Il “vorrei” e il “partito antiproibizionista che non c’è”. Lettera aperta a Roberto Saviano
di Valter Vecellio, da “Notizie Radicali”, 29-04-2013
Caro Roberto Saviano,
si eviterà il salamelecco, di solito usato, del “siamo sempre d’accordo con… ma questa volta no”. E’ un po’ ipocrita. Se di una persona non c’importa nulla, con quella persona non si perde tempo, non compare nei nostri orizzonti, la si lascia starnazzare a suo piacere, lodarsi e imbrodarsi, dire le scempiaggini che vuole, non ci si cura di lui, si guarda e passa. Al contrario, se si replica, se si presta attenzione, se anche con durezza si tenta un approccio e un dialogo, lo si fa con le persone a cui si dà valore, il cui giudizio e opinione si tengono in grande considerazione. E quando dicono (o fanno) qualcosa che sembra errato, ecco che la cosa duole; e allora, appunto, si cerca di riparare.
Appartengono al primo caso i molti che vengono lasciati dire (e fare) senza muover muscolo, lasciano indifferenti. Della seconda categoria appartieni tu, caro Saviano, che con attenzione seguiamo e apprezziamo fin dai tempi di “Gomorra”.
Caro Saviano, nella tua rubrica “L’antitaliano” su “L’Espresso”, questa volta hai scritto un articolo che lascia decisamente perplesso. Prendiamo il titolo della sua ultima rubrica: “Voterei un partito antiproibizionista”. I titoli, si sa, per l’esigenza di colpire e attirare, spesso forzano se proprio non travisano. Ma quel condizionale, “Voterei…”. Colpiti e attirati, è la prima cosa che abbiamo letto dell’ “Espresso”. E cominciamo col sommario: “La disfatta del PD lascia aperta una prateria, dove le categorie di Destra e Sinistra vanno messe da parte. A favore di un’unione di istanze trasversali e tradizioni umanitarie con l’obiettivo di garantire i diritti di tutti i cittadini”. Ci si può stare. Andiamo avanti, passiamo al testo…
Caro Saviano, scrivi: “Io vorrei poter votare per un partito che facesse dell’antiproibizionismo un metodo politico e non un fine da rimandare in eterno sotto le spinte di forze che conservino solo lo status quo. Vorrei che ad essere legalizzati non fossero solamente la vendita di stupefacenti. Vorrei che l’immigrazione potesse trovare una cornice legislativa più dignitosa e che non fosse più consentito il mantenimento di quei luoghi di detenzione, i CIE, che ricordano più la vergogna di Guantanamo che una logica di accoglienza realmente solidaristica. Io vorrei che lo Stato si facesse da parte e consentisse alle persone di decidere in che modo unire la propria vita a quella di un partner. Vorrei che l’amore delle persone potesse vivere nel pieno dei diritti anche al di fuori del matrimonio. Vorrei che l’amore delle persone non fosse legittimato solo dal tipo di preferenze sessuale. Io vorrei poter votare un partito libero dalle gravi ipoteche e condizionamenti sindacali che, a fronte di un aumento vertiginoso della disoccupazione concepisce solo i titolari di diritti e privilegi in un’ottica di conservazione insostenibile per le schiere sempre più folte dei non garantiti. Sarebbe bello poter pensare a un partito limpido, e fiero che non stabilisca un rapporto di scontro infruttuoso tra le sue parti. Vorrei un partito attento all’informazione non perché impegnato ad occupare i vertici della televisione pubblica, ma perché intento a liberarla da ogni indebita intrusione. Vorrei che questo partito che non c’è, tenesse conto dell’ultima flebile memoria di quelle che sono state le grandi tradizioni umanitarie comprendendo che l’attenzione per gli ultimi è un tentativo necessario per consentire una parità di possibilità. Che abbia a cuore le condizioni delle carceri italiane e che si faccia garante del reinserimento di chi sbaglia nel tessuto sociale…Ecco, vorrei poter votare per un partito che fosse espressione di tante anime, di tante istanze, efosse in grado di tenerle tutte insieme, perché tutte prioritarie. Inutile non vedere. Inutile ignorare a vantaggio di accordi di facciata. Per mantenere una stabilità effimera che cade rovinosamente alla ennesima prova. Questo ci ha insegnato la storia recentissima. Nascondere la testa sotto la sabbia serve solo a morire asfissiati”.
