Intorno alla marijuana negli States molto fumo legale (statuale) e poco arrosto riformatore (federale), e in Italia?
Intervista a Marco Perduca, vice presidente del Partito Radicale (iscritto alla associazione radicale “Per la Grande Napoli”) da huffingtonpost.it, 12-06-2013
Nell’estate del 2010 ho avuto modo di visitare la Oaksterdam University in California. Si tratta di un’organizzazione e associazione politica che, come il nome suggerisce, oltre segnalare che si trova nella città di Oakland vicino a San Francisco, si rifà ai motivi per cui Amsterdam è nota negli Usa: la marijuana.
Creata dall’attivista pro-cannabis Richard Lee nel 2007, vi si insegnano le più recenti tecniche per ottimizzare la coltivazione della marijuana e si organizzano incontri per discutere iniziative per cambiare la legislazione statuale e federale per renderne la produzione, il consumo e il commercio della cannabis del tutto legali negli Usa. Il giro d’affari della Oaksterdam University, che ha aperto campus anche in altre tre città, supera i cinque milioni di dollari annui e ha portato benefici a uno dei quartieri meno vivaci della città.
La mia visita avveniva a pochi mesi dal referendum che, anche grazie al lavoro di Richard Lee, la California stava per votare per legalizzare la marijuana per motivi ‘ricreativi’. Tutti attendevano che dalla Casa Bianca arrivasse un messaggio di distensione o non belligeranza ma Obama, dopo qualche segnale ambiguo, espresse la propria contrarietà al referendum e per poco più di 600mila voti la proposta fu bocciata dai californiani che pur riconoscono l’uso medico della pianta dal 1995. A conferma della contrarietà federale alle idee di Lee, nell’aprile 2012 la Oaksterdam University è stata visitata dalla Dea, dall’Irs e dagli U.s. Marshals.
Nel novembre dell’anno scorso, sempre grazie a un referendum popolare, il Colorado e lo stato di Washington hanno finalmente legalizzato la marijuana e in questi giorni i governatori e le assemblee legislative dei due stati stanno definendo le norme per poter finalmente mettere in commercio la pianta tassandola in modo appropriato.
Sono ormai 26 gli stati Usa che hanno riformato le proprie leggi proibizioniste sulla marijuana: a parte i due che l’hanno legalizzata del tutto, sette ne hanno depenalizzato l’uso personale, otto ne hanno legalizzato l’uso medico e altri nove l’hanno depenalizzata per scopi curativi. Nella stragrande maggioranza dei casi son state necessarie iniziative referendarie altre volte le modifiche legislative son avvenute grazie alla politica, come in questi giorni nello stato di New York.
I motivi per questi costanti progressi son vari e includono argomenti di politica sanitaria, ragioni economiche ma anche critiche all’amministrazione della giustizia. Ampia letteratura scientifica, anche internazionale, ritiene infatti che i cannabinoidi possano esser utilmente impiegati nella cura del dolore e per stimolare l’appetito, buon senso vorrebbe quindi che fossero facilmente ottenibili. Varie stime ufficiali e indipendenti, relative ai possibili introiti nella casse pubbliche degli Stati che hanno legalizzato, indicano che in Colorado si potrebbe arrivare a 310 milioni di dollari mentre 100 sarebbero quelli previsti pel Colorado. Se in California avessero vinto i “sí” nel 2010 si prevedevano introiti addirittura intorno al miliardo e mezzo, per non parlare dei risparmi relativi alla riorganizzazione dell’ordine pubblico.
Recentemente, e finalmente, l’amministrazione della giustizia inizia a esser inclusa tra le preoccupazioni per cui almeno depenalizzare sarebbe un notevole sollievo in termini di arresti e sovrappopolazione carceraria. Come è noto gli Usa, con oltre 2.200.000 detenuti, hanno la più grande popolazione carceraria del mondo (secondo l’American Civil Liberties Union con solo il 5% della popolazione mondiale negli Usa c’è il 25% dei detenuti di tutto il mondo!), di questi l’8% è in carcere per violazione delle leggi sulla marijuana.
