“Basta partiti unici, uniamoci sulle idee”
Ripubblichiamo, dall’Archivio del Partito Radicale, l’intervista di Carlo Correr a Marco Pannella (‘MondOperaio’, maggio 1997)
Il leader radicale boccia il progetto di ricostituzione di una forza laicosocialista: lottare per obiettivi di riforme, non per forme organizzative che appartengono al passato
Non è Marco Pannella ad aver inventato il Partito Radicale, ma oggi non c’è dubbio che dire Pannella è come dire radicali, insomma una simbiosi totale tra l’uomo e il movimentopartito, come lui stesso lo definisce. Il “Marco” nazionale è certamente, ma non il solo, il principale ispiratore della linea politica dei radicali, vulcanico inventore di iniziative, strenuo sostenitore dell’arma referendaria che ha saputo, e continua, ad utilizzare come strumento per sovvertire il cosiddetto ordine costituito. Ma Marco Pannella, amante della libertà, della militanza intesa come iniziativa personale più che di partito, è anche esponente dell’area laica. Ai radicali, nati nel ’55 da una scissione a sinistra del Partito liberale, arriva dall’Unione goliardica italiana e si può far risalire a lui il conio del termine “sinistra radicale” che compare in un suo articolo scritto nel marzo del ’59 per “Il Paese”. Fin dall’inizio dà la sua impronta personale al partito: impegno militante per i diritti civili, pacifismo, antimilitarismo e internazionalismo, campagne di denuncia contro i finanziamenti pubblici, contro la burocratizzazione della società e dei partiti, anticlericalismo e laicismo.
DOMANDA: Pannella, che giudizio dà del progetto di una forza laicosocialista?
RISPOSTA: Dico che non va, ma nella stessa misura in cui lo direi se qualcuno mi ponesse la questione rispetto al partito liberale, al partito liberalsocialista o al partito socialista, nel senso che credo profondamente che i partiti debbano trasformarsi secondo il modello americano e che quindi sia auspicabile una soluzione di continuità. Questo sarebbe anche un modo per non coinvolgere in un rischio di impresa quello che invece va ricostruito, ritesaurizzato, cioè la concreta storia laicosocialista, laicoliberale che molto di rado ha poi coinciso con le organizzazioni partitiche.
D: Contesta la forma partito
R: Di questi partiti. Credo che questa radicalità laica, del dire ‘dobbiamo concepire altro’, sia necessaria e opportuna.
D: Quale dovrebbe essere?
R: Quella che da qualche anno stiamo cercando di costruire. Primo: noi abbiamo avuto il riconoscimento formale dell’Onu di organizzazione transnazionale e transpartitica, con alcune centinaia di militanti sparsi nel mondo, soprattutto italiani, che dedicano il loro tempo, il loro denaro, le loro idee al movimento. In questo modo percorriamo la strada che recupera un dibattito una storia, delle idee sepolte con le rivoluzioni comuniste e fasciste, ma anche la burocratizzazione del movimento socialista occidentale.
In secondo luogo abbiamo costruito un movimento partito referendario che ha depositato in Cassazione negli ultimi sei anni 27 milioni di firme, tutte autenticate e certificate. Questo dà la misura materiale di una forza di mobilitazione, di un radicamento, di un ‘know how’ che è molto importante.
D: Ma insomma pur sempre un partito
R: No, è un’altra cosa. Difatti come è possibile che un movimento così estraneo, così radicalmente opposto, che ritiene che le istituzioni siano fuori legge, ma in senso tecnicogiuridico non morale, si trasformi, anche anticipando Maastricht, in un partito transnazionale? Eppure in termini di impresa politica, di costiricavi, funziona, come dimostrano le firme raccolte. Questo significa che è buono il metodo e lo strumento organizzativo. Abbiamo il Movimento dei Club Pannella Riformatori, Radio Radicale, Agorà, il Cora e le organizzazioni antiproibizioniste, il Centro d’Ascolto, abbiamo determinato attraverso il movimento ‘Non c’è pace senza giustizia’, ‘Nessuno tocchi Caino’, il recente voto di Ginevra all’Onu, a maggioranza, su una moratoria sulla pena di morte. Tutto questo è venuto solo attraverso la nostra attività militante, di realtà organizzate, non burocratizzate. Fin quando non avremo realizzato il passaggio al sistema bipartitico. Nulla può essere definitivo, ma sicuramente noi in parte già prefiguriamo quel pieno di politica e quel vuoto di burocrazia che è la caratteristica del partito modello americano, anglosassone. Negli Usa non ci sono due partiti, ma due partiti elettorali e ci sono invece decine di partiti nei vari Stati.
D: Per fare che cosa?
R: Io dico quello che stiamo tentando di fare noi e questo lo mettiamo a disposizione di chi è disponibile
D: Ma con quali forze, con quali alleati?
R: Le forze sociali oggi oggettivamente interessate sono tutte quelle che fecero accettare al Psi di Craxi lo scontro sul punto di contingenza. Oggi la lotta di classe c’è, se noi non dimentichiamo che il concetto di ‘terzo stato’ è non solo giacobino ma anche liberale. Anche se in termini semantici, linguistici, la definizione non mi soddisfa pienamente, direi che in termini marxiani c’è ancora la lotta dei produttori contro i burocrati. Così se oggi Blair può sperare di vincere le elezioni è perché è figlio della Thatcher, nel senso che la Thatcher ha affrontato con anticonformismo l’impopolarità, passando per chi toglieva il latte ai bambini e colpiva il santuario dei minatori.