Caro Saviano, descrivi esattamente, nella tua lunga sequenza di “vorrei”, quello che sono, quello che fanno, quello che cercano di fare i radicali. E dal momento che non è assolutamente credibile che tu non sappia che ci sono i radicali, ignori quello che fanno e cercano di fare, resta da chiederti da dove deriva quel tuo “Vorrei questo partito che non c’è”.
Caro Saviano, certo, il partito non c’è se lo si nega, se lo si occulta, se si partecipa alla sua cancellazione. Che lo faccia tu non è solo una delusione. E’ assai di più. E’ il classico colpo, l’ultimo, che viene inferto alle spalle, da dove e da chi non ti aspetteresti mai, da chi, anzi, vorresti un aiuto e un sostegno…
Dal momento che si sta parlando di e a te, una riflessione la merita anche la tua partecipazione a “Servizio pubblico”, la trasmissione di Michele Santoro. Hai parlato di un film del 2012 sul referendum del 1988, in Cile, intitolato “No-I giorni dell’arcobaleno”. In ballo allora c’era l’uscita per via democratica della feroce dittatura di Augusto Pinochet.
La novità di quella campagna elettorale varata in extremis contro il regime, nel referendum voluto dalla comunità internazionale non tanto per rovesciare quanto per conferire una sorta di legittimazione al regime di Pinochet, non fu tanto che le opposizioni si mobilitarono per il NO (e che altro avrebbero dovuto fare?), quanto il “come”. Gran parte dell’opposizione fecero un ragionamento di prospettiva, ma ci arrivarono letteralmente tirati per i capelli: lavorare sul futuro, sull’ipotesi di “allegria” per un popolo stramazzato, sulla possibilità di recuperare alla democrazia anche chi considerava normale e “accettabile” Pinochet.
Hai insistito molto su questo, ed è evidente che si parlavi a nuora perché suocera intenda: il parlare agli “altri”, a chi non la pensa come noi, prefigurare un domani diverso, con fantasia e “allegria”. Qualcosa di straordinario, hai sottolineato, per un’opposizione che dal regime ha dovuto patire di tutto, che non chiede di dimenticare quello che è stato, ma di non perdere di vista che esiste un domani, e per quel domani occorre e si deve lavorare, e che quello è il solo modo per affrancarsi.
Caro Saviano, bella, la metafora usata: il Cile di Pinochet, la dittatura, il referendum del 1988… E per chi sa vedere, impossibile non cogliere il riferimento all’oggi; e non a terre della “fine del mondo”, ma al nostro paese. Ma anche qui: la fantasia e l’”allegria” per affrontare questioni cruciali come cruciale fu per il Cile il referendum del 1988, bisogna prenderla così alla lontana? Prendiamoci noi, colpa e responsabilità: di non aver sufficientemente diffuso e veicolato i dossier di Gianni Betto e del Centro Radicale d’ascolto; per non aver sufficientemente diffuso e veicolato i nostri libri ed opuscoli, dove si racconta come Marco Pannella, Emma Bonino, i radicali, cento ne facciano e mille ne pensino, di cose fantasiose e “allegre”.
Però caro Saviano una radiolina e un computer ce l’avrai senz’altro. Non ti manca certo la possibilità di colmare queste nostre lacune e mancanze. Basta sintonizzarti su una frequenza, “navigare” su internet, alla fine, senza grandi sforzi, ci trovi… Dunque, torniamo alla domanda iniziale: come si spiega quel condizionale, quel “vorrei”, e quel negare l’esistenza di un partito che invece c’è, ed è anzi il più antico sulla scena politica?
Caro Saviano se volessi dare una spiegazione…
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