Carceri, perché dico sì a Pannella
di Umberto Veronesi pubblicato su la Repubblica, il 20/12/12
Non posso non rispondere all’appello di Marco Pannella – riportato ieri da Francesco Merlo su queste pagine -per almeno tre ragioni. La prima è che Pannella è un uomo dalle idee che precorro no i tempi, la seconda è che ha la passione e il coraggio di difenderle, la terza è che queste idee sono in molti casi anche le mie. Penso ad esempio alla battaglia per la legalizzazione dell’aborto, per l’antiproibizionismo, perla solidarietà e la tolleranza verso gli immigrati. C’è un fil rouge che le unisce tutte: i diritti e la dignità della persona. L’impegno per cambiare la situazione disumana dei carcerati in Italia – a cui Pannella mi chiama e ci chiama oggi – è sacrosanto e va nella stessa direzione.
Al di là dell’amnistia, credo che questo momento di sensibilizzazione intensa dovrebbe trasformarsi nell’occasione per ripensare il nostro sistema giudiziario su basi nuove, più moderne, più democratiche e civilmente avanzate. Come ha scritto il filosofo Giuseppe Ferraro, il grado di democrazia di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri e delle sue scuole: quanto più le carceri saranno scuole e le scuole non saranno carceri, tanto più uno Stato si potrà dire democratico. Non si tratta di inventare nuovi principi della pena, ma di applicare la nostra Costituzione, che, all’articolo 27 stabilisce che le pene devono tendere al recupero e alla rieducazione, ed evitare trattamenti contrari al senso di umanità e dignità dell’uomo. Del resto, che la giustizia rieducativa funziona, è dimostrato dall’esperienza dei sistemi più avanzati, come quello norvegese: con una pena detentiva massima di 20 anni e un carcere improntato al recupero del detenuto, il tasso di recidività è fra i più bassi del mondo.
È paradossale che in Italia l’invito alla riflessione su questo tema venga in modo forte dal mondo del cinema. “Cesare deve morire”, dei fratelli Taviani e “Reality” di Matteo Garrone ci dimostrano come gli ergastolani possono essere attori straordinari e uomini, sensibili, colti, perfettamente in grado di essere reinseriti nella vita civile. Io sono pronto quindi a collaborare con Pannella- e con chi aderirà al progetto – per una revisione profonda del nostro sistema giudiziario, perché si abbandoni la giustizia come vendetta, a favore di una giustizia come restituzione (del condannato alla società), e ravvedimento (della coscienza personale).
Il mio contributo è in primo luogo scientifico. La genetica ha dimostrato che il nostro Dna non contiene il “gene del male”: l’uomo è biologicamente buono. L’imperativo del nostro Dna è la conservazione e la perpetuazione della specie, che significa procreare, ma anche educare, far sapere, abitare, costruire città, ponti e legami che rendono più sicura la nostra vita. Inoltre il nostro cervello è dotato di plasticità e di un lento, ma continuo, ricambio cellulare, dovuto all’esistenza di cellule staminali neuronali in grado di generare nuove cellule. Quindi è possibile, con un buon impegno educativo, modificare una persona nel profondo e riportarla alla sua capacità, innata, di porsi in relazione positiva con la società.
Non esistono i malfattori incalliti. Sta a noi mettere in moto i sistemi per recuperarli. Quando dico “noi” intendo i cittadini perché Marco Pannella, chiamando in causa, oltre a me, Saviano, Vasco, Celentano e altri, ci fa capire che la questione delle carceri riguarda tutta la comunità, che deve sapere e non deve più tollerare che al suo interno esistano aree di barbarie inammissibili, come le nostre prigioni, dove si consumano violenze, disperazione e suicidi.
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