Intervista a Luigi Compagna sulla proposta del Pdl di ridurre le pene per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa
22-05-2013
Pubblichiamo, da radioradicale.it, l’intervista di Claudio Landi al senatore Luigi Compagna (Gal), iscritto all’associazione radicale “Per la Grande Napoli”.
Questa la nota pubblicata dal senatore Compagna sul proprio profilo facebook il 22 maggio.
SEN. L. COMPAGNA (PDL) – LA NECESSITÀ DI INTERVENIRE IN VIA LEGISLATIVA SULL’IPOTESI DI “CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA”, INTRODOTTO E LEGITTIMATO DA MOLTI ANNI DALLA CORTE DI CASSAZIONE, SI TRADUCE IN UN EPISODIO DI ANTIPARLAMENTARISMO IN PARLAMENTO, SE SI VUOLE DI MORALISMO DI MASSA.
Giov.22/5/2013 – Pur in mancanza di espressa indicazione del codice, la giurisprudenza ha ritenuto spesso di applicare anche al reato associativo l’istituto del concorso di persona, sanzionando anche la condotta di chi, pur non facendo parte a pieno titolo dell’associazione mafiosa e non essendo dunque “stabilmente incardinato” in essa, le fornisca apporto tale da favorirne l’attività. Superando le posizioni assunte da parte della dottrina e della precedente giurisprudenza, anche di legittimità, secondo le quali non era logicamente ammissibile il ricorso all’istituto del concorso di persone nei reati associativi, la Corte di Cassazione ha introdotto e legittimato da molti anni l’ipotesi di “concorso esterno in associazione mafiosa”, attraverso molteplici decisioni, anche a sezioni unite.
Da allora la necessità di intervenire in via di legislazione, non solo di giurisdizione, sulla fattispecie del concorso esterno era stata esplicitamente riconosciuta, nel corso della XIIIª e XIVª legislatura da un parlamentare comunista, non privo di sensibilità liberale, l’onorevole Giuliano Pisapia, presentatore di due proposte di legge volte ad individuare, accanto a quella dei concorrenti necessari (i membri effettivi dell’associazione), anche una specifica responsabilità dei concorrenti eventuali (favoreggiatori, fiancheggiatori, o comunque soggetti che contribuiscano in modo rilevante all’attività dell’associazione). Ma ciò – in ossequio al principio di legalità e tassatività della norma penale – implicava per Pisapia una disposizione normativa che descrivesse chiaramente le condotte punibili, distinguendole da quelle della stabile partecipazione al sodalizio. Insomma: una cosa deve essere il mafioso ed altra cosa un direttore di banca che una volta nella vita lo avrebbe agevolato.
In questa e nella precedente legislatura, mi ero preso il diritto di far mio, anche riguardo alle conseguenze sanzionatorie, il testo Pisapia. Ovviamente a titolo personale e senza intenti ostili a nessuno. Capita l’altro ieri, invece, che il testo abbia fatto fin troppo rumore: non per il merito (la modifica del codice), ma perché se ne identificavano a mezzo stampa gli eventuali odierni fruitori (Dell’Utri sui giornali del Nord e Cosentino sui giornali del Sud) e le eventuali future correzioni di pena (per Dell’Utri) o di carcerazione cautelare (per Cosentino). A considerare “indecente” la proposta non sono stati i colleghi della commissione giustizia, che anzi il giorno prima la avevano messa all’ordine del giorno, ma un indecente brusio extra-parlamentare ed antiparlamentare attivatosi con fermissima quanta disinformata intransigenza.
Quel brusio mi ha spaventato. Anche per rispetto dell’originario proponente, ho preferito che il mio atto Senato n. 300 interrompesse al momento il suo percorso. Al circuito del cosiddetto diritto penale di lotta (alla mafia e alla camorra), cioè alla ferocia di un “diritto penale del nemico” da opporre ad un più mite e garantista “diritto penale del cittadino”, avevo rifiutato di iscrivermi fin da quando nel 1993 in Senato avevo votato contro l’autorizzazione a procedere di Caselli per Andreotti. Con moderazione di andreottismo antico, ho, quindi, preferito per ora schivare ogni moralismo di massa.
Così come ho voluto schivare pure la tendenza dell’attuale presidente del Senato a far valere un proprio ruolo legislativo prima e più che di garanzia. Il profilo del mio disegno di legge, non c’è dubbio, era antitetico a quello da lui proposto. Ma in Parlamento può, anzi deve, accadere e non per questo si può parlare di “lesa maestà“. Comunque, la questione esula da quel che deve rimanere soltanto un episodio: un episodio di antiparlamentarismo in Parlamento, se si vuole di moralismo di massa.
Luigi Compagna
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