Carcere: migranti, tossici, recidivi Per loro hanno buttato la chiave
di Luigi Manconi, da “Gli Altri”, 13-08-2012
Le cause del sovraffollamento delle carceri sono essenzialmente di due tipi: sistemiche e congiunturali. Tra quelle sistemiche – relative cioè all’organizzazione penale nel suo complesso – possiamo considerare anzitutto una legislazione penale carcero-centrica, che assegna cioè al carcere non la funzione (assegnatale dalla nostra Costituzione) di extrema ratio cui ricorrere quando le altre misure non siano efficaci: bensì quella di sanzione prevista pressoché per tutti i reati diversi da quelli dei “colletti bianchi”. Proprio per questo è da accogliere con favore la previsione – nel disegno di legge Severino – di pene principali extra-carcerarie, come peraltro accade nella maggior parte dei Paesi europei.
Inadeguato è poi il catalogo delle misure alternative al carcere (disposte cioè non dal giudice del Tribunale ma in fase esecutiva), che sono escluse peraltro per tutti coloro (e non sono pochi) detenuti per i così detti delitti ostativi. Tra questi si annoverano infatti non solo mafia e terrorismo, ma anche una serie di reati (ad esempio in materia di stupefacenti o immigrazione) la cui gravità non sempre giustifica il divieto di usufruire dei benefici penitenziari. E questo ultimi sono stati inseriti all’interno della categoria degli esclusi più per ragioni di consenso, in omaggio a logiche securitarie e a false rappresentazioni mediatiche, che per reali esigenze di sicurezza pubblica.
Se poi si considera che, per oltre il 40%, i detenuti in carcere sono in attesa di giudizio (e come tali presunti innocenti), è evidente come il ricorso alla custodia cautelare in cella – analogamente alla esecuzione di condanna definitiva – non sia affatto una misura residuale. Ovvero un provvedimento da applicarsi quando ogni altra sia ritenuta “inadeguata” per quelle ragioni, tipizzate tassativamente dal codice di tutela della collettività: reiterazione del reato, prevenzione del pericolo di fuga dell’indagato e inquinamento probatorio. Non a caso, uno dei filoni più garantisti della giurisprudenza costituzionale recente ha dovuto ribadire l’incostituzionalità delle norme – emanate dal governo Berlusconi – che hanno esteso la custodia cautelare obbligatoria anche al di là dei reati di mafia, per i quali soltanto – e in via eccezionale – la Consulta stessa e la Corte europea dei diritti umani hanno ammesso questa sorta di presunzione assoluta di pericolosità sociale.
E proprio agli stereotipi del “nemico pubblico” prodotti dalla legislazione penale recente vanno ricondotte le cause congiunturali del sovraffollamento penitenziario. Cause legate, cioè, a politiche settoriali, inerenti a specifici reati rappresentati strumentalmente come di particolare allarme sociale.
Penso essenzialmente al settore dell’immigrazione, a quello delle sostanze stupefacenti e alla disciplina (solo apparentemente trasversale) della recidiva. Attraverso leggi quali la Bossi-Fini del 2004, la Fini-Giovanardi del 2006 e la ex-Cirielli del 2005, infatti, si sono previsti dei sotto-sistemi penali speciali, derogatori, cioè, dei principi generali e delle garanzie individuali, connotati da logiche di diritto d’autore o di colpa per la condotta di vita. Pertanto, in quei particolari settori, sono stati resi penalmente illeciti (e puniti con il carcere) anche comportamenti privi di reale offensività nei confronti di terzi (si pensi all’inottemperanza all’ordine di allontanamento per il migrante, la cui sanzione detentiva è stata esclusa soltanto dopo la censura mossa dalla Corte di giustizia nel caso El Dridi). Di più: attraverso quelle leggi è stata resa del tutto marginale, quasi eccezionale, per queste figure soggettive, la possibilità di avvalersi di benefici penitenziari e misure non custodiali, rendendo così il carcere la destinazione “naturale” (o fatale?) per migranti, tossicomani e recidivi: siano essi in attesa di giudizio o condannati.
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