De Magistris voleva “scassare” ma è Napoli che va in pezzi
di Titti Marrone, da www.huffingtonpost.it, 04-03-2013
In un caos indescrivibile, abitanti e passanti della Riviera di Chiaia, che non è periferia ma sarebbe il salotto buono di Napoli, continuano ad esercitarsi a rincorrere ipotesi di fronte all’ennesima incredibile sciagura, solo per un soffio non trasformata in tragedia con vittime. Le teorie sulle cause del crollo sono destinate a rimanere tutte in piedi, perché nella città disgraziata delle dicerie che si rincorrono, è più improbabile e difficile che altrove anche arrivare a una piena, completa, inequivocabile ricostruzione dei fatti, con relativo accertamento di responsabilità. Perché il nodo è sempre quello delle responsabilità, e ciascuno, soprattutto se ricopre ruoli istituzionali, si esercita a schivarle.
E invece adesso – in un giorno di sole che vede Napoli riproporre ancora in giro per il mondo la sua faccia peggiore da “carta sporca”, stavolta non per i rifiuti ma per le macerie a terra da effetto-bombardamento – è l’ora delle responsabilità. Prima che venga giù qualche altro palazzo, prima che ci scappi il morto, prima che un centauro o un automobilista o un passante impatti in modo drammatico in una delle migliaia di buche profonde anche 20 centimetri, che trasformano il manto stradale della città in un unico percorso a rischio.
Il crollo del palazzo alla Riviera di Chiaia arriva, come un inquietante ultimatum, a dire senza mezzi termini che la città va a rotoli. Che cade a pezzi, che è sull’orlo di un precipizio. Ha il senso di un monito di assoluta urgenza e evoca un altro crollo, assai più grave, avvenuto nel gennaio del 1996, quando la stella di Bassolino sindaco ancora brillava alta in città e fuori: il crollo dell’edificio poco oltre il quadrivio di Secondigliano, nel quale morirono undici persone, tra cui una bambina di 12 anni, e che inghiottì una giovane di 26 anni mai più ritrovata. Allora, il crollo di Secondigliano sembrò mettere in guardia dalla favola bella della città rinata, fu il campanello d’allarme risuonato a nome di tutte le periferie: non fu ascoltato, e sappiamo come sia stato tragico il dopo.
Ora, a un anno e mezzo dall’elezione di De Magistris e dall’inizio di un’esperienza di governo che si riprometteva di “scassare”, si tratta di dire chiaramente che la sola cosa ad apparire “scassata” è Napoli. Altro che “città porosa” alla Benjamin, la città va in pezzi.
Secondo i filosofi napoletani Aldo Masullo e Biagio de Giovanni, la città è “immobile”, inchiodata ai suoi problemi. Ma più che immobile, la Napoli di De Magistris e la Campania del governatore Caldoro raccontate dalle inchieste del Mattino appaiono come realtà retrocesse. Con il sistema dei trasporti, una volta efficiente, in uno stato di catastrofe che rende impossibile la vita ai pendolari. Con la sanità pubblica al collasso. Con nuovi aumenti della Tarsu e delle accise regionali e comunali in vista. Con le società partecipate che hanno continuato a inghiottire fondi in consulenze e assunzioni. Con corsi di formazione da 17 milioni per soli 31 avviati al lavoro.
Ormai siamo fuori tempo massimo per continuare a sentirci ripetere il mantra secondo cui, per la città e per la Regione, tutto è colpa delle precedenti amministrazioni. E non è certo un caso se la lista di Rivoluzione Civile, appoggiata da De Magistris, sia approdata al bilancio fallimentare di 16mila voti alla Camera e 12mila al Senato: è stata una risposta eloquente dei napoletani, pure ben disposti ad accogliere, un anno fa, una prospettiva di cambiamento. Ma non disposti, evidentemente, a accontentarsi della costosissima spedizione di rifiuti all’estero come strategia risolutiva o dell’ambientalismo retorico sulla Ztl e sul Lungomare liberato. Definizione, questa, che oggi ha un suono particolarmente grottesco, poiché è su quel Lungomare, di nuovo momentaneamente intasatissimo di auto, che si affacciava il palazzo crollato.
La risposta delle urne alla scelta del sindaco distratto dalla sua proiezione sulla scena politica nazionale sta a dire come i problemi di Napoli siano tutti sul tappeto. Ancor più drammatici adesso, mentre i propositi della Lega di costituire una macroregione che gestisca il 75% delle risorse marginalizzano sempre più il Sud. Intanto, dall’area vicina al governatore Caldoro, che è anche la formazione politica più forte in Campania, il solo contributo per il futuro è la prospettiva di una nuova sanatoria edilizia. Più di ogni altra parte d’Italia, Napoli e la Campania hanno bisogno di un progetto, dell’avvio di un percorso, non di sindaci e governatori intenti a costruire carriere politiche. O finiranno per specchiarsi nelle loro stesse macerie.
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