Stabilito che le carceri sono “fuori dalla Costituzione”… adesso che si fa?
Da http://notizie.radicali.it, di Andrea Pugiotto, 30-07-2012
Non è usuale ritrovarsi interlocutori diretti del Capo dello Stato. È accaduto a chi scrive e ai 120 giuristi cui ho avuto l’opportunità di dare voce. La nostra lettera-aperta al Presidente Napolitano sui temi della crisi della giustizia e della condizione carceraria, infatti, ha ricevuto alcuni giorni fa una risposta dal Quirinale, istruita dal consigliere Loris D’Ambrosio scomparso repentinamente poche ore dopo avermela inviata.
Se c’è un modo per onorarne la memoria e per rispettare le parole del Presidente Napolitano, è quello di leggerle, soppesarle, commentarle. Vorrei farlo utilizzando gli strumenti di chi studia la Costituzione quale regola e limite al potere: come faceva il consigliere D’Ambrosio, come è chiamato a fare il primo Garante della legalità costituzionale. È anche un modo per recuperare all’attenzione dell’opinione pubblica un “carteggio” altrimenti ignorato. Eppure quelle lettere parlano di noi, pur parlando di altri: perché, quando sono in gioco i diritti fondamentali di molti, lo sono per tutti, nessuno escluso. Il testo della lettera – aperta, trascurato dalla stampa, si può recuperare in rete attraverso il suo titolo (“Una questione di prepotente urgenza” sempre più prepotentemente urgente). La risposta del Presidente Napolitano si legge nel sito istituzionale del Quirinale.
Il documento dei giuristi faceva proprie le preoccupazioni manifestate a più riprese dal Capo dello Stato sulla crisi della giustizia e sul suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri. Le accompagnava con argomentazioni costituzionali, citazioni giurisprudenziali, eloquenti dati statistici. Rivolgeva infine al Presidente della Repubblica una richiesta: l’invio alle Camere di un suo messaggio formale, affinché il Parlamento sia chiamato ad affrontare i due correlati problemi della giustizia e del sovraffollamento carcerario, anche attraverso il ricorso a strumenti previsti in Costituzione (l’amnistia e l’indulto) capaci di interrompere, subito, una persistente situazione di illegalità, interna e internazionale.
La lettera-aperta, dunque, non pone un problema al Presidente Napolitano. È vero il contrario: risponde ad un problema posto dal Capo dello Stato e denunciato nella sua gravità anche da altri organi apicali delle istituzioni (il Presidente del Senato) e della giustizia (i Presidenti della Corte costituzionale, della Cassazione, della Corte dei conti).
Rispetto a tale sollecitazione, la risposta del Quirinale dice alcune cose. E sceglie di non dirne altre. In primo luogo, separa il tema della giustizia da quello della condizione carceraria: solo di quest’ultima, infatti, la lettera si occupa.
In questo modo, a me sembra, viene derubricato in dramma umanitario quello che è invece un problema di legalità costituzionale violata. Un’illegalità che nasce dai tempi non ragionevoli della giustizia e tracima in un sovraffollamento carcerario. Un’illegalità non possibile o probabile ma certa; non occasionale ma sistematica; non futura ma cronicamente attuale, come attesta la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Da vent’anni l’Italia è condannata per i tempi eterni della sua giustizia. A tali condanne ora si aggiungono quelle per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti cui sono costretti singoli detenuti: l’ultima (ed è la quarta) è del 17 luglio scorso, ma pendono a Strasburgo oltre 1.200 ricorsi analoghi.
Non si tratta dunque di un problema umanitario, per il quale sarebbe auspicabile una soluzione rimessa (nel se, nel come e nel quando) alla discrezionalità degli organi politici, che il Capo dello Stato può sollecitare, ammonire, spronare. La prospettiva è tutt’altra. È un problema di legalità violata, cui si deve dare una soluzione che grava su Governo e Parlamento quale obbligo costituzionale cogente: in questo quadro, a me pare, il Capo dello Stato è chiamato ad esercitare le proprie prerogative formali perché gli organi d’indirizzo politico recuperino, al più presto, una legalità smarrita.
La risposta del Quirinale richiama l’attenzione e la preoccupazione con cui ha sempre guardato alla realtà carceraria, spesso denunciandone l’insostenibilità e raccomandando opportuni provvedimenti risolutivi. Ma non prefigura, in tema, alcun ricorso al potere di messaggio previsto dall’art. 87, 2° comma, della Costituzione.
