Emma for president? Non succede ma se succede..
di Lorenzo Mineo, da www.inveritatidico.it, 11-04-2013
Non è perché sono radicale, o perlomeno mi rivedo in molte delle posizioni e delle battaglie storiche portate avanti dai radicali. Non è neanche perché è donna, dettaglio non di certo trascurabile ma neppure prioritario. E’ una valutazione che va aldilà di ogni vicinanza politica o distinzione di genere, cercando ragionevolmente di individuare un Capo dello Stato che rappresenti davvero la tanto agognata soluzione condivisa, una personalità che goda di ampia rappresentatività tra le forze politiche e innanzitutto tra i cittadini: per questo credo che Emma Bonino sia il miglior Presidente della Repubblica che questo paese possa augurarsi, un nome sul quale queste caratteristiche convergono più che su ogni altro.
Alla Bonino non mancano i requisiti essenziali di esperienza politica e istituzionale che sarebbero degni di un autorevole Presidente della Repubblica, una conditio sine qua non, sempre che non si preferisca il mito grillino dell’uomo qualunque a capo dello Stato: don Mario, la signora Francesca o pincopallino che sia. Ha alle spalle un lungo percorso parlamentare ed europarlamentare, è stata segretaria del Partito Radicale, commissaria europea, ministro per il Commercio internazionale e per le Politiche Europee, vicepresidente del Senato nella scorsa legislatura. Fondatrice dell’organizzazione non governativa “Non c’è pace senza giustizia”, ha raggiunto, sempre in prima fila, obiettivi cruciali per l’affermazione dei diritti umani nel mondo: dalle battaglie per il sostegno europeo all’assistenza per i feriti di guerra in Jugoslavia e Ruanda, alla recente risoluzione ONU di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili, di cui è stata strenua promotrice.
Non è un caso che Emma Bonino sia al primo posto in tutti i sondaggi che indicano la preferenza degli italiani sul prossimo Capo dello Stato: una donna che ha saputo far valere le proprie ragioni laddove ne ha avuto occasione saprebbe garantire il rispetto di una costituzione fin troppo spesso soprasseduta e tradita, saprebbe ridare dignità a uno stato di diritto troppo spesso calpestato. Da radicale denuncia da decenni l’anomalia di un paese dove a infrangere le regole è in primis chi le stabilisce: le istituzioni stesse. Un paese dove le infrastrutture giudiziarie sono al totale collasso, in violazione di diritti umani per le condizioni degradanti delle carceri e per l’irragionevole durata dei processi. Su questo, un Presidente della Repubblica come la Bonino, da garante dello Stato di Diritto, metterebbe finalmente bocca. E senz’altro sottoporrebbe all’attenzione parlamentare il rispetto di quegli esiti referendari, vincolanti per costituzione, sistematicamente traditi: dall’abolizione del finanziamento pubblico al passaggio ad una legge elettorale uninominale, passando per la responsabilità civile dei magistrati.
La leader radicale, peraltro, nella sua storia parlamentare è stata eletta sia nelle file del centrodestra che del centrosinistra: un precedente che lascia ben sperare per un accordo sul suo nome tra le due forze politiche,considerando che potrebbe godere di qualche simpatia anche tra i parlamentari del Movimento 5 Stelle, per l’integerrima onestà della persona e il suo passato politico in cui ha rappresentato l’anticasta ben prima dei grillini. Ma, ecco il risvolto della medaglia, proprio le sue trascorse alleanze elettorali la rendono invisa, aldilà dei tanti consensi bipartisan, ai più nostalgici e ideologici di destra e sinistra. Da destra c’è chi ancora l’addita come una pericolosa detrattrice dei valori tradizionali, che giammai potrebbe rappresentare gli italiani tutti perché abortista, anticattolica e troppo “de sinistra”: questo è, per esempio, il ritratto paradossale che Susanna Magli traccia in un articolo su Libero a proposito della candidatura al Colle della Bonino. A sinistra, invece, c’è chi non le ha mai perdonato il peccato originale dell’alleanza tra i radicali e Berlusconi nel 1994, quando però, per un partito liberale, storicamente avverso alla “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, schierarsi col Silvio, che scendeva in campo per la prima volta (mica per la sesta) invocando la mai attuata “rivoluzione liberale”, era una necessità più che una vera scelta. Come spiega la stessa Bonino in un’intervista del 2011 “Da un certo punto di vista Berlusconi ha appoggiato noi. Scendendo in politica riconobbe a noi radicali una capacità e una storia istituzionale che lui non aveva: ci propose sette collegi. Che noi accettammo. Devo dire che l’intesa si ruppe subito, nel ’96”. Il sodalizio finì infatti nel 1996, e non nel 2006, come scrive Marco Travaglio confondendosi di 10 anni in un articolo sul Fatto Quotidiano della scorsa settimana , colmo di imprecisioni come nel suo stile consueto, cui è seguita l’opportuna risposta del segretario radicale Mario Staderini sul suo blog.
