Immigrazione: Rapporto di Medici per Diritti Umani: “I Cie sono una polveriera ingestibile”

da “Redattore sociale”, 13-05-2013

È l’unica indagine indipendente, condotta entrando in tutti i centri di identificazione e di espulsione dopo l’estensione della detenzione a 18 mesi. Sono “centri di internamento”. I Cie, Centri di identificazione e di espulsione, sono “centri di internamento”, chiusi al mondo esterno, poco trasparenti dal punto di vista dei costi. Luoghi che violano la dignità umana, in particolare non garantiscono il diritto alla salute.

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(Immagine da wikipedia.it)

Sono le conclusioni a cui giunge il team di Medici per i Diritti umani, che ha realizzato l’unica indagine indipendente su tutti i centri, dopo l’estensione massima della detenzione amministrativa da sei a 18 mesi. La ricerca si chiama “Arcipelago Cie. Indagine sui centri di identificazione ed espulsione”, pubblicata da Infinito Edizioni e realizzata con il supporto di Open Society Foundations.

L’indagine si è svolta nell’arco di un anno, da febbraio 2012 a febbraio 2013, e si è articolata in quattordici visite agli undici Cie operativi sul territorio italiano. Altri due centri, quello di Brindisi e il Serraino Vulpitta di Trapani, non sono stati visitati perché chiusi per ristrutturazione. A quindici anni dalla loro istituzione, prima come Cpt e poi trasformati in Cie, queste strutture vengono bocciate su tutta la linea.


L’opacità che circonda queste strutture si manifesta nelle molte restrizioni all’accesso e nel fatto grave che, scrivono gli autori, “nel corso dell’intera indagine non è stato inoltre possibile conoscere dalle Prefetture i costi complessivi dei singoli Cie”.

Per quanto riguarda l’accesso, le prefetture hanno risposto alle richieste di ingresso dei Medici per i Diritti Umani con tempi molto variabili: dai sette giorni di Bari agli oltre tre mesi di Crotone e Lamezia Terme. Quasi la metà delle visite sono state condizionate dall’impossibilità di accedere alle aree di trattenimento destinate ai migranti. In particolare questo è successo a Torino, Milano, Bari, Crotone e Trapani Milo.

“Tale limitazione, sempre motivata da ragioni di sicurezza e di ordine pubblico – si legge nel rapporto – rivela comunque in modo evidente, oltre all’inevitabile tensione interna, le caratteristiche intrinsecamente afflittive e la conseguente chiusura al mondo esterno di queste strutture”. I team hanno potuto incontrare i migranti trattenuti, ma “i colloqui – denunciano i Medu – in molti casi non si sono però potuti svolgere nelle necessarie condizioni di riservatezza, data la presenza di operatori dell’ente gestore o delle forze di polizia”.

Dal punto di vista della struttura, tutti i centri sono accomunati da file di edifici disposti ordinatamente, circondati da recinzioni di sbarre, muri e filo spinato, posti sotto sorveglianza armata. I migranti sono ristretti in recinti simili a grandi gabbie, con “spazi di dimensioni inadeguate ed eccessivamente oppressivi”. In alcuni centri (come ad esempio a Torino, Crotone, Modena e Trapani) i migranti sono confinati in differenti settori permanentemente isolati tra di loro. Questo, secondo Medu, “ha reso le condizioni di reclusione ancora più umilianti e afflittive”. La conclusione della ricerca sul campo è che tali strutture sono “del tutto inadeguate a garantire condizioni di permanenza dignitose ai migranti trattenuti”.

Dormitori, mense, servizi igienici, sale ricreative, niente di quello che c’è in un Cie rispetta gli standard minimi di qualità, o come affermano gli autori del rapporto, “apparivano in uno stato di manutenzione inadeguato e in condizioni di pulizia spesso insufficienti”. Particolarmente grave la situazione dei settori maschili di Roma e Bologna, dove “i blocchi alloggiativi si presentavano in condizioni del tutto fatiscenti e, nel caso di Bologna, erano addirittura assenti i requisiti minimi di vivibilità”.

Per ragioni di ordine pubblico, a causa del clima di tensione, tutti i Cie sono sottoutilizzati. Sebbene secondo i dati forniti dagli enti gestori la capienza massima degli 11 centri monitorati raggiunga i 1.775 posti, la ricettività reale al momento delle visite era di solo 1.418 posti con un numero di 924 migranti effettivamente presenti. Nell’indagine viene riportata la motivazione addotta dal funzionario di una questura: i centri non sarebbero riempiti al massimo “per evitare che la polveriera dei Cie esploda”. Tra proteste, rivolte e tentativi di fughe di massa, nel corso delle visite – in particolare a Trapani, Gradisca d’Isonzo e Bologna – è emerso in modo evidente non solo il malessere dei migranti trattenuti, ma anche il profondo disagio di molti operatori, e spesso anche di agenti di polizia, nel fare fronte a dei contesti per molti versi “ingestibili”.