Eppure quella vigilanza presidenziale non è stata in grado di invertire la tendenza di un’esecuzione della pena lesiva del dettato costituzionale: una capienza regolamentare superata di circa 22.000 unità, il drammatico record di detenuti suicidatisi in carcere stabilito lo scorso anno (66 casi accertati) cui ora si aggiungono quelli di agenti della polizia penitenziaria (già 7 quest’anno, 95 dal 2002). È una realtà che il Quirinale conosce e riconosce nella sua risposta.
Se quanto fin qui detto e fatto non è bastato, forse è giunto il momento di investire formalmente le Camere delle loro responsabilità istituzionali: se non ora, quando? A ciascuno il suo: il Capo dello Stato motivi, con messaggio, “la pesante e penosa situazione penitenziaria fonte – anche – di discredito per il paese”; il Parlamento individui gli strumenti normativi risolutivi.
Il potere di messaggio è lo strumento principale di dialogo tra Quirinale e Parlamento, pensato in Costituzione per favorire la leale cooperazione tra i due organi, nel rispetto delle reciproche competenze. Ad oggi, il Presidente Napolitano non ha mai inteso avvalersene. I poteri presidenziali non sono suoi personali ma del suo ufficio: per questo, se necessario, vanno difesi davanti alla Corte costituzionale quale giudice dei conflitti tra poteri dello Stato. Proprio in ragione di ciò, nei giorni scorsi, il Presidente Napolitano ha fatto ricorso alla Corte, in relazione ad alcune intercettazioni indirette della Procura di Palermo, ritenute lesive di proprie prerogative costituzionali. È consentito osservare che, prima ancora, le prerogative presidenziali si tutelano innervandole attraverso il loro coerente esercizio, nessuna esclusa?
L’interlocuzione tra i firmatari della lettera – aperta e il Quirinale investe anche il tema dell’amnistia e dell’indulto. La risposta presidenziale, sul punto, è questa: “Ho già detto in altre occasioni che non escludo pregiudizialmente neppure l’adozione dei provvedimenti clemenziali dell’amnistia e dell’indulto. Essi richiedono però, come prescrive l’art. 79 della Costituzione, un ampio accordo politico di cui attualmente non ravviso le condizioni”.
Le parole scelte dal Presidente Napolitano prefigurano un atto di clemenza generale del Parlamento partecipato dal Capo dello Stato. E così era, quando l’art. 79 della Costituzione contemplava una legge di delega al Presidente della Repubblica, chiamato a concedere con proprio decreto l’amnistiae l’indulto entro il perimetro (peraltro integralmente vincolante) tracciato dalle Camere. Nel 1992, però, quell’articolo è cambiato: la clemenza generale ora è decisione esclusivamente parlamentare, irrigidita da maggioranze così qualificate da dare le vertigini e, per questo, controproducenti ad un suo impiego ragionevole. amnistia e indulto, oggi, sono estranee alla sfera di competenza del Quirinale. Non spetta, dunque, al Capo dello Stato, escluderne o non escluderne pregiudizialmente il ricorso. Né ravvisarne o meno le condizioni per una loro concessione.
È saggio che il Quirinale valorizzi i soli strumenti capaci di interrompere, da subito, le attuali condizioni di illegalità dietro le sbarre (e – aggiungono i 120 giuristi – nei processi). Una sua formale interlocuzione con le Camere, sul punto, avvierebbe un processo che potrebbe sfociare nel consenso costituzionalmente necessario. A risponderne politicamente saranno esclusivamente le forze parlamentari: per il fatto, il non fatto, il mal fatto. Anche qui, a ciascuno il suo.
La disponibilità e la cortesia del Presidente Napolitano verso i firmatari della lettera-aperta si spingono generosamente fino ad un invito, “dopo la pausa agostana”, ad un incontro presso il Quirinale. Saremo felici di accoglierlo.
Da qui ad allora è augurabile che la situazione dietro le sbarre non degeneri, complice anche una stagione che rende – alla lettera – infernale l’attuale sovraffollamento. Quella situazione è al collasso. E se è un collasso che non collassa mai (o non ancora), lo si deve esclusivamente al senso di responsabilità di tutta la comunità carceraria: detenuti, polizia penitenziaria, operatori, volontari, cappellani, personale sanitario. Più di ogni lettera – aperta, è questa consapevolezza che dovrebbe indurre, chi può e chi deve, a fare presto.
Andrea Pugiotto (Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Ferrara. Estensore e 1° firmatario della lettera – aperta al Presidente Napolitano.)
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