Perchè la mia amica Emma stupirà il mondo
di Stella Pende, da “Panorama” – 3 maggio 2013
Parlerà alla pari con Angela Merkel. E avrà il carisma per trattare perfino con i talebani. Il nuovo ministro degli Esteri raccontato da una giornalista che la conosce bene. A partire da quando, a Kabul, furono rapite insieme…
Esattamente una settimana fa scrivevo: non ci lasciate orfani di Emma Bonino! Non era un appello per rendere giustizia a lei, che come nessuno in questo Paese meritava la presidenza della Repubblica. Ma per far giustizia a quegli italiani (e quelle italiane, perbacco!) che da decenni l’avrebbero voluta su quella poltrona per aiutare questa nostra Italia a riguadagnarsi onore e dignità. Invece anche questa volta Emma Bonino pareva tagliata fuori dall`ultimo «valzer della Casta». Tanto che si era appena comprata un biglietto per una vacanza. Ma mentre il 26 aprile 2013 procedeva con la sua macchinuccia nel centro di Roma, ecco arrivare una strana telefonata: «Complimenti, sei il nuovo ministro degli Esteri» le annunciava Enrico Letta. «Per poco non faccio secchi una fila di coreani» racconta. Misteri del palazzo? La verità è che Giorgio Napolitano, intervistato qualche lustro fa, mi aveva detto: «Si ricordi che correranno solo le donne col cuore direttamente proporzionale al cervello».
Il presidente aveva capito che anche in questo giro di governo una come Bonino non poteva mancare. E aveva deciso che Emma, una vita impegnata a guardare i soli e i disperati, sarebbe stata molto più simpatica a Papa Francesco che l’algido Massimo D’Alema o il flemmatico Mario Monti. Napolitano aveva anche capito che poteva infischiarsene delle battute sulla pensionabilità della suddetta, sbandierate degli arricciolati ayatollah della riviera ligure. Perché la Bonino, nella sua fedeltà agli ideali di laicità (un po’ gitana, com’è proprio dei radicali), è e resterà un vero Peter Pan della politica.
Nuova perché pronta come una ragazza a sposare la missione impossibile per poi spesso riuscire a vincerla (dalla risoluzione approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite sulle mutilazioni genitali femminili alla moratoria sulla pena di morte che ha coinvolto finora 110 paesi, ai mille progetti sociali ed economici che silenziosamente è riuscita a portare a casa). Ma Emma è diversa perché ha dimostrato, prima come commissario europeo e poi come deputato e senatore, che una politica linda e al di sopra delle parti in questo Paese è possibile. E infine Giorgio Napolitano ha voluto (e dovuto?) ufficializzare un ruolo che per troppi anni Emma si era portato per il mondo come un’aura: quello di un ministro degli Esteri italiano ideale e parallelo a chiunque altro coprisse al momento la carica effettiva. «Saluti devoti al vostro ministro degli Esteri» mi aveva detto una volta a Beirut Rafiq al-Hariri, il Paperon de’ Paperoni che è leader dei libanesi. Solo quando aveva aggiunto che si trattava «d’une femme vraiment speciale» avevo capito che non stava parlando di Franco Frattini. Emma è la donna giusta per far accogliere l’Italia nel mondo. Potrà parlare d’investimenti e di economia in inglese con Barack Obama e col suo buon tedesco terrà testa ad Angela Merkel. Del resto, pare che il cancelliere abbia detto di lei: «Finalmente un politico italiano che non ti costringe a fare il mimo». E non dovrà cominciare daccapo il suo lavoro, come ogni nuovo ministro è obbligato a fare quando sbarca alla Farnesina. Le basterà raccogliere i pezzi (progetti, rapporti, accordi, incontri, conoscenze) che ha seminato in un lungo passato. Sarà anche il ponte ideale tra l’Italia e il mondo arabo. E, facendo risparmiare il protocollo di Stato, non avrà bisogno d’interpreti nemmeno quando incontrerà i leader dei paesi arabi, oggi così tormentati dalla transizione incendiaria che ha seguito le primavere. Perché l’arabo e gli arabi Emma li conosce bene: ha passato due anni al Cairo per imparare la lingua. Si era decisa a farlo perché, aveva spiegato, «gli arabi rischiano dì dominare nel bene e nel male il futuro prossimo del mondo e io voglio capirli senza traduttori». Emma sarà buona per gli arabi nababbi come l`emiro del Qatar, suo ottimo amico (pochi sanno che un importante accordo tra l`Italia e quel paese è stato firmato proprio per suo merito), ma sarà ottima, credetemi, anche per addomesticare i fondamentalisti più irriducibili, come i talebani. Quando qualche tempo fa ci sequestrarono insieme a Kabul perché la grande Christiane Amanpour della Cnn aveva ripreso in un ospedale fanciulle in sottoveste, fummo prelevati a suon di kalashnikov con un gruppetto di celebri giornalisti americani, dove l`unica sconosciuta ero io, e poi legati su un tappeto a friggere sotto il sole. A quel punto riceviamo un messaggio che recita così: «Cara Bonino, lei ammetterà la sua colpevolezza e sarete liberi, altrimenti…». Risposta? La commissaria scaraventò il velo dell’Unione Europea nella sabbia e urlò furente: «lo rappresento l’Europa e mai si dirà che l’Europa è colpevole per dare ragione a questi cercopitechi». Risultato: dopo poche ore eravamo liberi, con tanto di Pepsi Cola ghiacciata e scuse. Come commissario europeo, Bonino elargiva grandi aiuti a villaggi e ospedali afghani, e contro di lei era impossibile qualunque reazione violenta. Stesso copione, o quasi, sui permessi per entrare nelle «prigioni della morte» in Illinois. Lunghe trattative e rifiuti continui: né giornalisti né altri nelle carceri dei «dead man walking». Beh, il 4 febbraio 2000 Emma e le sue «assistenti» entravano sotto il tunnel di filo spinato della Cook county jail, la prigione di sicurezza più inespugnabile di Chicago. Emma Bonino era una delle poche politiche forestiere a vantare la considerazione di repubblicani e di democratici insieme. Ricordo quando si commosse come una madre qualunque davanti a un giovane uomo nero che si trascinava dietro la sua palla di ferro come nel Medioevo. «Ricordati che l’uomo del delitto non è quasi mai quello della pena» mi aveva detto. In quel caso Emma avrebbe perso: il giovane con la catena fu ammazzato qualche mese dopo. Ma non si è mai arresa. Per lei e per i suoi compagni di Nessuno tocchi Cainola pena dì morte continua a essere l’equivalente di uno stupro delle leggi umane. Oggi covo la speranza che come ministro degli Esteri la sua determinazione e la sua conoscenza della materia convinceranno molti fra i 43 paesi che uccidono in nome dello stato. Mentre scrivo, penso a quanti e quante come me investono desideri, sogni e speranze mettendoli nelle mani di questa piccola grande donna che Aung San Suu Kyi una volta ha chiamato «sorella». Curare la tragedia del Medio Oriente, arginare la voracità commerciale della Cina, monitorare con i grandi del mondo il fondamentalismo islamico che corre nelle vene dell`Africa, ma anche in quelle della Siria e dell’Iraq. Lei ha già capito. Ha già risposto: «Lo so, sarà un lavoro immenso. Ma io non ho paura».
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