Nessuna trasparenza sui costi… e mancano i servizi

Secondo il dato riportato da Redattore Sociale (fonte ministero dell’Interno), nel 2011 la spesa complessiva per la sola gestione dei servizi in tutti i centri di identificazione ed espulsione italiani è stata di 18,6 milioni di euro. Ma nessuno conosce il costo reale delle strutture, perché vanno sommate le spese per il costo degli agenti e dei militari che operano nei Cie e quelle per la manutenzione ordinaria e straordinaria dopo le rivolte. Una stima della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa parla di 55 milioni di euro annui, ma non considera le cifre per il personale di pubblica sicurezza impiegato nei centri.
Anche il team di Medici per i Diritti Umani denuncia l’opacità su questo aspetto della detenzione amministrativa che non permette di calcolare il rapporto fra i costi e l’efficienza del sistema delle espulsioni dei migranti irregolari. I dati riportati nella ricerca “Arcipelago Cie” sono frammentari. I lavori di ristrutturazione del solo Cie di Gradisca d’Isonzo sono costati nel 2011 quasi un milione di euro. Le Misericordie d’Italia hanno vinto l’appalto per il centro di Crotone con l’offerta in assoluto più bassa: 21,42 euro. A questo proposito la maggior parte degli enti gestori intervistati ritiene impossibile assicurare i servizi minimi con le nuove riduzioni di budget. “In queste condizioni rimane solo la gabbia” è stato il commento di un direttore di Cie. In effetti, nei Cie di Modena, Bologna, Crotone e Trapani – dove le nuove convenzioni sono già operative – è stato riscontrato “un livello di servizi assolutamente non sufficiente” e, nel caso di Bologna e Trapani, addirittura “una grave carenza nella fornitura di beni di prima necessità”.

A Modena, Bologna e Trapani, gestiti dal consorzio Oasi con meno di 30 euro, si sono più volte verificati ritardi nei pagamenti delle mensilità agli stessi dipendenti. “Sembra così che i drastici tagli nei bilanci, insieme al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, siano tra i principali fattori che hanno contribuito ad accrescere la tensione nei centri e a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei trattenuti nel corso dell’ultimo anno” afferma il Medu.

Gli standard di erogazione di tali servizi sono apparsi non omogenei tra i vari centri e nel complesso insoddisfacenti. “In alcuni centri non sembrano essere assicurati neppure alcuni elementari servizi alla persona né la fornitura di beni essenziali – si legge nel rapporto – Manca o è del tutto inadeguato il servizio di barberia nei centri di Trapani, Lamezia Terme e Torino. Sconcertante a questo proposito la soluzione escogitata al Cie di Lamezia Terme, dove in assenza di un servizio barberia, l’ente gestore obbligava i trattenuti a radersi in una cabina a forma di gabbia, costruita all’uopo per prevenire eventuali atti di autolesionismo”.

Nel Cie di Bologna è stata rilevata una grave carenza nella fornitura di vestiario, lenzuola, coperte e prodotti per l’igiene personale; a Trapani è apparso del tutto insufficiente il servizio di lavanderia e il ricambio della biancheria. Sebbene la maggior parte dei centri collabori con organizzazioni del territorio ed enti di tutela, i Cie di Gradisca d’Isonzo, Lamezia Terme e Crotone permangono impermeabili all’esterno in una condizione di isolamento dal territorio che le ospita. Positiva nei Cie del centro nord è la presenza dei Garanti dei detenuti che visitano con una certa regolarità i centri di Bologna, Modena e Roma.

Il regolamento interno, un documento essenziale per conoscere diritti e doveri dei trattenuti non viene consegnato ai migranti nei centri di Modena, Roma, Crotone, Trapani e Caltanissetta. Nel centro di Ponte Galeria un volantino informativo viene affisso nei locali dei servizi dell’ente gestore: una soluzione che non pare favorire in alcun modo la fruibilità da parte dei trattenuti. A Lamezia Terme il documento informativo mostrato dall’ente gestore risultava non aggiornato e contenente informazioni erronee su aspetti importanti come il tempo massimo di trattenimento. A Caltanisetta, i responsabili dell’ente gestore hanno dichiarato addirittura di non essere al corrente di dover disporre di documenti di questo tipo da consegnare ai trattenuti.

