È più umiliante fare la prostituta o svuotare le interiora dei polli?

di Ilaria Solari, da “Il Foglio”, 13/08/12

«Le cose che le chiedono di fare… Non lo trova umiliante?». «No, la sorprende? Mi eccita il modo in cui mi guardano». Il dialogo, rubato al film Elles, presentato al Festival di Berlino, al cinema dal 14 settembre, si consuma in un salotto parigino: a fare le domande è Juliette Binoche, nei panni di una giornalista francese che indaga sul mondo della prostituzione. Di fronte a lei c’è Alicja, conturbante squillo polacca, che fa il mestiere per pagarsi un appartamento e gli studi. In Francia, dove, secondo un recente rapporto, ogni anno 40 mila studenti si prostituiscono per ragioni analoghe.

«La prima volta che ho incontrato una come Alicja sono rimasta scioccata», ha spiegato al quotidiano online Huffington Post Malgorzata Szumowska, regista del film, che si è preparata intervistando un gruppo di giovani lucciole. «Davanti a me c’era una ragazza indipendente che parlava di sesso con competenza, a voce alta, senza vergogna o ritrosie. Non certo una vittima, piuttosto una donna smaliziata che fa una scelta rischiosa pur di non vivere nella miseria». Chissà se la ministra francese dei Diritti delle donne del governo Hollande, la giovane Najat Vallaud-Belkacem, ha avuto occasione di vedere il film. Forte della recente approvazione di una legge che criminalizza le molestie sessuali, ha appena annunciato: «Il mio obiettivo è vedere sparire la prostituzione», minacciando così di portare la Francia tra i Paesi «neo proibizionisti» come la Svezia, che considerano la prostituzione, anche consenziente, una forma di violenza dell’uomo sulla donna, punita con sanzioni penali ai clienti. La sua dichiarazione però ha scatenato la reazione di migliaia di sex worker: le foto delle proteste mostrano gruppi di donne coi visi coperti da maschere o strati di biacca. Molte di loro sono straniere, hanno cartelli che invocano la libertà di scelta e i diritti riconosciuti agli altri lavoratori. A chi si rifiuta di distinguerle dall’esercito di clandestine, sfruttate e messe sulla strada dalla criminalità organizzata, risponde Morgane Merteuil, segretaria generale di Strass (il sindacato dei lavoratori del sesso): «Non mi sento più sfruttata di tanti altri che mettono a disposizione il proprio tempo in cambio di danaro. O per offrire servizi che rispondono a una richiesta. Quanto a trovarci delle soddisfazioni personali… c’è chi per mestiere svuota le interiora dei polli, vogliamo parlarne? I nostri clienti non cercano solo sesso, ma anche tenerezza, compagnia. In breve tutto ciò che non possono procurarsi da soli». 
In attesa di una conferenza tra le parti, il dibattito francese divide il movimento femminista muovendosi sul crinale scivoloso tra clandestinità e autodeterminazione, povertà e riscatto, morale e sessualità, con la sua scia di pulsioni inconfessabili. Mentre in Italia, dove i dati più recenti contano circa 70 mila prostitute (il 65 per cento sulle strade), a far discutere sono le provocazioni dei sindaci sceriffi. Da Roma a Pisa, da Rimini a Vicenza, per molti di loro è soprattutto una questione di codice della strada, o di decoro, da affrontare a colpi di ammenda. Al loro fianco, per un inasprimento delle sanzioni, si sono schierati alcuni volontari impegnati contro il traffico e lo sfruttamento sessuale. Suor Eugenia Bonetti, per esempio, autrice di Spezzare le catene (Rizzoli), conoscitrice dei mercati più caldi del sesso, dalle vie consolari romane ai quartieri a luci rosse d’Europa, nel febbraio 2011 ha arringato le donne di «Se non ora, quando?». Anche lei vedrebbe di buon occhio «una proposta di una legge come quelle di Svezia e Norvegia… perché una donna non può mai essere un oggetto su cui mercanteggiare, specie se vive in stato di paura o vulnerabilità».