Nel 2011 gli arrestati per marijuana son stati oltre 663.000, il Drug Policy Center di New York stima che per per ogni fermo la polizia della città impieghi mediamente due ore e mezzo di lavoro distraendo risorse umane e finanziarie da altri tipi di attività più pressanti. Nella stragrande maggioranza dei casi vengono arrestati cittadini afro-americani o cosiddetti latinos e le condanne possono arrivare fino a 10 anni. Anche qui i i risparmi economici per l’amministrazione della giustizia, in aggiunta alla lotta alle discriminazioni, sarebbero notevoli, anche se difficilmente calcolabili, ma né l’Attorney General Holder né tantomeno Obama, entrambi afro-americani, hanno lasciato intravedere spiragli riformatori in merito a riforme strutturali sulla marijuana.
Ultimo, ma non per questo meno importante, non passa settimana che quotidiani o settimanali di ogni genere o specie non pubblichino, e anche in prima pagina, articoli o editoriali a sostegno della legalizzazione della marijuana. Purtroppo a questa grande attenzione mediatica il Congresso Usa ha sempre risposto col consueto silenzio.
Salvo pochi e coraggiosi legislatori sia democratici che repubblicani – che hanno azzardato timide proposte di riforma o di non ingerenza nelle modiche legislative dei singoli stati – il resto teme per la propria carriera. A seguito del voto in Colorado e nello stato di Washington l’Amministrazione Obama aveva annunciato che dopo l’insediamento sarebbe stato chiaro come il governo federale avrebbe reagito legalmente e politicamente, anche perché nell’incertezza è difficile investire i danari necessari per avviare la produzione o il commercio della pianta, ma a oggi a livello nazionale tutto tace.
Il segretario di stato John Kerry, notoriamente liberal, nel partecipare settimana scorsa a un Summit dell’Organizzazione degli stati americani ha sostanzialmente confermato l’atteggiamento conservatori degli Usa in materia di stupefacenti (ne parlerò in un prossimo post).
E in Italia, dove il 30% dei detenuti è in galera per la Fini-Giovanardi, dove c’è una delle peggiori sovrappopolazione carcerarie d’Europa e dove alcune regioni hanno adottato norme per la cannabis terapeutica?
Dopo la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare da parte di alcune organizzazioni capeggiate da Antigone, dal 9 giugno i Radicali hanno iniziato a raccogliere firme per 12 referendum tra cui uno che chiede la depenalizzazione di possesso e consumo di tutte le sostanze proibite.
Essendo impossibile una vera legalizzazione per via referendaria, a causa di convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, quel referendum vuole evitare la pena detentiva per fatti di lieve entità mantenendo la sanzione penale pecuniaria. Allo stesso tempo i Radicali hanno iniziato a raccogliere firme per un disegno di legge di iniziativa popolare, ricalcato da una progetto dell’ex deputata Rita Bernardini, che legalizzata la marijuana proprio come in Colorado e nello stato di Washington.
Secondo uno studio del Pew Research Center, fatto anche a seguito di queste massicce campagne di informazione, il 52% degli americani è a favore della legalizzazione della marijuana. C’è quindi da sperare che anche la maggioranza degli italiani, se altrettanto debitamente e sistematicamente informata, sarà a favore di un cambiamento radicale. Dopotutto già 20 anni fa 12 milioni di cittadini votarono a favore di un altro referendum radicale che annullava le sanzioni penali previste per possesso e consumo personale di tutte le sostanze stupefacenti.
Diventa quindi centrale che l’informazione sia possibile e che gli italiani possano esser raggiunti dalla notizia che fino a settembre occorre firmare ai tavoli e nelle segreteria dei municipi perché i referendum possano venire votati l’anno prossimo.
Per ulteriori informazioni sulla campagna referendaria http://cambiamonoi.it
- Login to post comments