamenti: poiché non vi sono sufficienti animali selvatici per soddisfare la sete di sangue dei cacciatori, le autorità ricorrono a lanci di animali allevati, inadatti all’ambiente naturale perché non hanno appreso il corretto comportamento di ricerca del cibo o di fuga dai predatori; questi animali allevati muoiono in gran numero nei primi giorni dopo il “lancio”. Questi ripopolamenti spesso sono fatti con specie o razze estranee alla fauna locale, causando inquinamento genetico e spesso l’estinzione della forma locale, come nei casi della starna e della lepre.
- Animali feriti: spesso il cacciatore non riesce a recuperare l’animale colpito; se esso è solo ferito, spesso morirà dopo ore o giorni per la ferite, per sete o per fame. La percentuale degli animali feriti e non recuperati sul totale dei colpiti è altissima e varia dal 9% al 400%[1], secondo la specie.
- Animali che hanno perso il partner: nelle anatre le coppie si formano in autunno nelle aree di svernamento, migrano insieme e restano insieme fino alla riproduzione ed alla cova. Se in questo periodo il maschio viene ucciso, la femmina potrà formare una nuova coppia, ma deporrà un minor numero di uova.
- Bracconaggio: i cacciatori spesso abbattono specie protette; ciò può avvenire volontariamente o per un errore di riconoscimento. Negli Stati Uniti i cacciatori con anni di esperienza sono capaci di riconoscere le anatre in volo nel 74% delle specie, i novizi invece solo nel 52%. L’85% dei reati di bracconaggio è commesso da persone munite di licenza di caccia; quindi cacciatori e bracconieri non sono due categorie ben distinte, perché molte persone fanno parte di ambedue ed optano di volta in volta per l’una o per l’altra. Gli elenchi delle specie cacciabili sono stabiliti dall’Unione Europea per ciascuno Stato membro e possono essere modificati dagli Stati stessi solo in senso restrittivo. Tali elenchi sono molto diversi tra uno Stato e l’altro dando l’impressione che l’Unione europea, più che seguire motivi ecologici, abbia voluto rispettare le tradizioni venatorie degli Stati membri.
La caccia è necessaria? Pare impossibile, ma alcuni cacciatori sostengono che senza la caccia gli animali selvatici si riprodurrebbero eccessivamente causando gravi danni all’ambiente. Un’affermazione simile è contraria al buon senso; infatti, se ciò fosse vero, non si capisce come l’ambiente si conservasse prima della comparsa dell’uomo. Inoltre l’ecologia insegna che tutte le popolazioni animali si accrescono fino al raggiungimento di un valore, detto “capacità portante”, in corrispondenza del quale la popolazione non si accresce più perché la mortalità eguaglia la natalità. Quindi tutte le affermazioni secondo le quali una specie è in “soprannumero” non hanno senso. In certi casi sembra addirittura che la caccia sia la causa dei danni arrecati da animali selvatici. Ad esempio, nel caso del cinghiale, che arreca gravi danni all’agricoltura, la colpa è del rilascio di cinghiali di allevamento di razze estranee, più prolifici, e persino ibridati con maiali; inoltre la caccia interrompe il meccanismo della sincronizzazione dell’estro, che regola la riproduzione dei cinghiali, e causa un più precoce raggiungimento della maturità sessuale. La volpe è odiata dai cacciatori non tanto per qualche gallina che può sottrarre, quanto per i fagiani dei ripopolamenti venatori, che le servono come facile preda, ripopolamenti che cesserebbero se la caccia fosse vietata. L’influenza aviaria è dovuta non agli uccelli selvatici, ma piuttosto agli allevamenti di polli in batteria, dove si ha un’anormale concentrazione di individui, e le anatre ne sono le vittime piuttosto che la causa.”
2) Caccia e sicurezza
La caccia miete da sempre anche molte vittime umane: 118 sono i morti e feriti per arma da fuoco solo nel corso dell’ultima stagione venatoria, anche a causa di una legislazione che non tutela il cittadino in alcun modo dal rischio di incidenti connessi all’esercizio venatorio.