C’è poi, come non citarla, un’altra grande forza politica che non vedrebbe certamente di buon occhio la Bonino Presidente: il Vaticano. Col suo passato da “abortista di massa”, la sua storia da radicale e anticlericale, le sue battaglie per la libertà di scelta sul fine vita, è facile supporre che la Chiesa di Roma, mai stata esente da influenze parlamentari (che questa sia la volta buona con Papa Francesco?), possa metterci uno zampino per evitare il successo della Bonino, visto come un oltraggio a tutti i cittadini italiani cattolici. Ma io credo invece che eleggerla Presidente, lei che della laicità ha sempre fatto una bandiera, potrebbe offendere bigotti o clericali, non di certo i tantissimi cattolici il cui voto ha dato in passato un apporto decisivo alla vittoria di battaglie referendarie radicali su diritti civili quali divorzio o aborto.
In ultima ma non ultima istanza c’è da comprendere se sia o meno questione politica in sé l’elezione di una donna a capo dello Stato. Ho sempre trovato stucchevoli e persino un po’ razziste le battaglie di genere: messa così direi che non mi interessa che il prossimo Presidente sia uomo, donna, transessuale, gay, etero, bianco, nero o pellerossa. Mi basta che sia la persona giusta.
Ma d’altra parte è inutile negare che esiste pure una questione femminile in questo Paese, dove il tasso di occupazione delle donne è pari al 49.9%, tra i più bassi d’Europa, a fronte del 63.1% francese e del del 71.1% tedesco. Questo soprattutto perché, citando proprio la Bonino, “malata è la politica italiana, che preferisce investire poco nel welfare perché la stragrande maggioranza dell’attività di welfare – l’assistenza ai bambini, agli anziani malati – viene delegata, ipocritamente si dice, alla famiglia; più correttamente viene scaricata sulla donna”. Neppure i dati che descrivono il rapporto tra donne e potere sono molto lusinghieri: storicamente ci sono state pochissime segretarie di partito donne, un paio di direttrici di quotidiani, appena due rettrici, direttrici di banca neanche mezza. Per questo, se in politica i simboli contano ancora qualcosa, quantomeno perché permettono identificazioni, credo sarebbe un buon messaggio passare dall’era delle barzellette sul bunga bunga a quella della prima Presidentessa della Repubblica.
E invece, in una realtà dove le donne sono troppo spesso ghettizzate, ho paura, ahinoi, che abbia ragione il detto dell’associazione Pari o dispare: “per una donna è più facile diventare cardinale che salire al Quirinale”. Perciò sarebbe bene non farsi troppe illusioni sulle possibilità che ha Emma di salire al Colle. Ma com’è che si dice scaramanticamente in questi casi? “Non succede, ma se succede”…
Se succede, sarà un piccolo grande miracolo. Emma for President!
P.S.
Allego qui questo intervento parlamentare di Emma, che risale allo scorso giugno, in occasione del voto sull’arresto preventivo di Luigi Lusi. Così, giusto per ricordarci di che pasta è fatta questa persona.
http://www.youtube.com/watch?v=wNlJJsBHBGo
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