“In carcere si entra che si è commesso un reato, dal carcere si esce che si è subito un reato”
di Umberto Ciarlo, da “Cronache di Napoli”, 20-01-2013
“In carcere si entra che si è commesso un reato, dal carcere si esce che si è subito un reato”, don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale e direttore dell’ufficio di pastorale carceraria della chiesa di Napoli, ha introdotto con queste parole i lavori del convegno diocesano di volontariato carcerario ieri mattina nella basilica dell’Incoronata a Capodimonte. Il riferimento esplicito, come poi ricordato più volte nel medesimo convegno, alle condizioni di detenzione nelle carceri italiane, che hanno portato l’Italia a diverse condanne internazionali. E’ un sistema giustizia che non funziona, illegale sotto tanti aspetti, certamente bisognoso di riforme profonde, quello che viene fuori dall’esperienza diretta di chi, attraverso l’attività di volontariato o per lavoro, è a contatto diretto con i luoghi di detenzione ed i reclusi, che nel caso di Poggioreale, ha commentato il suo cappellano, “su 2800 presenti, 2000 sono poveri disgraziati che potrebbero dare un contributo positivo per la società se solo trovassero un compagno capace di indirizzarli lungo la loro strada”.
Tanti di questi compagni erano radunati ieri al convegno, quelli dell’associazione di volontariato Liberi di Volare Onlus, del gruppo Carcere Vivo, della conferenza nazionale Volontariato e giustizia, rappresentata dalla presidente Elisabetta Laganà, relatrice. Ed ancora chi in altri modi si batte per la legalità e giustizia, come l’associazione radicale ‘Per la Grande Napoli’, che ad un tavolino, presente Emilio Martucci, ha raccolto firme per la presentazione alle elezioni della lista di scopo radicale che vede nell’indulto e nell’amnistia l’unico modo per porre immediatamente fine alle condizioni illegali di detenzione causate dal sovraffollamento.
Ma le presenze positive sono anche quelle di quegli operatori della giustizia che ricordano le falle del sistema in cui essi stessi operano. Come Francesco Cascini, direttore dell’ufficio per l’attività ispettiva e di controllo del dipartimento di amministrazione penitenziaria, che ha ricordato che: “Il regolamento penitenziario prevede camere di pernottamento, spazi per le ore d’aria, camere per le attività diurne che seguano determinati criteri, refettori dove mangiare tutti assieme, ma queste regole non vengono mai applicate in toto. In particolare in nessun penitenziario c’è un refettorio. Io non so cosa succederebbe a Poggioreale con un refettorio, ma so quello che succede ora: migliaia di casi di autolesionismo all’anno, aggressioni continue. Noi siamo molto bravi solo per ad inquadrare e dare un nome giuridico ad un fatto, e la storia di una persona viene presa in considerazione solo per quantificare una pena, poi della persona non c’è più nulla, solo un numero.” Aprire le celle, spazi comuni, in cui sia possibile ai volontari ed gli altri operatori inondare di positività i luoghi di reclusione nella loro interezza. Il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, ha chiuso il convegno con un breve intervento ed una parola d’ordine: “Umanizzare”, “parola”, ha ricordato il porporato, “che si sente sempre di più e sempre più spesso resta solo una parola”.
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