La questione della sicurezza e della tutela dell’incolumità pubblica è cruciale: tanto più, a un’attenta analisi, risulta evidente che gli incidenti di caccia non possono essere liquidati semplicemente come ‘tragiche fatalità’, ma sono le dirette conseguenze da una parte dell’intrinseca pericolosità di un’attività che preveda l’uso di armi da fuoco in luoghi pubblici, dall’altra del carattere antiquato della legge che attualmente ne regola la disciplina.
Per un verso, dunque, un’analisi della relazione caccia-sicurezza pubblica deve partire da un presupposto: l’attività venatoria, per una serie di fattori spesso concomitanti che la caratterizzano (armi cariche, terreni accidentati, presenza di attività agricola e/o turistica…), non può essere praticata in condizioni di accettabile sicurezza. In quali condizioni un qualunque territorio silvestre italiano, con i suoi pendii, i saliscendi, la vegetazione, i sassi e tutto il resto – insomma, con una visibilità generalmente compromessa da elementi del paesaggio –, può essere definito sicuro? Certamente a stagione di caccia chiusa, quando cioè in quello stesso territorio non si aggireranno uomini armati che, in quelle stesse condizioni di visibilità, intenderebbero sparare.
Filippo Schillaci, nel suo libro “Caccia all’uomo” (2005, Nuovi Equilibri), dopo un accurato confronto[2] tra le misure di prevenzione e sicurezza previste dall’attuale normativa sul lavoro e quelle previste in aree ove è praticata l’attività venatoria, conclude: «La caccia insomma è un’attività per sua natura incompatibile con i moderni principi che vedono nella salute e nella sicurezza del cittadino un diritto primario e irrinunciabile.»
Per altri versi, tuttavia, non è assurdo pensare che, integrando la legge 157 con alcune significative restrizioni e, in generale, modificando l’impianto esclusivamente risarcitorio di tale legge nei confronti delle vittime, si possa dare un duro colpo ai cacciatori, i quali – non dimentichiamocelo! – sono in costante declino numerico. Oltre che, ovviamente, a dare un taglio netto al prezzo di vite umane e animali che ogni anno i cacciatori chiedono all’Italia!
Vediamo più in dettaglio che cosa prevede l’attuale normativa in merito al problema della sicurezza nell’esercizio dell’attività venatoria:
a) Il rinnovo delle licenze di caccia
Verrebbe naturale immaginare che, nel caso di un’attività così pericolosa, il rilascio e il rinnovo di licenze sia soggetto a un esame rigoroso e approfondito. Nulla di tutto ciò. Per esempio, attualmente la licenza di caccia ha una validità di sei anni a prescindere dall’età del titolare: ciò significa che, ad esempio, un cacciatore che riesca a rinnovare la sua licenza all’età di novant’anni potrà continuare a sparare fino a novantasei anni, indipendentemente dalle variazioni del suo stato di salute che, data la pericolosità della pratica, dovrebbero essere monitorate con molta più attenzione.
Facciamo ora un confronto con la durata della patente di guida: le patenti di guida delle categorie AM, A1, A2, A, B1, B e BE sono valide per dieci anni; qualora siano rilasciate o confermate a chi ha superato il cinquantesimo anno di età sono valide per cinque anni ed a chi ha superato il settantesimo anno di età sono valide per tre anni.Le patenti di guida delle categorie C1, C1E, C e CE, sono valide per cinque anni fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età e, oltre tale limite di età, per due anni, previo accertamento dei requisiti fisici e psichici. Basta questo semplice confronto per mettere in luce quanto l’attuale normativa sul rilascio e rinnovo delle licenze di caccia non sia affatto pensata per tutelare la sicurezza e l’incolumità pubblica, risultando addirittura più lassista di quella sul rilascio di patenti di guida.
b) La prevenzione degli incidenti di caccia
Come già ricordato, la caccia, per sua natura, non è un’attività compatibile con una concezione moderna di “sicurezza” che punti alla prevenzione piuttosto che al mero risarcimento del danno. Nell’ambito del lavoro, l’incidente per fortuna non è più visto come “tragica fatalità”, in quanto tale non prevedibile e prevenibile ma, al contrario, come la risultante della mancata attuazione di una serie di norme precauzionali. Nulla di tutto ciò è applicabile nel caso della caccia, la quale si potrebbe svolgere in condizioni di relativa sicurezza (sicurezza solo per gli umani, si intende!) solo in presenza di terreno del tutto pianeggiante, libero da alberi o qualsiasi altro ostacolo alla vista, e in situazioni di perfetta visibilità. In pratica, condizioni inesistenti o quasi. Per questo motivo la legislazione sulla caccia è rimasta così antiquata rispetto alla legislazione sul lavoro: se la legge sulla caccia dovesse adeguarsi ai moderni standard di sicurezza e protezione dell’incolumità pubblica, l’unico esito logicamente possibile sarebbe l’abolizione dell’attività venatoria.
