La dignità della sofferenza

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IL PICCOLO (Trieste) 12/09/2013 – La dignità della sofferenza

Sono una delle militanti (radicale) che ha contribuito a raccogliere le 5.707 firme di cittadini triestini (più o meno conosciute) sulla proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare l’eutanasia. Scrivo per rispondere principalmente al dottor Gabrielli anche se mi auguro di essere letta da persone con un maggior senso di civiltà riguardo all’appellare chi fatica per sostenere battaglie di civiltà. Nella sua lettera infatti (La morte nella sofferenza, bugia utile a chi si batte per l’eutanasia) Gabrielli scrive che noi militanti sappiamo coprire bene l’odore della morte parlando di libera scelta eccetera. Quell’odore,come lo chiama lui, lo saprà bene Gabrielli, ce lo portiamo dietro dalla nascita.

Una delle scelte, quando quell’odore diventa insopportabile per chi vive sofferenze che tolgono autonomia, e quindi dignità, e non c’è modo di farlo percepire come vita, è di offrire un modo dignitoso almeno per andarsene. Verrebbe da credere che Gabrielli prima di scrivere quella che ai miei occhi non appare nemmeno come una critica costruttiva ma soltanto come una difesa d’ufficio (inteso come Santa Sede) di valori cattolici, non si sia nemmeno dato la briga di leggere nel dettaglio la proposta. Se così fosse lo faccia ora: è molto breve e, a lui che è medico, apparirà incredibilmente sensata e condivisibile per chi crede in uno Stato Laico e sa che, anche se non si vogliono vedere, certi fenomeni esistano. Ovviamente sto parlando del fenomeno dell’eutanasia clandestina. Qui mi permetto soltanto di citare un dato: nel 2002, il 3,6 % dei rianimatori intervistati nell’ambito di una indagine realizzata dal Centro di bioetica dell’Università Cattolica di Milano dichiarava di aver somministrato volontariamente farmaci letali.

Per altri dati e approfondimenti invece invito il dott. Gabrielli a consultare online il n. 4 della rivista MicroMega dal titolo: “Questione di vita e di morte”. Questa sì è una lettura più lunga e più complessa, ma sono sicura che il dott. Gabrielli la troverà di suo interesse. La possibile deriva, che il dott. Gabrielli preconizza, di una società che sopprime le persone invece di curarle e che non investe di più nella ricerca medica non è questione riconducibile al tema dell’eutanasia legale. Riguarda piuttosto la classe politica di questo povere Paese che pare faccia proprio poco, se non nulla, per rendere la vita dignitosa a tutti.

Chiudo con una nota che sicuramente non farà piacere al dottor Gabrielli: le 50 mila firme necessarie per presentare la proposta in Parlamento sono state raccolte e quindi ora, per noi militanti che amiamo la vita, verrà il tempo di creare un sano, e rispettoso dell’altrui opinione, dibattito pubblico. D’altro canto nello scrivere questo invece so di far piacere sicuramente ai quasi 6 mila firmatari triestini. Infatti la frase che ho sentito più spesso ripetere durante questa entusiasmante e formativa raccolta di firme è la seguente: “Potrò almeno morire come voglio”. A queste persone noi offriamo, come è normale che sia in un paese civile e democratico, una legge che tuteli la loro decisione, ovviamente non obbligando nessuno a farne ricorso.

Clara Comelli (Associazione Radicale Certi Diritti)

Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/Radicalifvg/~3/6yPKQxnukyk/

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