Il coraggio di Sumiththa

di Alessandra del Giudice, da www.napolicittasociale.it, 07-12-2012

Si è tolto la vita Joseph Sumiththa Fernando il 29 novembre scorso a 34 anni, la valigia già pronta per le feste di natale in Sry Lanka, il suo paese di origine. L’uomo che aveva denunciato il pizzo e fatto arrestare il boss Ciro Lepre e i suoi complici non ha retto alle ulteriori minacce rivolte alla famiglia. Lo ricorda un componente della comunità cingalese che ha scelto di restare anonimo.

L’uomo ricostruisce insieme alla moglie l’ultima giornata di Sumithatha e le difficoltà della comunità cingalese a Napoli.

La moglie e la comunità come ricorda Sumiththa?

Era un uomo che ha sempre aiutato chi era in difficoltà. Arrivato a 18 anni a Napoli aveva messo su con sacrificio tre attività e aveva conosciuto qui la moglie anche lei cingalese, di un anno più giovane, con cui si era sposato. Per la moglie Nadee è sempre stato il migliore degli uomini, un grande lavoratore, un ottimo padre, era molto dolce con lei e ha sempre usato nomignoli affettuosi per chiamarla. Non era mai aggressivo.Tanto che lei pregava Dio che i suoi figli maschi di 5 anni e 4 mesi gli assomigliassero per indole e forza.

Nadee sapeva delle minacce che aveva ricevuto?

Nadee è una donna tradizionale, che viveva a casa crescendo i bambini e per non farla preoccupare lui non le aveva raccontato nulla. Solo quando era in ospedale per partorire il suo secondo figlio, 4 mesi fa, ricevette una telefonata di un’amica di Milano che le disse che aveva visto al telegiornale la storia di Sumiththa. Lei era preoccupatissima, tanto che lui le aveva detto scherzando: “Ora non potrò più neanche andare in bagno che vorrai tenermi sotto controllo”. Nadee, conosciuta la storia del racket, avrebbe voluto tornare in Sri Lanka, ma non era possibile, la loro vita, le attività commerciali erano qui.

Chi lo conosceva pensa che si sia suicidato per i debiti?

Affatto. Ho parlato con un suo caro amico che mi ha detto che stavano progettando insieme una nuova attività. Sebbene avesse grandi problemi economici Sumiththa non si era mai avvilito per i soldi. Tempo prima aveva spedito in patria circa 60 mila euro, il guadagno di tanti anni di lavoro, ma era stato truffato: qualcuno era andato a chiedere a suo nome quei soldi che erano spariti. Eppure lui si era rimboccato di nuovo le maniche. La sua situazione non era così misera come hanno scritto i giornali: ad esempio la famiglia vive in un appartamento al primo piano e non in un basso. Per Natale doveva andare con la famiglia in Sri Lanka e la valigia era già pronta, chi vuole suicidarsi non fa progetti…

Qualcosa deve averlo sconvolto?

Così sembra. Nadee racconta che quel giorno era tornato dal lavoro molto arrabbiato, cosa strana perché era un uomo tranquillo. Per la prima volta da due anni non aveva fatto una preghiera che faceva ogni sera con la moglie, si è seduto davanti al computer a bere birra fino all’una e innervosito ha detto a Nadee di andare dal bambino piccolo che piangeva. Lei dopo aver allattato il bambino si è addormentata, è allora che il marito si è tolto la vita.
Nadee crede che Sumiththa avesse incontrato qualcuno prima del lavoro e che deve averlo spaventato molto probabilmente minacciando i suoi figli perché doveva andare in tribunale a deporre per il processo contro Lepre. Il messaggio scarno che ha lasciato: “Nessuno è colpevole della mia morte, sono io che mi sono stancato” forse era un modo per allontanare definitivamente la sua famiglia dai criminali. Anche un suo amico afferma che era stato minacciato recentemente in seguito alla denuncia del racket.

Non si sentiva protetto?

Non credo si sentisse al sicuro, credo sia stato lasciato solo dalle istituzioni, continuava a vivere in un quartiere dove è presente la camorra. Non è un caso se al funerale c’erano solo Elena Coccia e Tano Grasso, oltre qualche fratello africano. La messa funebre si è svolta in una piccola stanza a piazza del Gesù e non nella chiesa principale. Per questo siamo rimasti molto male. C’erano tantissime persone della comunità cingalese anche se non tutti appoggiavano Sumiththa; come in ogni comunità non mancavano gli invidiosi. Chi abbassava la testa e pagava il pizzo era invidioso di lui che aveva avuto il coraggio di denunciare. C’era anche chi gli si era opposto apertamente.

Quali sono le problematiche dei cingalesi a Napoli?

I cingalesi delle zone costiere hanno iniziato ad emigrare negli anni ’90 sulle navi e poi le famiglie grazie al ricongiungimento li hanno raggiunti, ma oggi sono sempre meno quelli che scelgono di venire a vivere qui.
I cingalesi sono persone tranquille che non sanno dire di “no”. Nella Sanità, nel Cavone, nei Quartieri Spagnoli, a S. Teresa vivono tanti cingalesi che si occupano del lavoro domestico, di piccoli commerci. Le donne in particolare lavorano tanto per portare i soldi a casa. Ci mancano punti di riferimento precisi, dovremmo essere molto più coesi, realizzare progetti per la comunità. Anche da noi c’è la mafia, ma non è così violenta. Dalle bande di ragazzini che ci sputano addosso e ci deridono, alle aggressioni per rapina, allo sfruttamento dei padroni, è difficile vivere qui. Ho esperienza di questa violenza sulla mia pelle. A causa della violenza di pochi, facciamo perdere la bellezza che ha Napoli.

Cosa chiede la comunità cingalese?

Il Comune ci ha aiutati pagando le spese del trasporto della salma che partirà venerdì insieme alla moglie per lo Sri Lanka. Chiediamo che aiuti la moglie e i figli di Sumiththa a vivere. Vorremmo che fosse riconosciuto dallo Stato che non si sarebbe mai ucciso se non ci fosse stata la camorra, se non avesse avuto paura per la sua famiglia. I figli da grandi riconosceranno quanto il loro padre è stato coraggioso.

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=8884&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-coraggio-di-sumiththa

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