Inoltre, a differenza della legge precedente, la legge attualmente in vigore non prevede sanzioni penali ma semplici sanzioni amministrative per molti illeciti che non abbiano causato danni concreti a persone o cose (compreso il mancato rispetto delle distanze dalle abitazioni e dalle strade); come se non bastasse, molte delle attuali misure di sicurezza sono largamente disapplicate dai cacciatori anche a causa della natura stessa dell’attività venatoria che, svolgendosi all’aperto in un luogo non modificato artificialmente dall’uomo, rende difficile se non impossibile il controllo sulla loro effettiva applicazione.
Per di più, la legge 157 contiene delle lacune a dir poco clamorose: ad esempio, non è prevista alcuna limitazione della caccia o un suo divieto in caso di nebbia; le strade poderali e interpoderali sono escluse dalla seppur minima protezione garantita dal rispetto delle distanze di sicurezza previste dalla legge. Inoltre, la stessa distanza di sicurezza che deve essere mantenuta quando si spari in direzione delle case non considera il fatto che il padrone di casa o i suoi familiari possano anche trovarsi fuori dall’abitazione, nei pressi di essa. Così come il divieto di sparare a una distanza inferiore ai 100 metri da una macchina agricola non considera, parimenti, che il conducente del macchinario possa temporaneamente trovarsi al di fuori del veicolo. Infine, last but not least, la legge consente ai cacciatori di essere accompagnati da minorenni alle proprie battute di caccia – dopo quanto detto finora, ulteriori commenti sarebbero un’inutile ridondanza!
c) L’accesso ai fondi a scopo turistico o abitativo
L’art. 842 co. 1 del Codice Civile permette ai cacciatori di entrare nelle proprietà private nel corso delle loro scorribande anche senza il consenso del proprietario del fondo. Questo articolo, introdotto in epoca fascista quando la caccia era considerata attività preparatoria alla guerra e in quanto tale sostenuta e incoraggiata, subordina quindi la tutela della proprietà privata (!) alla ‘superiore’ esigenza del cacciatore di entrare in un terreno altrui per sparare. Affinché possa impedire al cacciatore di entrare nel suo fondo, il cittadino deve dotare lo stesso di una recinzione alta almeno 1,20 metri trasformandolo in un “fondo chiuso”, con notevole esborso di denaro. È difficile immaginare una legge più scopertamente tesa a fare gli interessi di una parte ben precisa a scapito di diritti fondamentali del cittadino.
I più penalizzati da questa norma insensata sono forse gli operatori turistici la cui attività si svolge in zone di caccia (su tutti, gli agriturismi). La vecchia legge 968/77 prevedeva che le autorità territoriali potessero vietare temporaneamente la caccia nelle zone interessate da intenso turismo (art. 20): purtroppo, di questo codicillo si è persa ogni traccia a partire dal 1992, quando la legge tuttora vigente ha sostituito la precedente. Fortunatamente ai sindaci è rimasto qualche strumento per limitare i danni nelle zone interessate da “intenso” turismo (e le altre?), ma si tratta di strumenti debolissimi.
Fonti
Filippo Schillaci (2005), Caccia all’uomo, Nuovi Equilibri, Viterbo.
Castignone, L. L. Vallauri (a cura di), 2013, La Questione Animale, inTrattato di Biodiritto, n. 6, a cura di S. Rodotà, P. Zatti, Giuffrè Editore.
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[1] E’ il caso, ad esempio, del tacchino selvatico in Virginia: per ogni tacchino ucciso e recuperato, vi sono 4 tacchini feriti e non recuperati.
[2] F. Schillaci, Se la caccia fosse un lavoro (http://www.abolizionecaccia.it/notizie/dicacciasimuore/se-la-caccia-foss...)
Fonte: http://associazioneparteincausa.wordpress.com/2014/06/03/caccia-il-cacciatore/
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