L’amnistia non basta: bisogna cambiare la legge sulle droghe
di Roberto Spagnoli, da “Notizie Radicali”, 06-08-2012
Ai primi di luglio il professor Andrea Pugiotto ha promosso una lettera aperta rivolta al presidente della repubblica sottoscritta da altri 120 accademici, insieme a molti garanti dei detenuti e operatori penitenziari, che faceva propria la denuncia espressa lo scorso anno dallo stesso capo dello Stato nel corso del convegno organizzato dai radicali sui problemi del carcere, e chiedeva a Napolitano l’invio di un messaggio alle Camere perché il Parlamento affronti i problemi della giustizia e del sovraffollamento carcerario. Nella sua risposta, la scorsa settimana, il presidente, tra l’altro, rileva che, malgrado i provvedimenti presi negli ultimi tempi, il divario tra la capienza degli istituti ed il numero dei detenuti resta alto e ciò, scrive, “impone di procedere rapidamente all’approvazione dei disegni di legge in materia di depenalizzazione e decarcerizzazione”.
Io non so se quando parla di depenalizzazione Napolitano abbia in mente anche la normativa sulle droghe in vigore in Italia, ma so che senza mettere mano alla legge Fini-Giovanardi non sarà possibile risolvere la questione del sovraffollamento delle carceri. Perché i consumatori di sostanze illegali in carcere semplicemente non ci devono andare. Così come non ci deve andare chi coltiva piante di cannabis per il suo consumo personale, sia esso ludico o terapeutico. Né tanto meno devono essere messi in galera i tossicodipendenti e quindi bisogna fare in modo che non siano costretti a spacciare o a commettere altri reati per procurarsi le sostanze proibite di cui non possono (o magari per un certo tempo non vogliono) fare a meno. Detto in altri termini: la “questione carcere” non può prescindere dalle politiche in materia di droghe. E viceversa, naturalmente.
In Italia, già a partire dalla legge del 1975, ma soprattutto con la legge Jervolino-Vassalli del 1990 e poi con la Fini-Giovanardi nel 2006, la normativa ha cercato di combinare l’aspetto repressivo e punitivo con una serie di misure di cura e di riabilitazione delle dipendenze. Questo modello è però da tempo in crisi. Lo dimostra proprio l’affollamento delle carceri, causato dalla massiccia presenza dietro le sbarre di consumatori/tossicodipendenti, così come la crescente difficoltà di predisporre e attuare programmi alternativi. Questa situazione ha le sue radici nel progressivo spostamento della questione delle droghe dal piano sociale a quello penale: sia nel dibattito culturale e politico, sia nell’intervento pubblico, da anni ormai ostaggi della retorica della “sicurezza”. Questa situazione “a monte”, finisce per scaricare la sue conseguenze “a valle”, colpendo soprattutto i soggetti più deboli e marginali.
D’altra parte, mentre in Italia, negli ultimi dieci anni, l’approccio della politica alla “questione droghe” ha segnato un arretramento culturale che ha pochi eguali al mondo, la realtà è cambiata: sono arrivate nuove sostanze, sono cambiati i modelli di consumo e gli stili di vita. Non tutti i consumatori sono dipendenti così come non tutti i consumi portano inevitabilmente alla dipendenza: anche per questo il modello con cui troppo spesso la politica continua a trattare la “questione droga” risulta ormai datato, inadeguato, ancora prigioniero – questo sì – di un “tunnel” che sa vedere come unico sbocco la “liberazione” dalla droga, da ottenere senza tenere conto i diritti della persona e la sua libertà di scelta e dunque da perseguire ad ogni costo, anche contro la sua volontà, anche con la punizione in carcere. Le scelte conseguenti sono quelle che poi contribuiscono a creare il sovraffollamento carcerario con pesanti ripercussioni sulle condizioni di salute dei detenuti.
Non c’è altra strada, occorre mettere mano con urgenza e senza esitazioni a quelle leggi che hanno creato e aggravano quotidianamente la situazione di sovraffollamento delle carceri. Certamente la legge Fini-Giovanardi sulla droga, ma anche la Bossi-Fini sull’immigrazione e le norme sulla recidiva. Senza il cambiamento di queste normative e della loro perversa combinazione, a mio giudizio, nessun altro provvedimento, nemmeno un indulto o un’amnistia, possono da soli sperare di ottenere un miglioramento duraturo della situazione carceraria.
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