Intevento di Beppi Lamedica (Venetoliberale) sui 12 referendum

Lettera sui dodici referendum radicali

Cari amici e cari compagni,

il regime postfascista partitocratico è in agonia. Non è la prima volta che affronta una crisi che potrebbe travolgerlo, ma stavolta la crisi sembra innescare un cambiamento storico. Lo sbocco non è prevedibile, però ci sono strumenti affinché l’esito del processo possa essere meno negativo possibile. Facciamo un passo indietro.

Alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90 dello scorso secolo il regime postfascista partitocratico affrontò la crisi conseguente sia alla modifica dell’ordine politico internazionale per l’implosione dell’Unione Sovietica che al vuoto politico nazionale occupato da quella parte della magistratura composta essenzialmente dai pubblici ministeri.

Le forze politiche nazionali, orfane del vecchio ordine internazionale e soggette ad un discredito nazionalmente molto esteso, commisero un duplice errore. Da un lato resero molto più difficile emanare una legge sull’amnistia e dall’altro lato indebolirono enormemente l’autonomia dei parlamentari dai pubblici ministeri, permettendo alla magistratura (rectius a quella parte della magistratura rappresentata dai pm) di diventare sempre più protagonista della lotta politica.

Il regime riuscì a sopravvivere però il conflitto cosiddetto tra politica e giustizia, che oggi segna l’attuale crisi, ha in quegli errori la propria matrice.

Scriveva Michele Ainis sul Corriere della Sera del 19 agosto: “In Italia non c'è separazione fra politica e giustizia. C'è piuttosto un condominio, un territorio di competenze sovrapposte” Il giurista e corsivista del maggior quotidiano nazionale si chiede quando sia successo e come sia accaduto. Così risponde: “Con una doppia revisione costituzionale, battezzata durante Tangentopoli. Nel 1992 venne pressoché reciso il potere di clemenza delle Camere: da allora serve la maggioranza dei due terzi. Significa che è più facile correggere la Costituzione (dove basta la maggioranza assoluta) che sfollare le carceri attraverso un'amnistia. E infatti nei 21 anni successivi ne abbiamo celebrata una soltanto (l'indulto del 2006), quando nei 150 anni precedenti ne erano state concesse 333, oltre un paio l'anno. Insomma, per castigare l'abuso abbiamo finito per vietare l'uso. Ma al tempo stesso il Parlamento ha perso l'ultima parola sulla giustizia dei reati e delle pene, decretando il primato della magistratura. Poi, nel 1993, interviene la resa. Quando la politica riscrive l'articolo 68, rinunziando alle vecchie immunità. Nel testo dei costituenti c'era l'autorizzazione a procedere, ossia il visto obbligatorio delle Camere per sottoporre a processo penale ciascun parlamentare; e c'era l'autorizzazione agli arresti, anche in seguito a una sentenza definitiva di condanna.”

Il dibattito sulla presunta amnistia da concedere a Berlusconi e la possibile dichiarazione di decadenza (senza se e senza ma) dal mandato parlamentare del leader di uno dei partiti principali che sostengono l’attuale governo, acuiscono l’agonia del regime. Agonia che elezioni anticipate, con una legge elettorale che ha sottratto ai cittadini il diritto democratico di scegliersi i suoi rappresentanti, non potrà essere in alcun modo arrestata, con conseguenze imprevedibili e sicuramente dannose per i cittadini inermi.

Diventa, perciò, indispensabile tentare di trovare non tanto un antidoto alla crisi di regime (che mai è stato amato da chi scrive), ma trovare uno scudo per attenuare le conseguenze della crisi del regime ormai inarrestabile. E lo scudo può essere il voto dei cittadini. Come? Eliminando il “porcellum”? No di certo. Chi detiene il potere non ha alcuna intenzione di eliminare una legge elettorale che, sottraendo il diritto ai cittadini, si è costruito il privilegio di nominarsi i propri rappresentanti, pertanto su questo fronte non c’è speranza. Basta rivolgere un minimo di attenzione al rifiuto di quanto era stato proposto dal deputato del pd Roberto Giacchetti per convincersi della volontà dei partiti di regime (oggi dicono della “casta”) di mantenere in vita quella immonda legge elettorale .

La soluzione che noi sosteniamo consiste nella riattivazione del diritto di voto referendario.

La Costituzione Repubblicana ha concesso due strumenti, si dice due schede elettorali: quella per eleggere i propri rappresentanti in Parlamento e quella per, eventualmente, cancellare alcune leggi che i loro rappresentanti hanno provveduto a far nascere. Nella Costituzione questa seconda scheda era uno strumento in mano ai cittadini per correggere gli errori commessi dai loro rappresentanti, senza limitare il loro mandato, compatibile con la visione democratico-liberale. Oggi con il “porcellum” ai cittadini è stato sottratto il diritto di scegliersi i suoi rappresentanti perché i parlamentari sono “nominati” dai partiti, di qui la caratteristica antiliberale di questo regime in quanto non corrispondente al canone minimo secondo il quale solo i rappresentanti dei cittadini possono deliberare le tasse da dover pagare. (No taxation whithout reppresentation!).

Resta il voto referendario quale estremo scudo della volontà popolare. E’ questo che deve essere rivitalizzato.

In campo ci sono i dodici quesiti referendari proposti dai radicali che aspettano le firme dei cittadini. Dice il leader radicale Marco Pannella: “Ci sono i dodici referendum radicali che non sono solo sulla giustizia giusta, attenzione! Prendiamo il divorzio breve. Significherebbe far crollare il numero di cause civili che ci vengono rimproverate dall’Unione europea e che rappresentano l’1%del nostro Pil. E che dire della limitazione del carcere preventivo? Adesso tante anime belle piangono sui problemi delle carceri e del loro sovraffollamento.”

Il tempo per raccogliere le firme è molto ridotto e il rischio di non raggiungere il minimo di firme necessarie per attivare il voto referendario è realistico. Chi sostiene la tesi del “tanto peggio” non muoverà un dito. Il cittadino inerme che non vuole rimanere inerte, invece, non può che fornirsi di una penna e armarsi di pazienza recandosi presso la segreteria comunale del proprio comune o scoprendo, in città, qualche isolato presidio di raccolta firme, vista la scarsità di autenticatori.

Parlavo dell’attivazione, con il processo referendario, di uno scudo per i cittadini.

Chi scrive resta convinto che qualche speranza per uno sbocco riformatore dell’attuale crisi può essere coltivata. L’imprevisto, l’imprevedibile, l’impredicibile non è detto che debba essere per forza negativo se il progetto è compatibile con la legittimazione di una forza politica per la radicale alternativa liberale conseguente alla delegittimazione del regime. Questo è un discorso che riguarda non solo la pattuglia radicale ma anche le energie vecchie e nuove che saranno liberate dalla irreversibile crisi, energie che potrebbero trovare alimento nel processo referendario, di qui l’indispensabile sforzo per raggiungere il numero minimo di firme per i dodici referendum radicali. (bl)

Fonte: http://venetoradicale.blogspot.com/2013/08/intevento-di-beppi-lamedica.html

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