La prima contestazione di Pannella al comitato Radicale, senza complessi
Il comitato di Radicali italiani dello scorso fine settimana è stato segnato da una eccezionale serie di interventi polemici contro la dirigenza, e soprattutto contro Pannella. In apparenza, nulla di nuovo: le battaglie intorno alla ingombrante figura del leader ci sono sempre state. Eppure, anche tralasciando il numero delle voci polemiche, una novità si è vista. In queste voci si avvertiva spesso un tono insieme ironico e sbrigativo. Era il tono di chi non sente più il bisogno di mettere in scena il consueto conflitto edipico, di chi non posa da antagonista cauto o spavaldo, ma comunque destinato a giocare di rimessa: e proprio questa assenza di pathos risultava irriverente. Alcuni dei militanti più critici avevano l’aria di persone che sono ormai Radicali non pro o contro Pannella, ma lo sono semplicemente senza dare a Pannella la spropositata attenzione che gli viene di solito attribuita.
In questo pragmatismo ci sono aspetti buoni e meno buoni. I meno buoni riguardano la perdita di quella complessità ideologica novecentesca che Pannella, nel suo linguaggio, riesce a tenere acrobaticamente insieme alle novità dell’ultimo minuto. Tra gli aspetti buoni, o almeno notevoli, c’è invece la critica tanto più forte quanto più implicita a uno dei fondamenti più problematici di questo linguaggio. Pannella pretende che ogni sua espressione, anche la più sciatta o astrusa, sia giudicata solo tenendo conto di quel vasto, personalissimo e spesso semisepolto contesto di senso di cui è appena un riflesso. Malgrado si occupi di politica, esige i criteri del- la creazione poetica. Vuole essere valutato “organicamente”, e spesso rifiuta le aride analisi che tendono a verificare parola per parola i pregi e i difetti di singole osservazioni o scelte. Evidentemente questi criteri, se applicati a tutti in modo democratico, darebbero luogo a un’anarchia esegetica senza fine. Ma Pannella ha avuto la capacità necessaria a mantenere l’egemonia “linguistica”, e insieme la statura morale necessaria a renderla pedagogica.
Così, finché dura questa egemonia, i tipici riflessi davanti alla prassi pannelliana sono: 1. l’adesione di chi trae dalle intuizioni del leader una vera e propria scolastica (vedi Vecellio); 2. l’accettazione del linguaggio di Marco come orizzonte che non si vuole né discutere né chiosare, ma che si presuppone, per dedicarsi in proprio a una attività più boninianamente pragmatica (è il caso di un militante come Valerio Federico); 3. la formazione di una minoranza critica che smussa le analisi radicali sul “regime”, e che ripropone di volta in volta le stesse sfumature di dissenso (Silvio Viale); 4. la battaglia senza quartiere di gente che se ne va sbattendo la porta. Ora, molti discorsi critici del comitato non prefiguravano né fronde, né apostasie. Ciò che chiedevano era di rendere più trasparente e verificabile il linguaggio e quindi l’azione dei Radicali. Spesso, davanti a Pannella, o ci si convince della sua linea, o si finisce per accusarlo di ogni misfatto. Qui invece si chiedeva, a lui e alla dirigenza, proprio ciò che il linguaggio pannelliano fatica a sopportare: il riconoscimento di verità e responsabilità parziali, circostanziate. Che ruolo hanno avuto i dirigenti nel tracollo del movimento, dall’era Capezzone a oggi? Se Pannella e Bonino hanno l’influenza che hanno, qual è la loro responsabilità nei fallimenti radicali, e quali conseguenze comporta? La domanda non implica neppure il rigetto della famosa analisi che vede nell’Italia un “regime”: perché se quella è la situazione data, dopo averne preso atto occorre pure studiare reazioni adeguate, che invece latitano.
Il caso Storace ha offerto solo un’occasione per intensificare queste domande, ma chi le solleva non è affatto scandalizzato dall’offerta del “fascista”: semplicemente, laicamente, la rigetta valutando il rapporto costi-benefici, e stigmatizzando la poca trasparenza con cui, mentre i militanti sono ai tavoli, vengono gestite operazioni del genere. A mio avviso, ci sarebbe un modo per dare una risposta provvisoria a questi problemi. Finora, Pannella ha lasciato ad altri le cariche decisive. Sembra che lo faccia per non sommare alla sua influenza i poteri formali. Ma è bene invece che questi poteri coincidano il più possibile con quelli reali. Proprio l’assunzione di una precisa responsabilità ufficiale serve a limitare l’influenza: perché la porta alla luce, le sottrae la sua inafferrabilità extragiurisdizionale, e la rende contestabile nelle sue singole manifestazioni. Spesso i media definiscono per superficialità Pannella “segretario” di Radicali italiani: dovrebbe diventarlo davvero, con Bonino vicesegretaria
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