Il sistema dei Cie si dimostra fallimentare nel contrasto dell’immigrazione irregolare, ma comporta un “alto costo umano” e un costo economico spropositato rispetto ai modesti risultati conseguiti. “A quindici anni dalla loro istituzione, i Cie si confermano dunque strutture congenitamente incapaci di garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona – conclude il Medu. Di fatto la funzione degli entri gestori sembra limitarsi a quella di ruote più o meno efficienti all’interno di un iniquo ingranaggio – quello dei centri di identificazione ed espulsione – del quale non sono in grado di modificare, se non in modo alquanto marginale, le criticità di fondo”.

In realtà, secondo “Arcipelago Cie” il trattenimento nei Cie non risponde agli scopi dichiarati – ossia l’identificazione e l’effettiva espulsione dei migranti in condizione d’irregolarità – ma piuttosto “alla necessità della punizione” e “alla segregazione di individui considerati socialmente indesiderabili”. Sarebbero dunque “uno strumento di contenimento sociale” come lo erano i manicomi. Un sistema che serve non tanto ad identificare ed espellere quanto piuttosto a sorvegliare e punire. Medici per i Diritti Umani ritiene che il sistema “non sia riformabile” e chiede dunque: la chiusura di tutti i centri di identificazione ed espulsione attualmente operativi in Italia, in ragione della loro palese inadeguatezza strutturale e funzionale; la riduzione a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, del trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio.

Violato diritto alla salute e dilaga l’uso di psicofarmaci

Nei Cie viene violato il diritto alla salute delle persone recluse. È una delle evidenze più gravi riscontrate da un team di Medici per i Diritti Umani che nel 2012 e nel 2013 hanno ispezionato tutti i centri di identificazione e di espulsione in funzione in Italia.

Questo accade a causa della chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione al mondo esterno e del prolungamento della detenzione a un anno e mezzo in strutture inizialmente costruite per un trattenimento di soli 30 giorni. In tutti i centri il personale sanitario è contrattato e gestito direttamente dagli enti gestori. “Accade così che i Cie si trovino in un’anomala condizione di extraterritorialità sanitaria del tutto svincolata dalle aziende sanitarie locali e quindi dal servizio sanitario pubblico, al cui personale è perfino interdetto l’accesso”, denuncia l’Ong nel primo rapporto indipendente sul tema, dal titolo “Arcipelago Cie”.

Innanzitutto non c’è un controllo sul livello dei servizi sanitari che possono essere erogati solo dalle cooperative che gestiscono i centri e che quindi dipende “eccessivamente dalla discrezionalità e dall’efficienza dei singoli enti gestori”. I problemi riscontrati in tutti i Cie sono: difficoltà di accesso alle cure e alle prestazioni diagnostiche presso le strutture ospedaliere; impossibilità di accesso ai centri del personale delle Asl; carente comunicazione tra i singoli Ciee tra i Cie e le carceri nei casi di trasferimento di trattenuti malati; carenza di personale medico specialistico (ad esempio psichiatrico e ginecologico) che sarebbe particolarmente necessario dato il contesto dei centri, reciproca sfiducia tra i trattenuti ed il personale sanitario con conseguente compromissione del rapporto medico-paziente; notevole discrezionalità tra i veri centri nella valutazione dell’idoneità sanitaria al trattenimento.

Quando un migrante soffre di una patologia grave, le cure arrivano in ritardo a causa di “un ostacolo logistico rilevante e oggettivo”, cioè della necessità di organizzare una scorta di forze di polizia ogni volta che un trattenuto deve essere trasferito presso una struttura sanitaria esterna al Cie. Spesso queste scorte non sono disponibili per carenza di personale fra gli agenti.Un altro aspetto molto grave che secondo Medu compromette il diritto alla salute “è il venir meno del rapporto di fiducia tra medico e paziente”. Se da un lato i pazienti lamentano scarsa attenzione nei confronti dei loro problemi di salute da parte del personale sanitario, dall’altro i medici nutrono il sospetto di trovarsi di fronte a sintomi simulati da “finti pazienti” il cui unico scopo sarebbe il trasferimento presso strutture esterne al Cie da dove poi tentare la fuga.

Questa dinamica provoca ritardi nella diagnosi tempestiva di malattie potenzialmente gravi. L’indagine riporta “casi sconcertanti” di migranti che continuavano a rimanere trattenuti nonostante le loro condizioni cliniche fossero chiaramente incompatibili con la permanenza nel Cie.
Nei Cie si riscontra un profondo disagio psichico, che può diventare devastante soprattutto nel caso di trattenimenti prolungati, e l’autolesionismo come gesto estremo di protesta contro un trattenimento ritenuto ingiusto oppure attuato nella speranza di uscire in qualche modo dal Cie. In tutti i centri è stato verificato un diffuso utilizzo di psicofarmaci, in particolare ansiolitici, che si attesterebbe nella maggior parte dei casi intorno al 40-50 per cento del totale dei trattenuti, con la punta massima presso il Cie di Milano (90 per cento) e il livello più basso a Caltanissetta (10 per cento). Secondo quanto riferito dai sanitari gli ex-detenuti che già facevano abuso di psicofarmaci prima dell’ingresso nei Cie, sono la categoria che fa maggior richiesta, oltre che delle più comuni benzodiazepine, di farmaci come il clonazepam e il biperidene.

