I radicali sono fuori dal palazzo
di Cesare Maffi pubblicato su Italia Oggi, il 28/02/13
C’è un partito che si vanta di essere il più antico sulla piazza: lo capeggia Marco Pannella. In effetti, dalla fondazione del movimento radicale a oggi è passato ben più di mezzo secolo. Nella legislatura che si apre, però, non siederà né un deputato né un senatore radicale.
C’è un partito che, invece, è veramente il più antico ancora attivo: quello repubblicano.
Anch’esso non sarà presente né alla Camera né al Senato.
La condizione istituzionale delle due formazioni è dunque simile, negativamente. I radicali avevano già patito lunghe assenze dalla Camera, posto che, dalla prima volta che si presentarono (nel 1958, in liste unite proprio con il Pri) fino al 1972 non ottennero mai un seggio; anzi, spesso nemmeno concorsero. Nel ’76 entrarono con quattro deputati, conobbero alti e bassi, mutarono più volte simbolo e denominazione elettorale, rimasero fuori nel 2001 e adesso saranno di nuovo esclusi.
Stavolta, però, diversamente dal passato non hanno nemmeno un europarlamentare, mentre nel corso della precedente esclusione dalle Camere nazionali avevano una buona rappresentanza europea (addirittura sette seggi nel 1999, ridottosi a due nel 2004). Non è finita: mentre in passato avevano qua e là qualche presenza nei consigli regionali, adesso sono a zero, avendo perso i due seggi che detenevano fino a domenica nel consiglio laziale (sono rimasti sotto il mezzo punto percentuale).
Ovviamente l’assenza istituzionale peserà parecchio, perché aggraverà il già scarso rilievo dato dalla stampa ai pannelliani, i quali, sempre, si dolgono del silenzio in cui sono o sarebbero tenute le loro iniziative. È presumibile che, per tornare a far sentire la propria esistenza, i radicali dovranno contare, oltre che sui consolidati scioperi della fame e della sete di Pannella (sempre meno richiamanti l’attenzione), su iniziative referendarie.
I risultati delle ultime elezioni indicano, infatti, una perdita di seguito che si aggrava. Già in precedenti appuntamenti elettorali i radicali avevano dovuto segnare proprie assenze per insufficienza di firme autenticate, al punto di dover ricorrere a qualche marchingegno per evitare la raccolta (elezioni regionali piemontesi del 2010). Anche stavolta hanno bucato svariate circoscrizioni: alla Camera sono stati assenti in tutto il nord, Emilia esclusa.
I dati, andando a guardare le circoscrizioni nelle quali si sono presentati, sono sconfortanti, variando dallo 0,2 allo 0,4%: solo in Sicilia 1 superano lo 0,5%. Al Senato, in Lombardia, zona un tempo prospera per i radicali, hanno ottenuto meno dello 0,2%. Alle ultime comunali di Roma, per le quali Emma Bonino aveva avvertito che si sarebbe misurato il loro seguito, la lista Bonino era rimasta sotto lo 0,7%. Dunque, il seguito odierno dei vari Pannella, Bonino, Staderini & C. è valutabile alla stregua di Forza nuova e simili: i poco più di mille iscritti-attivisti-militanti dei radicali italiani non riescono a sfondare e a richiamare elettori, ma solo a sopravvivere.
I repubblicani non stanno meglio. Abissale è stata la loro incapacità di presentare liste, posto che ci sono riusciti solo in Emilia e in Sicilia. Andiamo allora a vedere in Romagna, loro roccaforte dal 1946 in poi. Lo 0,2% preso nell’intera regione si muta soltanto nello 0,8% nel Ravennate e nel Forlivese. Sconfortante. In Sicilia, poi, i voti repubblicani per il Senato sono rimasti inchiodati allo 0,1%.
Come si vede, siamo all’inconsistenza o addirittura alla casualità del voto ottenuto. Per darsi una sistematina sul piano interno, il Pri ha annunciato un congresso straordinario. Ha problemi gravi, perché pare che intere regioni non siano in regola col tesseramento. Dovrà poi cancellare dai propri dirigenti coloro che si sono candidati in altre liste. Fra questi, c’è Oscar Giannino, che tempo addietro era stato vanamente sollecitato ad assumere la segreteria del fragilissimo partito. Come per i radicali, il seguito elettorale è inversamente proporzionale agli anni di storia.
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