Lettera – Perché il Pd non celebra il Venti settembre?
di Federico Orlando, da “Europa”, 21/09/12
Cara Europa, ho sentito da una radio romana (credo si chiami Radio Roma o qualcosa del genere) che nella ricorrenza del XX settembre, data della breccia di Porta Pia e del congiungimento di Roma all’Italia, ci sarebbero state in città varie dimostrazioni: fra cui la deposizione della solita corona di alloro da parte del sindaco Alemanno e dell’amministrazione provinciale davanti alle Mura, dove morirono decine di soldati dell’esercito italiano; l’analoga contromanifestazione di Militia Christi, con corona e santa messa per gli svizzeri caduti al servizio del papa; l’abituale celebrazione – l’unica, credo appropriata – dei radicali, Pannella in testa, che di quell’evento si sono ricordati da sempre. E mi domando: perché il Pd e altri partiti non fanno altrettanto? Perché i nostri figli, anche quando prendono la licenza liceale, non sanno niente del XX settembre, che concluse il ventennio (1848-1870) dei maggiori sacrifici per l’Unità d’Italia (ricordata, e forse già dimenticata, dal prodigioso impegno del presidente Napolitano nel 2010-2011, per i 150 anni di quell’Unità?).
Salvo D’orazio, Roma
Caro D’Orazio, credo che il Pd, come tutti gli altri partiti, sia soggiogato dall’egemonia della gerarchia ecclesiastica sull’Italia politica. Pensi che qualche anno fa a celebrare Porta Pia fu non il presidente del consiglio italiano ma il capo del governo pontificio, cardinale Bertone: non so se per chiedere altri benefit ai nostri governanti o per dire che quella lontana pagina è definitivamente chiusa. Cosa che a me non pare affatto. Ma io non sono politico (altrimenti non scriverei di queste cose), e non faccio politica.
Anche perché, quando ero pieno di sacri furori giovanili, provai a farla, ma andai a sbattere il naso. Indovini contro cosa? Non il Muro, ma il mio stesso partito, che era il partito liberale. Quello i cui progenitori avevano portato l’Italia dall’umiliazione di Novara (1849) a Roma capitale (XX settembre 1870) e a Vittorio Veneto (4 novembre 1918). Le racconterò un episodio che le dice tutto sul rapporto stato-chiesa, o meglio politici-gerarchia, nell’Italia del concordato fascista, che risarcì la chiesa dell’amato bene temporale che aveva perduto. Ero vice segretario nazionale della Gli (Gioventù liberale italiana), nei primi anni della segreteria di Giovanni Malagodi. In vista del XX settembre, scrissi una circolare piuttosto “dotta” (ero abbastanza fresco di studi jemoliani alla Sapienza). La circolare era destinata a tutte le federazioni provinciali della Gli, e dava le linee culturali cui possibilmente ispirarsi per celebrare la ricorrenza. Mandai la circolare all’ufficio ciclostile (non c’erano email, allora), che la trasmise in visione a Malagodi. Al quale si drizzarono i capelli imbrillantinati, mi chiamò alla sua augusta presenza e mi disse che non potevamo scrivere “cose simili”, ancorché giuste, tanto più che eravamo alleati della Dc.
La mia obiezione che, prima della sua segreteria, il Pli aveva sempre ricordato il XX settembre nello spirito echeggiato dalla mia circolare, cadde nel vuoto. E da allora anch’io mi accontentai, quando potetti, di andare a Porta Pia alla celebrazione dei radicali, che nel frattempo erano scappati dal Pli di Malagodi. Il quale, intendiamoci, non è che fosse “cattivo” con noi bambini.
Era soltanto uno dei tanti leader antifascisti che, diventati poi capi di piccoli o grandi partiti, riversarono nel loro impegno tutto l’autoritarismo e il gerarchismo che avevano inconsciamente assorbito nel ventennio. Ora lei mi chiede perché il Pd non celebra il XX settembre. Ma io, pur desiderando di girare la sua domanda a Bersani, come faccio a contestargli la dimenticanza, dopo simili esperienze di tanti anni fa, in un partito che si chiamava liberale?
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