Sostanze, conosciute comunemente come “droghe di strada”. “In caso di abuso – scrivono i Medu – entrambi i farmaci possono tra l’altro indurre un effetto che provoca ansietà, euforia, stati di eccitazione e disturbi del comportamento”. Oltre a coloro che già facevano abuso di psicofarmaci in precedenza vi è poi un gruppo di trattenuti che fa richiesta di ansiolitici per placare il profondo malessere provocato dall’internamento nel Cie.

“Nel complesso destano preoccupazione le modalità di gestione degli psicofarmaci all’interno dei centri – afferma il rapporto – in considerazione sia dell’alto numero e della complessità dei casi sia del fatto che nessun ente gestore dispone di personale medico specialistico”. A fronte di un quadro di questo tipo, destano grandi perplessità le affermazioni degli operatori di alcuni enti gestori. A Milano, ad esempio, il personale sanitario intervistato ha asserito che in tredici anni non è mai stata verificata all’interno del centro, la presenza di vittime di violenza, tortura o tratta.
Le cause del disagio psichico sono l’inattività forzosa per prolungati periodo di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all’incertezza sulla durata e l’esito del trattenimento.

Per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, le disposizioni di molte Prefetture tendono ad inasprire le norme che regolano la vita all’interno dei Cie “contribuendo a rendere ancor più afflittive e degradanti le condizioni di trattenimento dei migranti”. A Ponte Galeria, ad esempio, ai trattenuti non è consentito disporre di pettini, penne, libri o giornali. Nello stesso centro a novembre 2011 scoppiò una protesta poiché i trattenuti erano stati obbligati da una direttiva, poi ritirata, ad indossare esclusivamente ciabatte per evitare il pericolo di fughe. Nei centri di Gradisca d’Isonzo e Milano non è consentito invece il possesso di telefoni cellulari.

Anche la possibilità di colloquio con persone provenienti dall’esterno non risulta essere garantita in modo adeguato ed è eccessivamente affidata, nei modi e nei tempi, a criteri discrezionali delle singole Prefetture. In un quadro così desolante, c’è il caso delle donne cinesi trattenute al Cie di Ponte Galeria che rispondono al vuoto di attività del centro producendo borse con i pochi materiali che hanno a disposizione: lenzuola monouso, forchette di plastica e indumenti intimi.

Un altro problema è la promiscuità. Gli ex detenuti rappresentano circa il 50 per cento del totale dei migranti trattenuti nell’intero sistema dei Cie italiani, con picchi del 90 per cento a Milano e Lamezia Terme. L’orientamento di molte Questure sembra essere proprio quello di dare priorità alle richieste di trattenimento per i soggetti provenienti dal carcere o comunque con precedenti penali. Oltre ad un cospicuo numero di migranti provenienti dal carcere, l’indagine ha rilevato la presenza delle seguenti tipologie di persone: migranti appena giunti in Italia; richiedenti asilo; cittadini comunitari; stranieri presenti da molti anni in Italia, spesso con famiglia, ma senza un contratto di lavoro regolare; immigrati con il permesso di soggiorno scaduto.

Per quanto riguarda le principali nazionalità – dagli ultimi dati nazionali disponibili, relativi all’anno 2011 – risultava preponderante la presenza di migranti tunisini, per la quasi totalità uomini, che rappresentavano il 49 per cento del totale dei trattenuti.

Tra gli uomini le altre nazionalità più frequentemente dichiarate erano nell’ordine la marocchina, la rumena e l’albanese. Per quanto concerne i paesi di provenienza delle donne, figurava al primo posto la Nigeria seguita dalla Cina, dall’Ucraina e dalla Romania. Un dato che sconcerta è la presenza di un elevato numero di cittadini dell’Unione europea all’interno dei Cie. Nel 2011, infatti, sono transitati ben 494 migranti di origine rumena, terza nazionalità in assoluto per numero di presenze. Nel solo Cie di Ponte Galeria a Roma sono stati trattenuti nel triennio 2010-2012 oltre mille rumeni.

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=10829&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=immigrazione-rapporto-di-medici-per-diritti-umani-i-cie-sono-una-polveriera-ingestibile

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