C’erano una volta le Olimpiadi

di Laura Arconti, da “Notizie Radicali”, 07-08-2012

C’erano, una volta, le Olimpiadi: simbolo della competizione leale, della fraternità universale, del confronto fra giovani coraggiosi e generosi. Erano le Olimpiadi della commozione sul podio, dell’abbraccio fra contendenti dopo la competizione, dell’umiltà davanti alle telecamere dopo un trionfo sportivo.

Il giuramento, che viene  pronunciato da un atleta della nazione ospitante, tenendo in mano un lembo della bandiera olimpica,  nel 1920 diceva: «Noi giuriamo che prenderemo parte ai Giochi Olimpici in uno spirito di cavalleria, per l’onore del nostro paese e la gloria della sport.»

Più tardi, “giuriamo” fu sostituito da “prometto” e “paese” da “squadra”. Per le Olimpiadi del 2000 di Sydney fu aggiunta l’ultima parte. Oggi il giuramento suona così:  «A nome di tutti i concorrenti, prometto che prenderemo parte a questi Giochi Olimpici rispettando e osservando le regole che li governano, impegnandoci nel vero spirito della sportività per uno sport senza doping e senza droghe, per la gloria dello sport e l’onore delle nostre squadre». Basta rileggere le versioni di giuramento, e già si vede l’iter dei giochi olimpici dalla primitiva rievocazione delle glorie atletiche dell’antica Grecia, voluta da Pierre de Coubertin, a questa specie di carnevale cui assistiamo: ad ogni quadriennio sempre peggiore.

I più vecchi ricorderanno la cerimonia di apertura del passato, sobria e tutta improntata al significato sportivo della competizione: paragoniamola alle fantasmagorie attuali, costose ed appariscenti senza che riescano a trasmettere emozione autentica.

I meno giovani ricorderanno la sfilata iniziale degli Atleti, che un tempo faceva correre brividi di emozione giù per la schiena: ragazze e ragazzi giovanissimi, che sfilavano composti, eleganti nelle sobrie divise, con in testa l’alfiere che -si vedeva- era profondamente commosso, e conscio della responsabilità e dell’onore di portare la bandiera di casa ai giochi. Adesso c’é chi non prende parte alla sfilata… forse perché non é stata scelta come alfiere?
Nelle ultime due o tre Olimpiadi, l’avrete visto, in TV… Gruppi scomposti di personaggi vestiti con divise improbabili, che camminano disordinatamente, chi fotografando la folla, chi facendo “ciao ciao” con la manina, chi ancora facendo boccacce all’obiettivo; per non parlare dell’immancabile italiota che esibisce il cartello “ciao Mamma sono qui”…

Poi c’é l’arrivo della fiaccola olimpica.  Di quadriennio in quadriennio, si é andata sviluppando una grottesca competizione verso l’iperbole e la follia, con marchingegni complessi  per far volare il tedoforo, far volare la fiamma, farle fare bizzarri ghirigori nel cielo: e il tutto su un lunghissimo tempo televisivo, affinché i commentatori possano dar fondo a tutta la catena di stupide ovvietà in cui eccellono abitualmente. E finalmente cominciano i giochi.

Un tempo si vedevano gli Atleti concentrarsi prima della competizione, poi dare il massimo delle proprie capacità, poi sorridere mestamente quando perdevano, e illuminarsi -spesso fra lacrime di gioia- quando salivano sul podio. L’avversario era un amico con cui misurarsi,  vincitore e vinti si abbracciavano con amicizia sincera.

Ora l’avversario é un nemico: da odiare, da disprezzare, da battere con ogni mezzo. E si vedono Atleti che polemizzano con gli arbitri durante le gare, altri che ad ogni passo esprimono entusiasmo o disperazione o minacce all’avversario con gesti plateali. E poi tanto tempo dedicato al microfoni, alle domande inutili di cronisti che non sanno più che cosa chiedere a gente che non sa mai che cosa rispondere (oh, i cronisti di un tempo, indimenticabili!!!).
E poi i commentatori che -qui da noi- si interessano soltanto ai conterranei o compaesani, anche di modeste prestazioni, disdegnando i trionfi che non siano “fratellid’Italia”. Si é perfino sentito uno di loro preconizzare entusiasticamente una sicura medaglia -durante l’intera gara- per un Atleta poi qualificatosi quarto, fuori podio.

E poi il podio: colei o colui che ha ricevuto l’oro, fa il gesto di mordere la medaglia guardando fisso nell’obiettivo con aria complice e furbesca. Fatalmente, ogni volta: e mai nessuno che spieghi loro che quel gesto andava bene nei films western, quando il cow boy riceveva la paga e verificava di non essere imbrogliato; mai nessuno che faccia capire a queste teste di legno che la medaglia olimpica, anche se fosse di latta, avrebbe un valore simbolico indimenticabile per la vita intera.

Sì, c’erano una volta le Olimpiadi. C’era una volta il giuramento di Adolfo Consolini nel 1960 a Roma: l’anno di Abebe Bikila, oro nella maratona, l’etiope che correva a piedi nudi, che a piedi nudi era venuto dal suo Paese per vincere sotto l’arco di Costantino. Bikila,
simbolo dell’Africa che si liberava dal colonialismo europeo, la prima medaglia d’Oro del continente africano alle Olimpiadi: e, dopo, simbolo ed esempio dello spirito competitivo olimpico e della forza di carattere.   Conquistò ancora l’oro  nella maratona di Tokio 1964.  Nel 1969, Bikila stava guidando la sua auto nei pressi di Addis Abeba quando ebbe un incidente e rimase paralizzato dal torace in giù. Non avendo più l’uso degli arti inferiori continuò a gareggiare nel tiro con l’arco, nel ping pong, perfino in una gara di corsa di slitte (in Norvegia).  Morì nel 1973 all’età di 41 anni, per un’emorragia cerebrale.

I maratoneti, una “razza” tutta speciale. Anche senza pensare a Luca Coscioni, la storia olimpica racconta vicende drammatiche: nel 1908, Dorando Pietri giunse primo in prossimità del traguardo ma collassò a terra poco prima di raggiungere la linea di arrivo. Tagliò il traguardo, ma venne successivamente squalificato perché era stato sostenuto da un Giudice di gara negli ultimi metri.

Queste erano le Olimpiadi di un tempo, questi gli olimpionici di una volta. Ora gli ex Olimpionici diventano commentatori prolissi, o testimonials pubblicitari di qualunque prodotto anche del tutto estraneo agli interessi sportivi del passato.

Leggo, in giro per il web, che qualcuno scopre di odiare il nuoto sincronizzato: ebbene, io non ho mai capito perché da pochi anni sia stata introdotta questa performance stile Warner Brothers, che andava benissimo nei film con Ester Willliams ma alle Olimpiadi proprio non si addice.  Qualcuno lamenta che il medagliere quest’anno sia disadorno, e ricorda le glorie del passato, quando l’Italia usciva dai Giochi olimpici con più di trenta ori.

A me, di tutto questo, poco importa. C’erano una volta le Olimpiadi, ora c’é soltanto uno spreco pubblicitario che non ha più nulla di sportivo, nulla di cavalleresco, nulla che ricordi amicizia, lealtà e coraggio.
I cinque anelli non rappresentano più i continenti come un insieme di universalità: gli anelli si sono spezzati nell’egoismo individuale, nella poca serietà di gruppo, nella noncuranza verso quei veri valori, che un tempo erano presidio di tutte le speranze per il futuro.
Addio, Olimpiadi.

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=7783&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cerano-una-volta-le-olimpiadi

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