Quella sfuriata di Pertini a Napolitano. Che non resterà prigioniero del Colle
di Guido Moltedo pubblicato su Europa, il 22/02/13
Quand’era capogruppo del Pci alla camera, Giorgio Napolitano aveva un rapporto cordiale con Sandro Pertini, allora presidente della repubblica. Il suo omologo al senato era Gerardo Chiaromonte, anch’egli napoletano, classe 1924, un anno più dell’attuale capo dello stato. Amici e compagni con la stessa visione politica (guai allora parlare di correnti nel Pci). Entrambi riformisti, o miglioristi come erano definiti dagli avversari interni. Napolitano e Chiaromonte erano tra gli ospiti più graditi di Pertini al Quirinale. E mentre il secondo presidente socialista della storia italiana (contando il socialdemocratico Giuseppe Saragat) si apprestava ormai a completare il mandato, era il 1985, ebbe uno scatto d’irritazione, tipico del suo carattere irruento, quando venne a sapere che i due capigruppo comunisti erano stati visti in amichevole colloquio con Oscar Luigi Scalfaro nella buvette di Montecitorio. Ne dedusse che il Pci si stava già muovendo per la sua successione, con la bussola rivolta verso l’esponente democristiano. Il presidente-partigiano, classe 1896 ma ancora in buona salute, era prossimo agli 89 anni, eppure si aspettava che gli venisse chiesto di restare per un secondo mandato. Per questo l’incontro casuale nel bar della Camera gli sembrò un brutto segnale e lo disse chiaro e tondo a Napolitano e a Chiaromonte.
Oggi Napolitano, 88 anni il prossimo 25 giugno, è in una condizione rovesciata rispetto a quella del predecessore ligure. Gli chiedono di restare, ma lui non ne vuole sapere. E ieri ha deciso di rendere pubblica «nel modo più limpido e netto» la sua scelta di non rimanere al suo posto, alla scadenza del mandato settennale, il 15 maggio prossimo. Una nota del Quirinale definisce «non ipotizzabile» la sua «ricandidatura», sottolineando la necessità che il nuovo parlamento elegga un «nuovo presidente della repubblica».
Non c’è da dubitare dell’autenticità di questo orientamento da parte dell’undicesimo presidente della repubblica, espresso mentre si moltiplicano le dichiarazioni a sostegno di una sua ricandidatura. Dovute indubbiamente a una stima nei suoi confronti e nei confronti del suo operato, ma anche alla difficoltà di chi dovrà farsi carico, nel prossimo parlamento, di individuare un suo successore. Il toto-presidente è scattato già da qualche tempo, con una girandola di nomi ognuno dei quali sembra avere più handicap che potenzialità persuasive. Romano Prodi? Un altro emiliano, un altro esponente dello schieramento di Bersani. Massimo D’Alema? Ma non ha la stessa tessera del probabile futuro premier? Una donna? Anna Finocchiaro? Ha lo stesso profilo di D’Alema. Emma Bonino? Monti la sostiene ma Andrea Riccardi, che afferma di stimarla, non la considera super partes. Franco Marini? Anche di lui si parla. Come naturalmente si parla molto anche di Giuliano Amato. Nei prossimi giorni la rosa si arricchirà di altri petali, nomi di donne, un’idea che piace soprattutto a chi intende sbarrare il passo ai candidati, sulla carta, più quotati.
Ma alla fine la palla potrebbe tornare nel campo di Napolitano. Mai come in queste elezioni si è profilato così nebuloso il paesaggio post-elettorale. Non si esclude neppure un esito senza chiari vincitori e vinti, un risultato perfino molto difforme alla camera e al senato. Il capo dello stato potrebbe constatare l’impossibilità di formare un nuovo governo nei tempi stretti di cui disporrà – una “finestra” di una ventina di giorni. Potrebbe addirittura prendere atto di un risultato tale da dover riconvocare gli elettori alle urne. Tutto è possibile a tre giorni dal voto. Perfino – come effetto collaterale – il prolungamento della presidenza di Giorgio Napolitano, l’unica prospettiva rassicurante se davvero lo scenario che osserveremo la sera di lunedì prossimo dovesse rivelarsi sconcertante.
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