Si dice che Maria Teresa d’Austria, a un certo punto della propria esistenza, si sia trovata a dichiarare: «Per abolire la prostituzione, bisognerebbe abolire gli uomini». Anche per Pia Covre, storica segretaria del Comitato per i diritti civili delle prostitute, le posizioni di chi vorrebbe far sparire la prostituzione dalle strade sono pura demagogia: «Le politiche repressive, anche In Svezia, hanno dimostrato di non funzionare, portano solo disagi alle donne che vorrebbero salvare, ricacciandole in condizioni di clandestinità e insicurezza. E poi, da tempo non è più materia da femminismo: qui si parla anche di uomini e transessuali. E una battaglia culturale, da affrontare senza pregiudizi e nel rispetto delle persone». La Covre e le sue lucciole si muovono nella direzione opposta, quella della legalizzazione. «Chi ci accusa di mercificare il corpo ci offende, noi vendiamo servizi e rivendichiamo dignità. È ipocrita dire che si vuole abolire la prostituzione per combattere il traffico: confondendoci con le vittime della tratta, che invece, emergendo dalla clandestinità, avrebbero uno strumento di riscatto».

«Diverse associazioni di volontari hanno chiuso i progetti di assistenza su strada perché, in presenza di una repressione diffusa, prostitute e prostituti diventano introvabili», conferma Maria Gigliola Toniollo, di Cgil Nuovi diritti, accanto alle lucciole sulla via di una effettiva legalizzazione. «Abbiamo imboccato questa complessa strada dopo la Dichiarazione di Bruxelles del 2005, elaborata dalla Conferenza europea su sex work, diritti umani, lavoro e migrazione del 2005, sottoscritta da prostitute e prostituti che chiedevano l’equiparazione del loro mestiere a un’attività lavorativa». In che modo? Le formule sono tante: le lucciole non sono contrarie a pagare le tasse, sostiene la Covre, specie ora che sono penalizzate da strumenti come il redditometro: «Regolamentare questo lavoro, come avviene in Olanda o in Germania, non vuol dire negare la necessaria riservatezza o mettere alla berlina i clienti: l’unico obbligo di registrazione sarebbe fiscale, basta una partita Iva. Alla stregua di ogni altra operatrice di servizi alla persona, con Inps, malattia e maternità garantiti. Certo, se cercassimo di emettere fattura sarebbe più complicato». «Il sesso è sempre un mercato», spiega Gianna, 58 anni, veterana del quartiere Ortica a Milano, un parco clienti fedeli da decenni, «uno scambio di servizi buono ad ottenere rassicurazioni, placare ansie, restituire favori». Enrico Salvatori, dell’associazione radicale Certi diritti, offre un altro punto di vista: «C’è un bellissimo libro sulle professioni del sesso: s’intitola Temporaneamente tua (Odoya): rende l’idea più di tanti discorsi. Anche un ladro o un assassino, una volta scontata la pena, cessano di essere tali: perché una prostituta si porta addosso in eterno lo stigma sociale, quando la sua professione non è nemmeno reato? In certi luoghi le lavoratrici sessuali pagano le tasse sulla base delle ore lavorate. Succede così che una ragazza sia sex worker dalle 10 alle 13 e magari, nel pomeriggio, bibliotecario».

Utopia? Secondo Salvatori, il vero ostacolo in Italia è la sessuofobia: «Motivo per cui, nel dibattito, non hanno voce i clienti, intorno ai nove milioni: la maggior parte sono uomini sposati, padri di famiglia, gruppi di ragazzini a caccia della prima volta, tutti ipocritamente bollati come depravati». Recentemente Salvatori ha cercato di coordinarli in un’associazione, «ma è difficilissimo farli uscire allo scoperto».
Ad alimentare l’animosità degli abolizionisti nostrani sarebbero dunque soltanto una sessuofobia tutta italica e certi pruriti del femminismo? «Troppo facile», ammonisce Loredana Lipperini giornalista, conduttrice e autrice di Ancora dalla parte delle bambine e Non è un Paese per vecchie (Feltrinelli). «E evidente che non si può toccare la liberà di scelta personale; ma è altrettanto evidente che esiste un sottoproletariato della prostituzione in cui le donne vengono sfruttate e non esiste scelta. Queste sono le persone da tutelare. Ma agli interventi legislativi preferisco quelli culturali, che incidono su uomini e donne, sui tantissimi clienti e sull’immaginario maschile: l’unico benedettissimo intervento che auspico è la legge sull’educazione sessuale a scuola, ferma in Parlamento dal 1975. Questa è la priorità. Difficile altrimenti invocare la libera scelta, se più della metà delle italiane non lavora e, quando’ accade, non raggiunge quasi mai posizioni apicali. Se non ci sono servizi all’infanzia. E se le donne continuano a morire: ma di che stiamo parlando?».

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=7868&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=e-piu-umiliante-fare-la-prostituta-o-svuotare-le-interiora-dei-polli

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