Open Data in Italia, confessioni di un informatico

“Scarichiamo tutti i dati pubblicati dalle amministrazioni e iniziamo ad aggregarli. Rendiamoli fruibili a chiunque”. È con questo intento che è iniziato il viaggio che insieme ai ragazzi di Agorà Digitale mi vede impegnato nel percorso di Era della Trasparenza. Di cosa mi occupo? Della parte informatica e del database. “Ah, quindi tu sei quello che avrà più problemi di tutti”, mi disse all’inizio dell’avventura un amico passato a trovarci. Parole che con il senno di poi posso definire in una sola maniera: profetiche.

Lavorare sugli Open Data relativi alle voci di spesa della Pubblica Amministrazione italiana è infatti al momento una vera e propria gimkana per me inimmaginabile quando, leggendo il decreto legislativo che disciplina la pubblicazione dei dati, ebbi la sensazione che fosse un lavoro lungo ma non molto complesso. Il decreto indica infatti il contenuto, la forma, i tempi e i modi che tali dati devono assumere in fase di pubblicazione e ammette anche il loro riutilizzo. Ma la teoria non è la pratica e l’informatica (ahimé) è una scienza pratica e non teorica.

Facciamo ordine. La prima famiglia di Amministrazioni è rappresentata dalle inadempienti, ossia quelle che, a dispetto delle norme, ancora non pubblicano i propri dati. E sono ancora molte, moltissime. Sono la stragrande maggioranza. La lista sarebbe troppo lunga e denunciarle una ad una sarebbe anche noioso (valga l’esperienza della Settimana della Trasparenza).

Meno corposo è invece il secondo insieme, quello che indico come “Amministrazioni furbe”. Queste pubblicano i dati in loro possesso in modo parziale e in alcuni casi non permettono il download integrale delle informazioni di spesa, “regalando” al cittadino la sola visualizzazione dei documenti attraverso delle discriminanti d’interrogazione, come se il cittadino stesso fosse a conoscenza, a priori, ad esempio dell’azienda o della persona beneficiaria della commessa o dell’appalto.

Infine (evviva!), ci sono le Amministrazioni adempienti, che rispondono al dettato dalla legislazione ma sicuramente non al manuale del buon informatico; esattamente, possiamo gioire per l’adempimento legislativo ma non per l’approccio informatico alla materia che manca di una organizzazione sistematica.

Senza entrare troppo sul tecnico, in questa (residuale) famiglia ogni componente ha scelto autonomamente il formato di output del file, la denominazione dei campi, il contenuto e il separatore degli stessi e il qualificatore del testo. Per non parlare degli errori tecnici che questi file contengono. Il più frequente? L’utilizzo del carattere di separatore del campo anche al di dentro di stringhe di testo non qualificate come tali. Con questo presupposto il riutilizzo dei dati su larga scala, contemplato dalla legislazione, diventa arduo e complesso perché obbliga ad un inseguimento delle diverse scelte informatiche di ogni singola Pubblica Amministrazione.

Immaginate di dover costruire un puzzle in due situazioni differenti. Nella prima avete tutte tessere di uguale dimensione che si incastrano perfettamente tra loro; nella seconda, invece, prima di incastrare tutti i pezzi dovete ritagliare bordi e anse di ognuno per poi procedere all’assemblaggio.

Ecco, con gli Open Data al momento siamo in quella fase lì. Come dite, volete i nomi? Per quelli c’è tempo, le nostre chiacchierate sono solo all’inizio. Stay tuned!

Giuseppe Marini

Foto: it.123rf.com

Fonte: http://www.agoradigitale.org/open-data-in-italia-confessioni-di-un-informatico/

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