D: E i contenuti?
R: I contenuti sono quelli dei 72 punti di governo ai quali siamo legati. Dalla smilitarizzazione della Guardia di Finanza all’elezione del CSM, all’abrogazione del Concordato, del Golden Share. Abbiamo inventato i referendum liberisti, l’abolizione dello Statuto dei Lavoratori, delle pensioni di anzianità. Oggi la società è fondata sulla rappresentanza burocratica, istituzionale del momento del lavoro.
D: Ma le trasformazioni che vengono proposte con l’uso dei referendum vengono poi gestite dalle forze politiche che ci sono in Parlamento e il movimento referendario resta tagliato fuori E allora cosa succede?
R: In termine di gestione è vero, ma io dico che i poteri reali mai sono stati più forti in termini di gestione e mai sono stati più deboli sul piano delle riforme. Possono solo rispondere alle leggi sociologiche dell’autoconservazione degli apparati. Il figlio di Cipolletta e quello di Cofferati sono indistinguibili, perché sono le interfacce all’interno dello stesso sistema di potere. Quello che è accaduto al Caf può accadere a loro, adesso. Cosa succede se per esempio andiamo a votare l’abolizione dei permessi sindacali? Questa è una condizione rivoluzionaria, perché il ‘comune sentire’ di massa è lontano da coloro che hanno il potere.
D: Non teme che questo ‘sentire di massa’ possa anche essere poujadismo, populismo, giustizialismo, demagogia fine a se stessa?
R: No, la mia analisi è oggi opposta. Oggi l’80% voterebbe la responsabilità civile dei giudici, il sistema elettorale americano, il presidenzialismo pieno. Oggi sono stufi del commercialista, della burocrazia. Oggi non sanno ma sentono che lavorano fino al 17 del mese per lo Stato e dal 18 in poi per sé e per la famiglia. Questo popolo, in questo momento, ha un Dna della società liberale anche se non riesce a fare la sintesi attraverso il sistema elettorale. Dai trotzskisti di Rifondazione fino a Rauti, tutti i vertici sono contro il sistema bipartitico, ma l’80% invece dei loro elettori la pensa così. Questo può avere anche un sapore demagogico, ma è la quintessenza del pensiero liberale. Il prossimo passo che faremo sarà quello di dare vita ad un movimento contro la pensione obbligatoria, per la pensione come facoltà.
D: Per andare dove, verso quale sistema?
R: Queste sono rotture culturali, questa è una situazione rivoluzionaria e io creo per quanto possibile queste situazioni. Ma ‘biodegradabili’, non movimentiste, insomma certe, sicure a termine. Se tu punti al movimento rivoluzionario non lo sai cosa accadrà. Io non sono né un illusionista, né un illuso.
D: Come definirebbe l’area laicosocialista? Esiste quest’area?
R: Solo come elemento sociologico. E’ anche una comunità di ricordi, di ricordi tra nemici. Noi siamo stati soprattutto il partito delle nonne, delle donne della terza età. Per l’aborto, il divorzio Io credo di essere la dimostrazione – assieme ai miei compagni con queste storie, così invisibili, ma così concrete, con questa materialità alla quale diamo vita – che chi è vissuto nell’area laicosocialista, liberalsocialista, ha una responsabilità enorme e favolosa. Gli altri che come me hanno avuto la fortuna di incontrare alcune idee ‘forti’ devono avere più fiducia in se stessi, molto più di quanto non abbiano fatto, di avere ambizioni un po’ diverse e più alte che quelle di ‘ricostituirsi’. Intendiamoci, io ritengo assolutamente equo, giusto, comprensibile, opportuno e perfino auspicabile che si corregga l’ingiustizia di fondo per cui se uno era Caf era mafioso e se uno invece era corleonese allora era dello Stato. Nello stesso modo non si è statisti se tra l’ordine e la legge, serviamo l’ordine costituito e non la legge, la regola. Il diritto è regola, la democrazia è regola, la convivenza si tutela con la regola. E’ questo che deve distinguere i laicilibertari.
D: A chi vuole ricostruire, lei cosa risponde?
R: Possiamo anche ricostruire, ma ‘anche’, non solo. Possiamo intenderlo come un sottoprodotto della nostra azione politica perché l’ambizione deve essere ‘costruire’. Se sono un socialista io credo in alcune idee e per quelle lotto. Quindi devono essere ideeforza. E allora lotto per queste, per dargli corpo non per rilegittimare le forme delle idee forza che erano legate allo ieri.
D: Se si andasse alle elezioni a giugno quale sarebbe la scelta dei radicali?
R: In questo siamo molto spregiudicati. Facciamo un calcolo dell’economicità degli impegni.
D: Per il comune di Roma?
R: Sono candidato alla candidatura.
D: Anche contro Rutelli?
R: Potrei farlo, io potrei in coscienza impegnarmi a farlo. Ma non credo che la cosa interessi a nessuna forza politica.
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